Asimov ha definito il fosforo “il collo di bottiglia della vita”, ma rischia di esserlo anche per le batterie con chimica litio-ferro-fosfato (LFP). Ciò che lo distingue da altri elementi essenziali per la vita, come carbonio o azoto, è infatti la sua relativa scarsità.
In attesa di sviluppi basati sul sodio ed altre materie prime di più facile reperibilità, il futuro delle batterie per auto elettriche (EV) appare delineato in un dualismo quasi paritetico tra la chimica litio-ferro-fosfato (LFP) e quella nichel-cobalto-manganese (NCM).
Criticità geopolitiche, etiche, rischi legati all’emergere del nazionalismo delle risorse e di scarsità di cobalto e nichel sono ben note caratteristiche della chimica NCM.
Negli ultimi anni, le batterie con chimica catodica basata sul litio-ferro-fosfato, LFP, sono state ampiamente utilizzate solo in Cina. Ma si ritiene che questa tecnologia sia destinata a crescere notevolmente, per diverse ragioni.
Attrae soprattutto la loro migliore resilienza agli shock dei prezzi di mercato che in questi anni hanno pesantemente condizionato i costi delle batterie, dove l’incidenza dei costi delle materie prime, prossima al 60%, ha frenato la competitività delle EV rispetto alle auto a combustione interna (ICE).
Ulteriori vantaggi sono:
- l’abbondanza dei materiali precursori
- la possibilità di realizzare batterie prive di cobalto, un’opzione che attira l’interesse dell’acquirente etico
- cicli di vita sostanzialmente più lunghi
- una migliore stabilità termica rispetto alle rivali NMC
Sebbene la densità energetica della chimica LFP sia il suo principale punto debole, oltre al 35% in meno rispetto alle batterie NMC 811, i recenti miglioramenti tecnologici, come l’uso del silicio negli anodi, stanno apportando sensibili miglioramenti.
È opinione diffusa che anche nel settore dello stoccaggio dell’energia la maggior parte dei sistemi di accumulo stazionari in futuro si baseranno su chimica LFP.
Oggi le batterie LFP sono prodotte quasi esclusivamente in Cina grazie ad un accordo tra i produttori cinesi ed un consorzio di università e istituti di ricerca che gestiscono una serie di brevetti chiave per questa tecnologia. Stipulato circa un decennio fa, l’accordo che ha consentito alla Cina di conquistare il mercato LFP prevedeva che i produttori cinesi non sarebbero stati soggetti a royalties a condizione che queste batterie fossero utilizzate solo nel mercato interno.
Nel 2022 questo accordo è scaduto, e consentirà ora ai produttori non cinesi di batterie di iniziare a spostare parte della loro produzione verso questo tipo di chimica catodica. Certo il vantaggio tecnologico accumulato dalla Cina è importante e le gigafactory pianificate in Europa e Nord America, spesso in joint venture con l’industria sudcoreana (LG Chem, SK Innovation), sono ancora focalizzate sulla chimica del nichel.
Fosforo: collo di bottiglia “della vita”, ma anche delle LFP?
Ovviamente, anche le batterie LFP non sono prive di criticità legate alle materie prime. Se in passato ci siamo occupati del litio e del ferro, in questo contributo diamo un’occhiata al fin troppo trascurato fosforo, al quale generalmente si fa riferimento per il suo impiego in agricoltura, per il contributo che fornisce alla fotosintesi e alla divisione delle cellule.
Ciò che lo distingue da altri elementi essenziali per la vita come carbonio o azoto, è la sua relativa scarsità, tanto che Asimov lo ha definito “il collo di bottiglia della vita”. L’atmosfera non contiene quasi fosforo e le rocce ricche di fosfati sono presenti in quantità limitate, in alcune formazioni geologiche. Non è un caso che la maggior parte dei paesi dipende dalle importazioni di fosforo per soddisfare la propria domanda alimentare.
Nel 2020 ne sono state estratte circa 30 milioni di tonnellate (Mt) da 223 Mt di roccia fosfatica di origine sedimentaria (riserve globali stimate: 71.000 Mt).
Le rocce fosfatiche vengono frantumate e lavorate per ottenere un concentrato che viene trasformato in acido fosforico di grado mercantile di media purezza, noto come Merchant Grade Phosphoric Acid (MGA). Tuttavia, solo circa il 10% di roccia fosfatica può essere purificato per produrre l’acido fosforico purificato (purified phosphoric acid, PPA) utilizzato nelle batterie per veicoli elettrici.
Marocco: 70% delle riserve; Cina: il più grande produttore di fosfati; USA in terza posizione
Sebbene la Cina abbia solo il 5% delle riserve totali (3,2 miliardi di tonnellate), è il più grande produttore di fosfati con 90 Mt nel 2020. Tuttavia, l’industria mineraria e di trasformazione cinese non è esente da problematiche economiche (tasse ambientali, costi di produzione) e ambientali (tensioni dovute all’inquinamento delle acque).
La maggior parte delle riserve mondiali di fosfato si trova in Marocco: circa il 70% del totale (50 mld tonn). Il paese è il secondo produttore globale, 37 Mt nel 2020, con la maggior parte della produzione proveniente dalla miniera di Bou Craa nel Sahara occidentale, situata in un territorio occupato.
Gli USA sono il terzo produttore di fosfati (24 Mt nel 2020), sebbene le riserve statunitensi rappresentino solo il 2% di quelle globali.
In buona sostanza due paesi controllano il 75% delle riserve mondiali di rocce fosfatiche: le implicazioni sulla criticità della supply chain globale sono evidenti e tali da far impallidire il controllo della Cina sulle terre rare.
La domanda di fosforo nel settore agricolo potrebbe quasi raddoppiare entro il 2050 e l’industria dei fertilizzanti segnala investimenti superiori a 100 miliardi di dollari per aumentare la capacità produttiva al fine di soddisfare la crescente domanda alimentare.
Ma torniamo al suo impiego nelle batterie per auto elettriche. Finora, oltre il 95% della produzione di celle LFP è avvenuta in Cina, che beneficia di materie prime abbondanti e a basso costo, di una scarsa governance ambientale e della possibilità di approvvigionarsi gratuitamente di solfato di ferro.
Attualmente in Cina l’acido fosforico viene prodotto attraverso un processo “termico” che consiste nell’introdurre una miscela di minerale di fosforo, silice e coke nel forno elettrico. Questo processo consente di ottenere acido fosforico altamente purificato (PPA), con scarse impurità, adatto ad essere utilizzato come materia prima per la produzione di fosfato per realizzare i precursori per le batterie LFP.
Questo processo richiede molta energia e produce grandi quantità di rifiuti e poco soddisfa quei criteri ESG necessari ad un prodotto “green” come si vorrebbe fosse la batteria di un’auto elettrica. Pertanto è lecito supporre che potrebbe non essere accettato nei paesi Occidentali.
L’alternativa è il processo “a umido”, per quanto non sia scevro di rischi ambientali (si veda il disastro del 2021 in Florida) e richieda una quantità molto maggiore di rocce fosfatiche o concentrati.
[Un impianto di batterie da 40 GWh necessita di una produzione di rocce fosfatiche o concentrati: per il processo “termico” di circa 600 Ktpa (al 20% di P2O5, espressione della percentuale di fosforo nella roccia fosfatica); per il processo “a umido”, quasi 4 Mtpa (al 30% di P2O5)]
Solo il 10% della roccia fosfatica sedimentaria può essere purificato per produrre l’acido fosforico purificato
La domanda di fosforo per il settore delle batterie, in alcuni scenari come il Constrained Chemistry Case della IEA nel Global Electric Vehicle Outlook 2022, potrebbe aumentare sensibilmente in presenza di una forte reazione delle case automobilistiche ai prezzi elevati dei metalli che porterebbe alla sostituzione dei catodi ad alto contenuto di nichel con quelli LFP.
La quantità di minerale idoneo nel mondo è in calo e come ogni elemento del settore delle batterie, il collo di bottiglia è rappresentato dalla richiesta di una materia prima ad elevatissima purezza (si veda l’esempio del nichel). Anche solo poche molecole di impurità sono infatti sufficienti a causare malfunzionamenti.
Pertanto, molto minerale deve essere trattato per raggiungere le specifiche richieste: solo il 10% della roccia fosfatica sedimentaria può essere purificato per produrre l’acido fosforico purificato (PPA) utilizzato nelle batterie per veicoli elettrici. Diversa cosa è la roccia ignea dove il 90% può essere trattato per produrre PPA: ma solo circa il 5% del fosfato mondiale si trova in forma ignea.
Vi è grande incertezza sulla effettiva domanda di fosforo: vi sono analisi che la stimano in 3 Mt/a al 2050, ma è possibile che questo dato sia sensibilmente sottodimensionato.
Considerando che entro il 2030 sono previsti poco meno di 1.000 GWh di batterie LFP, con il processo “termico” sarebbero necessari oltre 12 Mt di roccia fosfatica. Ma assumendo l’impiego del processo “a umido”, il consumo di roccia fosfatica sarebbe sproporzionatamente alto.
La soluzione è riciclare?
La prevista crescita delle batterie con chimica al litio-ferro-fosfato rappresenta un’ulteriore sfida per l’economia circolare, in quanto è difficile ottenere un profitto recuperando ferro e fosforo.
Senza metalli preziosi come il nichel e il cobalto, il valore che si può recuperare dalle batterie LFP si riduce notevolmente rispetto ai metodi di riciclaggio convenzionali e la sua redditività economica diventa un problema.
In altre parole, rendere redditizio il riciclo delle batterie basate sulla chimica LFP richiederà interventi normativi, quadri di riferimento o modelli commerciali alternativi.
Giovanni Brussato è ingegnere minerario e autore del volume Energia verde? Prepariamoci a scavare, ed. Montaonda
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