15 Maggio 2023

Il corso del metano volge contro Mosca

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Costante ed incessante è la disintegrazione dell’industria russa delle esportazioni di gas. Se le importazioni europee si manterranno sui livelli dello scorso semestre, ne deriverà per Mosca, tenendo conto dei minori prezzi, un dimezzamento dei ricavi.

I prezzi a pronti del gas naturale continuano a segnare in Europa confortanti livelli, inferiori a quelli precedenti la guerra ucraina e al loro primo grande balzo alla fine del 2021.

Pur se ancora superiori a quelli di lungo termine, sono tornati dopo circa due anni sotto il livello di parità con quelli del petrolio. I prezzi del gas sul PSV italiano sono scesi il 12 maggio sotto i 36 euro/MWh, pari a 11,4 doll/Mil Btu, oltre dieci volte inferiori alle punte della fine dell’agosto dello scorso anno.

Parallelamente sono diminuiti i prezzi dell’elettricità.

Le tariffe interne del gas sul mercato tutelato sono per contro aumentate da inizio aprile di oltre il 22% per il venir meno dello sconto degli oneri generali precedentemente deciso dal governo (si rimanda all’articolo su questo Blog del 28 aprile scorso).  Un aumento una tantum slegata quindi dalla dinamica dei prezzi internazionali.

Gas, cosa ci aspetta nei prossimi mesi?

Pur tenendo conto della loro ampia volatilità, come si prospetta la situazione nei prossimi mesi? Sostanzialmente positiva, per più ragioni, a partire dal basso profilo della domanda europea riconducibile:

(a) all’elevato livello degli stoccaggi (tenendo conto della stagionalità), intorno al 62% della loro capacità, con una minor necessità quindi di far ricorso agli acquisti sul mercato internazionale, che lo scorso anno per il caotico modo con cui avvenne da parte di tutti i paesi europei costò sui 100 miliardi di euro;

(b) ad un ancor basso livello dei consumi nell’industria per la minor attività di diversi settori;

(c) a bassi impieghi nella termoelettrica soprattutto per il previsto aumento del nucleare francese stimato in 13 GW, che sommati ai 3 GW aggiuntivi di rinnovabili portano ad un aumento di 12 GW (sottraendo i 4 GW di chiusura delle centrali nucleari tedesche).

Relativamente all’Italia, le stime di Snam collocano la domanda nel 2023 sui 68 miliardi di metri cubi, in linea con quella del 2022. I livelli di 75 miliardi osservati prima della crisi difficilmente saranno recuperati, anche se un relativo aumento potrà esservi per la chiusura delle centrali a carbone.

La bassa domanda europea comporterà quindi una minor necessità di importazioni in Europa, intorno ai 10 miliardi di metri cubi, che potrebbe determinare a fronte di un aumento dell’offerta un oversupply nella prossima estate con conseguente pressione al ribasso dei prezzi.

Il drastico taglio delle forniture russe è stato ampiamente rimpiazzato, da ultimo nel nord della Germania con le prime navi di GNL al rigassificatore da poco costruito o in Olanda al nuovo terminale di Eemshaven.

Stranded assets, oltre la metà delle infrastrutture di importazioni europee di GNL al 2030

Il rischio che il clima sia il prossimo inverno più freddo di quello attuale, che il contributo addizionale del nucleare francese sia inferiore a quanto atteso, la perdurante incognita sull’economia e politica cinese, vanno per altro determinando una gobba nella curva dei prezzi forward con un aumento nei prossimi mesi invernali rispetto a quelli attuali (situazione di contango) seguito da una ripida fase discendente (backwardation).

Il calo dei prezzi potrebbe riverberarsi sulla costruzione di nuova capacità di produzione di GNL anche se gli investimenti avviati dovrebbero tradursi in un forte aumento dell’offerta nei prossimi anni, a fronte, come atteso, di un calo della domanda (si veda Le due grandi contraddizioni nel futuro del gas naturale).

Da qui, la previsione dell’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEEFA) che oltre la metà delle infrastrutture di importazioni europee di GNL – per 250 miliardi di metri cubi – possa nel 2030 risultare inutilizzata rispetto ad una domanda stimata sotto i 400 miliardi di metri cubi.

Fatto degno di nota, cui pure è stata data poca rilevanza, ma che è indicativo del mutato clima verso la Russia, è la decisione di Eni di adire ad un processo di arbitrato contro Gazprom Export per le sue minori forniture di gas dell’estate 2022.

Similmente hanno fatto la francese ENGIE, le tedesche UNIPER (nazionalizzata a seguito delle difficoltà insorte per la mancanza di gas) e RWE e la ceca CEZ.

Una costante ed incessante disintegrazione

Se i ricorrenti avranno successo, Gazprom dovrà affrontare severe difficoltà finanziarie, anche per l’impossibilità quest’anno, diversamente da quello passato, di compensare le minori esportazioni con l’ancor maggiore aumento dei prezzi.

“Evidence – ha scritto il New York Times – is piling up about the steady disintegration of Russia’s vital natural gas export industry since the country’s invasion of Ukraine”.

Se le importazioni europee di gas dalla Russia si manterranno sui livelli dello scorso semestre, dovrebbero ridursi nell’intero 2023 di 17 miliardi di metri cubi (sia via pipeline che LNG, aumentati notevolmente lo scorso anno).

Tenendo conto dei minori prezzi ne deriverà per Mosca un dimezzamento dei ricavi, rispetto ad un 2022 particolarmente negativo nelle quantità con un calo del 50%.

Non meglio vanno le cose sul versante del petrolio con un calo dei ricavi nel primo trimestre di quest’anno intorno al 30%.

La conclusione è che il corso delle vicende, da presumere non temporaneo, si sta ritorcendo contro Mosca. A questo esito contribuirà anche la recente decisione del G7 tenutosi ad Hiroshima che ha decretato anche per il futuro un embargo del gas russo.


Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it


Foto: Unsplash

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