Dal 2023 la generazione elettrica da fossili diminuirà dopo che lo scorso anno le emissioni del settore hanno toccato l’apice, sostiene il think tank Ember. Ma la sua visione appare eccessivamente ottimista: il fatto che la fetta fossile della torta elettrica diventi più stretta non ne garantisce il calo di dimensione, visto che la torta cresce. E con essa le emissioni.
Nel 2022 le emissioni dell’elettrico mondiale hanno raggiunto un picco storico, eppure il think tank Ember ritiene che siamo di fronte a un punto di svolta e che dal prossimo anno le emissioni cominceranno, irreversibilmente, a decrescere.
Per capirne le ragioni, occorre leggere, anzi approfondire, il suo nuovo report Global Electricity Review 2023 e ci sono almeno tre buone ragioni per farlo:
- la prima è che, a livello mondiale, 1/3 delle emissioni da combustibili fossili vengono dalla generazione elettrica;
- la seconda è che l’intera struttura della transizione energetica riposa sull’assunzione della penetrazione elettrica nei consumi energetici finali;
- la terza è che la Review di Ember segna una discontinuità rispetto alle edizioni passate, sia per livello di approfondimento che di riflessione critica.
2022 picco storico delle emissioni del settore elettrico, nel 2023 la svolta?
Uno studio di 163 pagine, dense di analisi e dati, ragionati, che ruotano intorno a una domanda chiave: siamo di fronte a un punto di svolta? Il 2022 rappresenta il picco delle emissioni dell’elettrico mondiale che, dal prossimo anno, diminuiranno convergendo gradatamente verso lo zero?
Ember crede di poter dare una risposta positiva a questa domanda ma, pur all’interno di un ottimismo green che da sempre la caratterizza, lo fa proponendo un’analisi critica dei dati e argomentando senza settarismo perché l’obiettivo è possibile. Vediamo meglio. Il grafico chiave, tra i tanti proposti, è il seguente:
Secondo Ember la fascia verde, che rappresenta la generazione da solare ed eolico, dal prossimo anno potrebbe espandersi irreversibilmente ai danni di quella nera fossile.
Al fine di raggiungere emissioni nette zero, solare ed eolico dovranno passare dall’attuale 12% al 41% nel 2030, con tassi di crescita annui pari, rispettivamente, al 25% e al 17%. Ember ritiene che ciò sia possibile perché:
- il valore mediano di tutti gli scenari considerati dall’IPCC, al 2030 è pari proprio al 41%;
- nel 2022 i tassi sono stati assai vicini ai valori richiesti (24% e al 17%);
- dal 2015 al 2021 i tassi sono stati pari, in media, al 26% e al 14%.
È chiaro che tale costanza della velocità di crescita di solare ed eolico è solo apparentemente semplice da realizzare poiché, al crescere della capacità installata, il mantenimento dello stesso tasso di crescita implica sempre maggiori volumi di elettricità prodotta da fonti green.
Ember ne è consapevole e a titolo di esempio cita il seguente dato: se nel 2023 un +25% annuo significa, per il solare, 318 TWh, nel 2030 esso implica 1.500 TWh (p. 78).
Una visione eccessivamente ottimista
Ma vi sono almeno due altre ragioni per le quali la visione di Ember appare eccessivamente ottimista:
- sullo stesso argomento esistono visioni diverse: la IEA, come sottolineato dalla stessa Ember, è molto più cauta. Nel suo report del dicembre 2022 sulle rinnovabili, l’Agenzia di Parigi prevede al 2027 una crescita della quota di solare ed eolico fino al 27%, dunque assai distante dal target del 41% nel 2030.
- Un esame più approfondito dei tassi di crescita mostra, come evidenziato in figura, dinamiche che tendono a decrescere rispetto ai valori di 10 o 15 anni fa, proprio a ragione di quell’effetto di scala mostrato dalla stessa Ember, che al crescere dei volumi di generazione rende sempre più difficile conservare alti i tassi di crescita.

La crescita dei volumi di elettricità prodotti e domandati è una delle – se non la – questione chiave della transizione. Al di là del problema rilevantissimo dell’effettiva penetrazione dell’elettricità nei consumi finali di energia, la crescita dei volumi impatta non solo sui tassi di crescita ma anche sulle emissioni, che rappresentano in ultimo la variabile rilevante.
Nel 2022, solare ed eolico hanno coperto l’80% della crescita della domanda elettrica, abbassandone l’intensità carbonica fino al record di 436 gCO2/kWh. Nello stesso tempo, a causa della crescita della domanda, soddisfatta anche dai fossili, le emissioni dell’elettrico mondiale sono aumentate dell’1,3%, raggiungendo un nuovo record storico.
Il paradosso dell’elettrico: la più bassa intensità carbonica di sempre è associata alle più alte emissioni della storia
Ecco il paradosso dell’elettrico: la più bassa intensità carbonica di sempre è associata alle più alte emissioni della storia. Perché ciò accade? Per la semplice ragione che, seppure il 100% della crescita della domanda elettrica fosse soddisfatta da eolico e solare, ciò non basterebbe e le emissioni, al meglio, rimarrebbero stabili.
Ed è vero che le rinnovabili coprono sempre più quote crescenti di domanda elettrica addizionale (vedi figura), ma ciò non è sufficiente.
Affinché le emissioni decrescano, eolico e solare – nonché le altre rinnovabili e il nucleare – devono andare a coprire più del 100% della domanda addizionale di elettricità, rubando spazio alle fonti fossili.
Per ridurre le emissioni le low carbon devono coprire oltre il 100% della crescita della domanda elettrica
Ma ciò non accade: dal 2010 al 2021 la domanda elettrica è aumentata a un tasso medio del 2,6% all’anno (2,5% nel 2022) ma, come si può vedere dal grafico posto in apertura di questo articolo, i fossili hanno sempre avuto un ruolo cruciale nel soddisfacimento di questa domanda.
Dunque, per capire se siamo di fronte a un punto di svolta della transizione – come anche il Direttore Esecutivo della IEA Fatih Birol ritiene che sia – occorre capire cosa accade alle fonti fossili.
La questione della forza dei tassi di crescita di eolico e solare è solo una delle due facce della medaglia, ed è simmetrica a quella dell’andamento di carbone e gas. In linea generale, poiché la crescita della penetrazione elettrica associata allo scenario net zero richiede nel tempo volumi crescenti di elettricità, per una mera ragione aritmetica le fonti fossili avranno a disposizione spazi da occupare.
Nonostante tutto, c’è ancora spazio per le fossili
La crescita demografica e il miglioramento dell’accesso all’energia nel Pianeta renderanno tali spazi sempre maggiori. A livello intuitivo è difficile ritenere che le rinnovabili possano, da sole, occuparli. Fino ad oggi non è successo. Vediamo i numeri.
Sul lato del carbone e del gas, Ember mostra come la generazione da carbone abbia raggiunto un massimo storico nel 2022, segnando una crescita dell’1,1% rispetto al 2021.
Il gas, invece, è diminuito di poco (-0,2%). In generale, in molti paesi gli alti prezzi del gas indotti dalla crisi ucraina hanno determinato uno spostamento dal gas al carbone, contribuendo all’aumento delle emissioni, segno che il mercato è ancora più potente delle policy.
Dunque, la domanda centrale è la seguente: in che misura solare ed eolico possono conquistare quote di mercato ai danni di carbone e gas? Se studiamo i 10 paesi che emettono di più, vediamo che dal 2015 in poi ciò è accaduto: dal Giappone alla Cina, dagli Stati Uniti all’India, dalla Corea del Sud all’Unione Europea, è in corso un processo di sostituzione. A livello mondiale, negli ultimi sette anni, i fossili hanno perso circa 5 punti percentuali e solare ed eolico ne hanno guadagnati quasi 8.
Lo switch in atto tra fossili e rinnovabili è positivo ma non sufficiente
Questo switch è sicuramente positivo ma non è sufficiente perché, come abbiamo visto, il fatto che la fetta di torta diventi più stretta non garantisce la diminuzione della sua dimensione, visto che la torta cresce.
Non solo: a contrastare l’effetto benefico della crescita della quota di solare ed eolico, vi è la diminuzione di quelle di nucleare ed idroelettrico. Dal 2000, cioè su un orizzonte temporale di 22 anni, il nucleare è passato da una quota del 17% nella generazione elettrica a una del 9%.
Più morbida la discesa dell’idro, dal 17% al 15%. In ultimo, non ci possiamo aspettare che queste due fonti possano dare un gran contributo alla decarbonizzazione, perlomeno nel prossimo decennio.
Per cercare di capire se i volumi di elettricità da gas e carbone possano diminuire nei prossimi anni è utile comprendere ciò che sta accadendo a queste due fonti.
Per quanto concerne il carbone, nonostante il “phase down” deciso a Glasgow nel 2021, l’anno 2022 si caratterizza per il più basso numero di centrali chiuse a partire dal 2014.
Gas e carbone diminuiranno per davvero?
Non solo: in Cina il numero delle centrali a carbone autorizzate nel 2022 è il più alto dal 2015, mentre 50 GW sono già stati messi in costruzione lo scorso anno (+50% rispetto al 2021).
Nonostante la situazione sia migliore per gli altri paesi – dove il numero di chiusure supera le nuove aperture – il peso della Cina è tale da compensarli più che abbondantemente. Si pensi che la nuova capacità in costruzione in Cina è sei volte quella di tutti gli altri paesi messi insieme.
In sintesi, i fondamentali non sono buoni e, per tornare alla metafora della fetta di torta, la sua dimensione potrà diminuire solo se la nuova capacità installata sarà caratterizzata da un basso fattore di utilizzo: ed è questo che Ember, ottimisticamente, ritiene che accadrà.
Infine, per quanto concerne il gas, il 2022 si caratterizza per la più bassa crescita di capacità negli ultimi 18 anni. Riteniamo, tuttavia, che da ciò non si possa inferire l’inizio di un processo di contrazione della generazione elettrica da gas: se è vero che dal 2018 il trend della capacità addizionale è decrescente, è altrettanto verso che un analogo trend era stato osservato dal 2014 al 2017, annullato poi dalla straordinaria crescita del 2018.
Per concludere, la decade che stiamo vivendo è critica per la transizione energetica. Ember prevede che la generazione elettrica da fossili diminuirà nel 2023 o, nel peggiore dei casi, nel 2024, immettendo il Pianeta in un nuovo sentiero green di emissioni decrescenti, perlomeno nell’elettrico. Ciò è da sperare e, di certo, non può essere escluso. Lo scenario delineato è ottimista ma non impossibile.
È tuttavia altrettanto vero, per le ragioni che abbiamo cercato di mostrare in questo articolo, che parlare di fine dell’era fossile è azzardato: i dati, oggi, non autorizzano questa conclusione. I costi decrescenti e le policy climatiche favoriscono le rinnovabili, ma la dimensione crescente della torta tiene in vita i fossili.
Enzo Di Giulio è economista ambientale e membro del Comitato Scientifico di ENERGIA
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