Perché l’opinione pubblica mostra un supporto incostante verso le politiche per il clima e l’azione pro-ambientale? Eppure, costituirebbe un pungolo importante per spingere i governi a ridefinire la propria agenda. L’articolo di Luigi Pellizzoni su ENERGIA 1.23.
“Uragani, siccità e altre calamità portano la questione in primo piano per qualche tempo. Altrettanto avviene per i summit globali (…) o per le manifestazioni (…). La tensione però presto si sgonfia, sia perché risultati percepibili non se ne vedono, sia perché è diffusa la sensazione che molte decisioni appartengano al novero delle «politiche simboliche» (…), sia infine perché succede sempre qualcosa che sposta l’attenzione su altri temi: crisi economiche, migrazioni di massa, tensioni geopolitiche come da ultimo la guerra in Ucraina, senza dimenticare eventi sportivi come i Mondiali di calcio o le Olimpiadi”.
Un’introduzione, quella dell’articolo di Luigi Pellizzoni pubblicato su ENERGIA 1.23, che potremmo facilmente aggiornare con gli eventi di questi giorni, che hanno visto l’attenzione mediatica passare dalle esondazioni in Romagna ai festeggiamenti di Napoli per la vittoria dello Scudetto. Eppure, sostiene il sociologo della Scuola Normale Superiore di Pisa, il supporto dell’opinione pubblica “costituirebbe un pungolo importante per spingere i governi a ridefinire la propria agenda”.
Un pungolo importante
Nell’ultimo numero del trimestrale ENERGIA torniamo ad indagare gli aspetti sociologici, psicologici e comportamentali legati alla crisi climatica ed alla transizione energetica. Aspetti in grado di ostacolarne la risoluzione, tanto quanto quelli tecnico-economici, e il cui studio può fornire importanti spunti di comprensione e intervento.
Un filone che abbiamo inaugurato nel 2018 con due articoli che inquadravano le potenzialità delle scienze comportamentali in ambito energetico, a firma di Luciano Canova, e il contributo della sociologia del territorio nella comprensione della transizione energetica, con la penna del sociologo Giorgio Osti.
L’importanza delle “spintarelle” (nudging) come alternativa a un approccio «statalista» o «mercatista», viene ripresa nel 2021 dallo stesso Pellizzoni in un’analisi del ruolo da traino che individui e imprese possono avere nella direzione auspicata.
Ma indagare le difficoltà che Sapiens sta incontrando nell’affrontare la crisi climatica da un profilo sociologico vuole dire scontrarsi anche con la questione dell’equità, per evitare “il fatto (reale o percepito poco importa) che si toglie ai poveri per dare ai ricchi, o si toglie di più ai primi e di meno ai secondi” (L. Pellizzoni, Robin Hood alla rovescia? Transizione energetica e giustizia ambientale, ENERGIA 1.19), ovvero come realizzare politiche ambientali efficaci, di ampio e durevole respiro senza che queste siano causa (reale o percepita) di ingiustizia sociale.
Questioni che hanno fatto irruzione con irruenza nel dibattito climatico con la comparsa dei gilet gialli in Francia – ulteriormente aggravatesi con la pandemia che ha dilatato le disparità sociali, come osservava Fabrizio Battistelli sul numero due del 2020 – e alla cui analisi aveva fatto da contraltare quella dello stesso Pellizzoni sulle nuove mobilitazioni ecologiche (ENERGIA 4.20).
Per esercitare i loro effetti, dati, appelli e narrazioni della crisi necessitano di un uditorio ricettivo
Un’opinione pubblica ambivalente quindi, che si muove fra due estremi, quello di chi teme gli effetti della transizione (gilet gialli) e quello di chi teme gli effetti dei cambiamenti climatici (movimenti ecologisti). E, sebbene si possa sostenere che sia aumentata la sensibilità verso le problematiche ambientali e climatiche, l’opinione pubblica mostra tuttora un supporto incostante verso le politiche per il clima e l’azione pro-ambientale.
Vale quindi indagarne le ragioni. In Un vento incostante: politiche climatiche e opinione pubblica, Pellizzoni muove dai limiti dell’impronta teorica dominante sul livello di sensibilità ecologica dell’opinione pubblica: la tesi del post-materialismo che “verosimilmente corretta nello spiegare l’insorgenza dell’ecologismo come movimento di massa, si è tuttavia scontrata con una serie di difficoltà circa la sua capacità esplicativa del prosieguo tutt’altro che lineare della storia dell’ecologismo e delle politiche ambientali”. Propone quindi altre prospettive “da cui guardare all’incostanza del supporto pubblico alle politiche per il clima” con la finalità di “evidenziare la complessità della questione”.
I gilet gialli, in altre parole, non sono da ritenere meno sensibili al problema dell’inquinamento e del riscaldamento globale delle élite urbane
Una è quella delle preferenze individuali, di cui ci sono “almeno tre aspetti di cui tenere conto”:
– il carattere comparativo delle preferenze (“un conto è parlare del valore dell’ambiente in assoluto, o in generale, un conto è confrontarlo con altri valori”)
– il fattore tempo (“applicare al beneficio futuro un certo tasso di sconto”, in termini grossolani “il valore che attribuiamo al tempo”)
– la salienza dei problemi, che può variare nel tempo, in relazione al prevalere di altre istanze.
“Il rapporto tra valori, opinioni e comportamenti aggiunge complessità al tema della formazione e dell’espressione delle preferenze.” Per ovviarne la volatilità, uno strumento cui si fa appello è il già citato di nudge, “ossia la configurazione dei contesti decisionali in modo da orientare l’attore verso la scelta «giusta»(8)” cui fa da contraltare “il lock-in: vincoli all’azione non creati deliberatamente per conseguire determinati scopi, ma conseguenze involontarie di scelte”.
“In Italia l’aver puntato, molti decenni fa, sulla mobilità su gomma e su una pianificazione urbanistica permissiva ha rappresentato un fattore agevolante la crescita economica ma ha da tempo mostrato i suoi effetti perversi (…). Tuttavia non è facile porvi rimedio: il tessuto insediativo e infrastrutturale esistente, tarato su quelle scelte, non può essere modificato con un colpo di bacchetta magica. Solo un’opinione pubblica molto determinata potrebbe esercitare una spinta sufficiente a far intraprendere cambiamenti radicali”.
Vi è poi chi preferisce pratiche ecologiste «quotidiane» non coordinate, “una tendenza emergente da alcuni anni, chiamata a volte di «materialismo sostenibile»(9).” Tra queste rientra la partecipazione alle comunità energetiche, il cui stato dell’arte e prospettive sono affrontati su questo numero da Romano Borchiellini, Paolo D’Ermo e Gabriella De Maio.
“Riassumendo, le ragioni dell’inconsistenza del supporto pubblico verso le politiche per il clima e la tutela dell’ambiente sono numerose e intrecciate fra loro. (…) non c’è quindi una sola strada: occorre un’azione coordinata che partendo da un’analisi chiara della problematica – una mappatura del tipo accennato in queste righe – punti in una pluralità di direzioni. Che ciò sia alla portata, in termini di volontà e capacità, degli attuali governi è dubbio”.
Il post presenta l’articolo di Luigi Pellizzoni Un vento incostante: politiche climatiche e opinione pubblica pubblicato su ENERGIA 1.23 (pp. 82-85)
Luigi Pellizzoni è professore presso la Scuola Normale Superiore
Foto: Unsplash
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