30 Maggio 2023

Non solo offerta, il ruolo dei consumatori nella transizione energetica

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Sinora la transizione energetica è stata quasi totalmente declinata sul fronte dell’offerta. Eppure, di pari importanza sono i comportamenti e le scelte dei consumatori. Essendo la principale causa delle emissioni, non possono che essere parte della soluzione.

Nel 2022 le emissioni climalteranti sono ulteriormente cresciute (+0,9%) toccando un nuovo massimo storico, nonostante il rallentamento della crescita economica, con l’aspettativa di un ulteriore rialzo quest’anno per la priorità assegnata alla sicurezza energetica.

Ciò nonostante, l’Agenzia di Parigi sostiene che si potrebbe arrestare e invertire la crescita delle emissioni realizzando i 4 pillars indicati nel suo recente rapporto Credible pathways to 1.5°C.

1: zero emissioni nette di CO2 da energia entro il 2050
2: deforestazione netta zero entro il 2030 e altre azioni relative all’uso del suolo
3: mitigazione delle emissioni diverse dalla CO2
4: gestione del carbonio

Per l’Agenzia si tratta solo di volerlo, ma a ben vedere la realizzazione di questi pilastri è subordinata a tante condizioni da renderli difficilmente attuabili.

Anziché spiegare come rimuovere gli ostacoli, si insiste a dipingere un mondo virtuale che non c’è, continuando ad innalzare l’asticella dei target da raggiungere nonostante l’incapacità a superare quelli precedenti.

Un aspetto generalmente trascurato è la scala delle priorità che bisognerebbe seguire nella transizione energetica, sinora quasi totalmente declinata sul fronte dell’offerta.

2/3 delle emissioni globali sono imputabili alle scelte dei consumatori – Oxfam

L’obiettivo di azzerare le emissioni nette (net-zero) non può tuttavia ridursi all’aritmetica delle fonti di energia – con sottrazioni (fossili) e addizioni (rinnovabili) – ma impone ancor prima un drastico cambiamento dei nostri comportamenti, a cui Oxfam nel 2015 imputava quasi i due terzi delle emissioni globali.

Essendone la principale causa, non possono che esserne parte della soluzione. Molta dell’avversità dei singoli individui e della collettività a misure climatiche severe deriva dalla preoccupazione che ne possano conseguire una minor ricchezza ed un peggior livello di vita.

Dettagliate analisi – come quelle di Marcus Arcanjo del Climate Institute (2020) o Lucas Chancel e Thomas Piketty (2015) – hanno quantificato la riduzione delle emissioni che potrebbero derivare da singole azioni nei paesi avanzati. Avere un figlio in meno è di gran lunga quella più efficace, seguita dalla rinuncia a comprare un’auto o a un viaggio trans-atlantico.

Cambiare drasticamente la propria dieta a discapito della carne – dalla filiera del cibo origina un quarto delle emissioni globali – potrebbe a sua volta dimezzare il costo della mitigazione dei cambiamenti climatici. Possibilità fortemente ridotta dalla scarsa consapevolezza nella gente della correlazione tra dieta e clima.

Figli, viaggi, dieta e sprechi alimentari

Più realistica ed efficace potrebbe essere poi la riduzione dello spreco alimentare, pari ad un terzo del cibo prodotto, da cui origina circa l’8% delle emissioni, con una perdita intorno ai 900 miliardi di dollari. Soprattutto nei paesi ricchi, dove gran parte dello spreco alimentare è imputato alla fase di consumo, diversamente dai paesi a basso reddito dove la maggior parte dello spreco avviene nel processo di produzione e lavorazione.

Ha fatto clamore la recente intervista su Forbes in cui il professor Norman Fenton cita le risultanze del rapporto Absolute Zero redatto nel 2019 dal programma di ricerca governativo UK FIRES in cui si stima in termini quantitativi cosa significherebbe nel caso inglese il raggiungimento dell’obiettivo net zero. Due punti per tutti, tratti dal fronte trasporti

  • il trasporto aereo dovrebbe essere drasticamente ridotto, col solo aeroporto di Heathrow che rimarrebbe in attività nel 2030, mentre nel 2050 si azzererebbe ogni volo
  • quello terrestre dovrebbe ridursi al 60% di quello attuale, mentre la maggior parte di quello restante dovrebbe svolgersi nell’arco dei 15 minuti: a piedi o in bicicletta.

Prescrizioni non lontane da quanto previsto nel PianoParis change d’ère. Vers la neutralité carbone en 2050” elaborato nel 2017 per il sindaco di Parigi Anne Hidalgo e che mirava a ridurre a quella data l’80% delle emissioni attraverso una miriade di misure, alcune della quali coercitive e punitive, tra cui:

  • dimezzare le 600 mila vetture in circolazione nella città imponendo almeno due occupanti per vettura;
  • incoraggiare l’andare a piedi o in bici;
  • puntare ad un’“alimentazione meno carnosa” col divieto di distribuire la carne due giorni la settimana;
  • bloccare la circolazione nei week-end organizzando grandi feste popolari per le strade.

Piano che è rimasto poi sulla carta.

Rivoluzionare dall’alto i modi di vivere – nel presupposto che non accada in modo spontaneo – richiederebbe d’altra parte l’adozione di rigidi sistemi di pianificazione scarsamente accettabili dalle società moderne.

Una rivoluzione dall’alto o dal basso?

Come scriveva il sociologo Luigi Pellizzoni su ENERGIA nel 2021, modelli alternativi all’imposizione dall’alto di determinate scelte prevedono l’utilizzo la leva economica, una corretta informazione ed educazione degli individui, o ancora, a metà tra scelta e imposizione, il cosiddetto nudging ovvero «interventi pubblici o privati che orientano le persone in una particolare direzione ma che consentono loro anche di scegliere la propria strada».

Un altro ruolo importante che gli individui potrebbero giocare è quello di fare pressione presso i governi. Una leva che tuttavia non viene impiegata mostrando, come riscontra lo stesso Pellizzoni nell’ultimo numero di ENERGIA, l’opinione pubblica un supporto incostante verso le politiche per il clima e l’azione pro-ambientale.

D’altronde, le restrizioni necessarie per conseguire l’obiettivo net-zero ricadrebbero prevalentemente sulle classi meno abbienti mentre l’alta borghesia – nuova élite ambientalista – vi si adeguerebbe facilmente, potendo facilmente acquistare l’ultima auto elettrica o di rendere più green la propria abitazione.

La transizione energetica non è però solo questione di denari, tecnologie, fonti di energia, ma è ancor prima questione sociale che influisce sulla distribuzione dei redditi, sulle diseguaglianze, sul nostro vivere quotidiano.

La grande guerra per “salvare il pianeta” prevale su tutto, incluse le esigenze elementari della popolazione, come il calore, la mobilità, l’accesso al cibo.

Bisogna combatterla nei tempi che si richiedono come necessari senza accelerazioni, evitando che la net zero economy scardini le basi stesse della moderna civiltà che, in ultima istanza, metterebbe la parola fine a qualsiasi ambizione di transizione e lotta ai cambiamenti climatici.


Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it


Foto: Pixabay

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