Quando “piccolo era bello” i produttori di energia da fonti non fossili e rinnovabili vivevano irrefrenabili tassi di crescita della capacità installata grazie all’attrattività di investimenti allettanti. Cosa cambia lo sviluppo delle rinnovabili con l’aumento del costo del denaro e l’innalzamento dei costi con l’inclusione di quelli di stoccaggio?
Esisteva un passato dove “piccolo era bello”.
Un passato in cui all’interno di un panorama fatto di “grandi e cattivi” c’erano dei “piccoli e buoni” che crescevano rapidamente. Molto rapidamente.
I “grandi e cattivi” erano (e rimangono ancora) i produttori di combustibili fossili e la relativa produzione di energia elettrica ad alta impronta di carbonio: detestabili in quella che noi stessi riteniamo l’ineluttabile “transizione energetica”.
I “piccoli e buoni” erano (e rimangono ancora) i produttori di energia da fonti non fossili e rinnovabili.
L’elemento narrativo dell’inarrestabile sol dell’avvenire dei “piccoli e buoni” è stato che:
- i tassi di crescita di “capacità installata” di generazione di energia (elettrica) da fonti non fossili erano violentemente, irrefrenabilmente ascendenti. Come resistervi?
- una volta affrontati gli “investimenti iniziali” per avviare gli impianti di produzione, la generazione marginale di energia sarebbe avvenuta “a costo zero” per effetto della inerente auto-rinnovabilità della (sorgente di produzione di) energia stessa.
Nessuna delle due affermazioni è scorretta e purtuttavia nessuna delle due è vera in modo assoluto (sciolta, cioè, dalle condizioni di contesto – avrebbe detto Leonardo Sciascia – entro cui ciascuna di esse venga enucleata).
Abbiamo recentemente affermato (Banche, tassi d’interesse e quel pentolone d’oro alla fine dell’arcobaleno) due concetti a nostro parere piuttosto ovvi: il primo è che i sistemi energetici sono complessi. Il secondo, nonostante il decennio (anni 2010) di amnesia imposto obtorto collo dalle banche centrali occidentali, che il denaro “costa”.
Tassi di crescita di capacità installata rinnovabile in sistemi energetici complessi
Proviamo a mettere un poco di ordine, ad iniziare dai tassi di crescita di capacità installata rinnovabile in sistemi energetici complessi.
Seppure con marcatissime oscillazioni a livello geografico, la produzione di energia elettrica avviene in valore assoluto ancora eminentemente da fonti energetiche non rinnovabili, specie nei Paesi in via di sviluppo a demografia dinamica.
Stando ai dati di OurWorldInData, se nel 1985 sulla Terra si producevano 9.700TWh di Energia elettrica, nel 2021 se ne sono prodotti 27.800 (+18.100), 8.000 dei quali appannaggio della sola Cina.
Se escludiamo la generazione nucleare – che per il 2021 si assesta a 10% del totale e senza della quale sosteniamo peraltro da tempo sarà estremamente instabile qualsiasi sistema se ne vorrà privare del tutto – i livelli di produzione di energia elettrica da fonti non fossili contano ancora per circa il 28% del totale, il di cui 15% è idroelettrico. Detto in altri termini per ogni 100 unità di energia elettrica, nel 2021 oltre 60 sono di origine fossile e meno di 13 eoliche e solari.
È di tutta evidenza quindi che pur a fronte di straordinari ed inarrestabili “tassi di crescita” di capacità installata, l’incidenza sul totale dell’energia elettrica complessivamente prodotta a livello planetario è ancora molto contenuta.
L’aspetto curioso di questa vicenda è legato proprio al fattore “piccolezza” ed al fatto che, come accennavamo, esistano delle mastodontiche differenze di incidenza della produzione di energia da fonti rinnovabili presso diverse geografie.
Domanda elettrica stagnante o in crescita?
Il caso della California è di scuola. Con poco meno di 40milioni di abitanti ed un PIL oltre una volta e mezzo quello italiano, il Golden State è a tutti gli effetti un’area geografica né piccola né non sofisticata. Da sempre progressista e molto sensibile ai temi della sostenibilità, ha da tempo adottato un’aggressiva politica di defossilizzazione delle sorgenti di produzione elettrica tanto che il Governo della California afferma che nel 2022 la metà della generazione di elettricità interna sia stata da fonti rinnovabili – nucleare incluso – e con il solare che dal 2009 al 2021 è aumentato di 39 volte valendo il 17% del totale.
Proprio questa circostanza porta ad osservare un aspetto determinante della questione.
In ecosistemi maturi, evoluti, “occidentali”, la quantità totale di energia elettrica richiesta è grosso modo costate – se non calante – da ormai molto tempo. Se nel 2010 la California produceva 205TWh di elettricità, nel 2021 il valore si assestava a 194TWh.
In altri termini, in un contesto ancora pre-BEV, non solo la quota di energia prodotta da fonti non fossili è tutt’altro che piccola ma essa rappresenta una fetta del tutto determinante di una torta in contrazione. Detto più semplicemente: le fonti di energia non fossile sostituiscono quelle fossili, che quindi vengono dismesse.
Talché ne segue che l’incidenza relativa sul totale della produzione di energia elettrica da parte di sorgenti intermittenti non programmabili (eolico e solare) determina:
- La necessità di ricorrere a violente fasi di “riaccensione” della sempre meno amplia flotta di impianti di energia elettrica non intermittente (ad oggi: centrali a gas metano in California. Qui in Europa, si pensi allo sciagurato caso della denuclearizzazione tedesca ed al ruolo “riempitivo” suppletivo deferito alle centrali… a carbone!) quando venga meno la sorgente energetica rinnovabile (es.: giorno/notte) con paradossali sovra-produzioni di CO2 (si parva licet, rimandiamo all’utile video commento di Stefania Migliavacca)
- La necessità di ricorrere a corpose (dal 30 al 50% del totale) dosi di energia elettrica importata da Stati vicini, la cui produzione non necessariamente risulta altrettanto “verde”.
Se si immagina poi una torta che anziché restringersi dovesse allargarsi per effetto dell’aumento della domanda totale di energia elettrica in un mondo dove i veicoli elettrici a loro volta diventano frazione dominante della flotta veicolare, non si vede come i punti a) e b) non possano che diventare sempre più cogenti.
Potremmo chiosare dicendo quindi che “è bello finché è piccolo” ma se invece diventa adulto, un sistema di generazione elettrica non fossile diviene tutt’altro. Bisogna quindi necessariamente transitare oltre i peana delle percentuali a doppia o tripla cifra di crescita di “capacità installata” per affrontare i temi dell’età matura: reti, interconnessioni e stoccaggio.
Finanziamento e Costo del Denaro
Il che ci porta al secondo punto: finanziamento e costo del denaro, che impatto hanno sullo sviluppo delle rinnovabili?
Fino a poco tempo fa e sinanco ad oggi lì dove la fetta di energia elettrica rinnovabile è ancora piccola sul totale di energia elettrica prodotta, era consuetudine che frotte di analisti d’arrembaggio si producessero in avveniristici calcoli di LCOE – Equalizzatore dei Costi per la Generazione di Energia Elettrica – per le sorgenti rinnovabili di produzione di elettricità.
In un mondo infatti dove la quota di energia elettrica appannaggio delle fonti intermittenti è in violenta ascesa ma ancora dimensionalmente limitata si ha buon gioco nell’equalizzare il “costo d’impianto” per MWh scaturente da diverse sorgenti energetiche. È di tutta evidenza infatti che il rischio di intermittenza è “scaricato” sulle fonti energetiche fossili e/o non rinnovabili e quindi la competitività nell’attrarre capitali di finanziamento per impianti il cui prodotto “straccia” la concorrenza risultava incontrastabile.
Quest’ultimo punto ulteriormente rafforzato dal meccanismo di prezzo “marginale” impiegato in sede di fissazione del prezzo di un MWh in regimi di bouquet di fonti energetiche eterogenee e dai costi d’impianto e d’esercizio sommamente diversi.
LCOE: i limiti di una metrica che andrebbe superata
Ciò è risultato nell’ultimo quinquennio tanto più vero quanto più basse le occasioni di “rendimento” sul mercato dei capitali in un decennio – quello 2011/2020 – gravato dalla zavorra di ciclopiche operazioni non ortodosse di politica monetaria da parte delle principali banche centrali del pianeta. Come in una pressa al cui interno ci sia un fluido, comprimendo il liquido esso tenderà a defluire per dove esista un foro d’uscita per trovare nuovo alloggiamento. In quell’ecosistema – complici gli imbattibili LCOE – i capitali finanziari hanno fluito verso i nuovi El Dorado dell’IRR (Internal Rate of Return, ovvero Tasso Interno di Rendimento, una metrica tanto in voga quanto potenzialmente fallace della redditività richiesta a capitale finanziario impegnato in un certo Investimento).
Se il mondo ZIRP (Zero-Interest Rate Policy)è stato la “Croce e Delizia” degli irredenti investitori nella Shale Revolution fossile statunitense (si veda Il crollo dell’oro nero e il crepuscolo degli dei) che hanno visto andare in fumo decine e decine di miliardi di dollari inebriati dai fumi di IRR a doppia cifra mai realizzatisi se non nell’affatto speciale ecosistema energetico del 2022, più fortuna hanno avuto proprio grazie alla loro piccola “nicchia ecologica” gli investitori in impianti di generazione da fonti rinnovabili (eolico e solare).
Avvalendosi della esternalizzazione ai “fratelli grossi e brutti” delle loro consustanziali limitazioni fisiche, hanno permesso a tanti capitani coraggiosi di potersi fregiare di sontuosi rendimenti “certi” in un mondo dove investire in titoli di Stato decennali tedeschi garantiva rendimenti reali abrasivamente negativi.
Rinnovabili e la fine del mondo a tassi di interesse zero
La nuova musica suonata sui palcoscenici globali però induce a valutare con attenzione le direttrici che l’età adulta impone al variopinto mondo delle fonti di generazione non fossile di energia elettrica.
Da un lato, infatti inizia ad apparire fanciullesca l’idea di non includere quanto meno il costo di stoccaggio nella determinazione dei nuovi costi equalizzati di generazione. Sotto certe condizioni e in ancora limitati contesti operativi infatti aggiungere il LCOS (Equalizzatore del Costo di Stoccaggio) al LCOE garantisce di ridurre il consustanziale rischio di intermittenza specie dell’energia solare. Il che – inutile specificarlo – spinge all’insù il costo complessivo di generazione da sorgente intermittente.
Dall’altro, il livello di galleggiamento dei tassi di rendimento privi di rischio è nel mondo occidentale significativamente più elevato del decennio pregresso, specie in Europa. Proprio in quell’Europa dove furore agonistico alla defossilizzazione della produzione di energia elettrica è massimo per una geografia che pesa per l’8,7% del totale delle emissioni di CO2 planetarie e la cui intensità di carbonio dell’elettricità – assestatasi a 278gCO2e per KWh nel 2022 – si è abbattuta del 30% negli ultimi 20 anni seppur in un regime di domanda d’elettricità sostanzialmente stagnante attorno ai 2.700TWh.
Anche in Cina nonostante l’incremento di 7.000 TWh (o 7 volte) di produzione d’elettricità lungo lo stesso arco temporale l’intensità per kWh si assesta a 544 gCO2e, anch’essa in potente contrazione nell’ultimo ventennio ma ancora vastamente al di sopra di quella europea.
L’inasprirsi del costo opportunità (tasso di rendimento privo di rischio) e l’innalzamento dell’asticella di costo inerente all’avvio di nuovi impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili intermittenti (LCOE+LCOS) pare determinare un nuovo paradigma di fattibilità a quella strada di mattoni dorati che Dorothy credeva fosse fiabescamente già spianata.
Nella sua Solari Lecture alla Geneva School of Economics and Management nel Novembre del 2021, il premio Nobel Jean Tirole sostenne – e noi umilmente lo sosteniamo pure – che il bisogno delle masse di “narrative zuccherose” che accompagnino momenti di scarto digitale tra un “prima” ed un “dopo” rischia di scontrarsi contro l’iceberg della fattibilità, non solo e non tanto tecnico-scientifica ma anche finanziaria delle pur necessarie misure per arginare il fenomeno sempre meno celato dell’alterazione climatica di natura antropogenica.
È per questo che, senza muri ideologici ma con solidi armamentari di competenza da discipline diverse e l’una all’altra ancillari, la Politica ed i policy makers devono lavorare perché la transizione energetica sia giusta, inclusiva, sostenibile e fattibile.
Domenicantonio De Giorgio, Professore a contratto, Università Cattolica del Sacro Cuore ed Ufficio Studi “EnergyWorking”
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