7 Giugno 2023

3 ostacoli delle rinnovabili

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Staticità della penetrazione elettrica nei consumi finali di energia, prezzi negativi sempre più frequenti, bassa redditività sono tre ostacoli che si frappongono al pieno dispiegamento delle fonti rinnovabili che si vorrebbero in grado si sostituire le fossili in tempi sostanzialmente brevi: solare ed eolico.

Vi è consenso negli organismi internazionali – dall’Agenzia di Parigi alla Commissione europea – sul fatto che le fonti fossili, tuttora dominanti nel mix energetico mondiale, siano destinate ad uscirne in tempi relativamente rapidi causando enormi stranded cost alle imprese che le producono.

A determinare questo spostamento strutturale verso un mondo low carbon sarebbe una combinazione di forze di mercato e politiche pubbliche. Eppure, a ben vedere, le forze di mercato difficilmente operano contro le fonti tradizionali che sono relativamente molto più remunerative perché più efficienti quanto a densità energetica, accessibilità, continuità, onerosità.

Cosa guida la crescita delle rinnovabili, politica o mercato?

Le fonti fossili hanno conquistato la propria posizione sul campo grazie ad innovazioni tecnologiche dirompenti, a partire dalla macchina a vapore. Le rinnovabili, invece, più che ai miglioramenti della tecnologia devono la loro convenienza in larga parte al sostegno della politica, sia in via diretta (specie sussidi) che indiretta (priorità di dispacciamento).

Sebbene sia innegabile una forte contrazione dei loro costi diretti, solare ed eolico non possono dirsi autosufficienti, necessitando di impianti, generalmente a gas, che svolgano una supplenza (backup) alla loro discontinuità, per lo meno fino a quando non si rafforzeranno gli accumuli o verranno adattate le infrastrutture di trasmissione dell’elettricità per sopperire alle esigenze di flessibilità del sistema elettrico che si va definendo al crescere della loro penetrazione.

Costi indiretti che in entrambi i casi dovrebbero essere addossati alle rinnovabili. Un confronto metodologicamente corretto sulla convenienza delle varie fonti dovrebbe infatti considerare, per ognuna, l’insieme dei costi che comporta, e degli eventuali sussidi di cui beneficiano.

Quel che in parte si comincia a fare con riferimento a metriche che superano i limiti del tanto sbandierato quanto fallace LCOE (Levelized Cost of Energy), che non considera il contributo delle firm low-carbon resources in termini di adeguatezza delle forniture e di sicurezza del sistema. Ne sono esempio il Levelized Cost of Storage (LCOS) e il  Levelized Cost of Timely Electricity (LCOTE) che tiene conto dei costi di tutte le tecnologie necessarie a garantire la disponibilità di potenza elettrica.

Oltre il Levelized Cost of Energy

Ne consegue che le forze di mercato da sole non causeranno il successo delle nuove rinnovabili, e nemmeno un forte declino nel valore di mercato dello stock di capitale che supporta le fonti tradizionali. Quel che avverrà nell’arco di molti anni nel normale processo di deprezzamento di lungo termine degli investimenti.

Vi sono poi altri ostacoli che si frappongono a una penetrazione delle rinnovabili in linea con l’obiettivo net-zero a metà secolo che, nonostante l’impressionante crescita percentuale a due cifre (si veda il Renewable Energy Market Update di giugno della IEA), è ancora di molto lontano dal conseguirsi.

La prima è la staticità della quota dell’elettricità nell’insieme dei consumi energetici, che da anni non va al di là del 20%. Che possa raddoppiare o più nel giro di pochi anni è poco plausibile, rimanendo l’altro 80% fuori dalla loro portata.

La seconda difficoltà è l’accresciuta frequenza di prezzi negativi in diversi mercati elettrici europei – come Germania, Belgio, Olanda e da ultimo quello finlandese – ove il produttore si trova costretto a cedere l’elettricità senza ricavarne alcunché in ragione dell’eccesso di offerta, dell’impossibilità a modularla, dei costi marginali pari a zero delle rinnovabili.

Fonte: Epexspot

Si è innescato in sostanza un circolo vizioso che vede al loro aumento una riduzione dei prezzi medi dell’elettricità e dei loro ricavi unitari. Una sorta di ‘effetto di cannibalizzazione’ destinato ad acuirsi nel tempo.

We don’t have a shortage of capital, we have a shortage of returns

L’ultimo dei 3 ostacoli, diretta conseguenza di questo aspetto, è la bassa redditività delle rinnovabili, come denunciato in un recente articolo del Financial Times che riporta i risultati dell’indagine condotta dalla società di consulenza Bain&Company a 600 executive di imprese energetiche e da cui emerge che oltre i 3/4 sono restii ad investire nelle rinnovabili, da un lato, per l’insufficiente redditività che possono garantire e, dall’altro, per la scarsa disponibilità dei consumatore a pagare di più.

Quel che contrasta con la continua affermazione che le tecnologie low-carbon sono divenute più competitive di quelle tradizionali, non abbisognando più di alcun supporto esterno.

Come ha dichiarato al FT un alto dirigente di Bain: We don’t have a shortage of capital, we have a shortage of returns” I capitali ci sarebbero ma la redditività che le rinnovabili possono garantire non è attrattiva rispetto ad altri settori. Delle 9 barriere riportate da Bain che costituiscono ostacoli alla crescita delle rinnovabili, la prima è data appunto dai bassi ritorni sul capitale investito. 

Mi sembra in conclusione che si possa sostenere che la transizione energetica al dopo fossili, già di per sé complessa, va incontrando nuove e crescenti difficoltà, che finiscono per ribadire il ruolo centrale delle fonti fossili e la necessità che ad esse sia prestata maggiore attenzione.

In particolare, al petrolio ove la prospettiva di un deficit di offerta nel secondo semestre dell’anno e di un probabile aumento dei suoi prezzi ha determinato il 5 giugno un balzo di quelli del gas in tutte le piattaforme europee, specie in quella italiana con un +28,6% invertendo una flessione che perdurava da mesi.  


Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it


Foto: Unsplash

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