In questo nuovo articolo della rubrica di geopolitica dell’energia, approfondiamo le implicazioni delle iniziative e narrazioni contrastanti tra autorità europee, Stati Membri e compagnie energetiche riguardanti il ruolo spettante al gas naturale nel futuro dell’Europa.
Mai, nel corso degli ultimi decenni, l’UE ha connesso così profondamente la propria strategia energetica alle capacità della diplomazia comunitaria, generando però un percorso parallelo dei processi di transizione e sicurezza energetica che non fanno altro che mettere in rilievo il manicheismo europeo sul gas e le sue contraddizioni. A più di un anno dall’implementazione di REPowerEU, di certo la risposta strategica più importante delle istituzioni comunitarie in materia energetica all’invasione dell’Ucraina, a Bruxelles si tira più di un respiro di sollievo. Dai record del 2022, i prezzi di gas ed elettricità si sono corposamente ridotti e i consumi, massicciamente ripiegati, hanno ridotto la pressione sui mercati e aiutato l’Europa a ridurre le importazioni dalla Russia. Mentre si è deciso di sviluppare velocemente nuove infrastrutture per l’import di gas e GNL, continui e talvolta ambigui messaggi sono stati lanciati a diversi partner dell’Europa.
Ma come sta rispondendo il mercato del gas naturale, quali sono i messaggi che a loro volta gli operatori e i paesi esportatori stanno dando alle politiche europee? La reazione è tutt’altro che uniforme e coerente e la crisi energetica globale, con epicentro l’Europa, dà prova di non aver ancora esaurito la propria dirompente forza.
Gemelli diversi in Europa: sicurezza e transizione energetica
Secondo la Commissione, l’UE è riuscita ad annientare il tentativo russo di far breccia nel fronte interno grazie a misure come il Piano REPowerEU, giunto al suo primo anniversario. La strategia al 2030 guarda parallelamente a nuove importazioni di GNL (50 miliardi di metri cubi), idrogeno verde (10 milioni di tonnellate) insieme ad un’accelerazione senza precedenti delle rinnovabili. Ad appaiare queste iniziative, vi sono gli obiettivi di riduzione dei consumi di gas, largamente confliggenti con una costosissima espansione della capacità europea di importare GNL.
Come mai nel passato, oggi transizione e sicurezza sono coniugate in un unico vettore. La Commissione, secondo il Vice-Presidente Timmermans, non può accettare alcun rallentamento che invece causerebbe un ecocidio. Un processo che per Timmermans coinvolge inevitabilmente anche le compagnie dell’Oil & Gas che, oltre a diminuire gli investimenti, devono essere parte della soluzione, anticipando un possibile terreno d’incontro per la prossima COP28 del prossimo novembre.
Per Bruxelles, sicurezza e transizione energetica sono ormai categorie simbiotiche. D’altronde, la crisi ha reso le ambizioni comunitarie ancor più inflessibili. Al termine di una laboriosa e a tratti estenuante negoziazione, un accordo sembra essere stato raggiunto tra Parigi e Berlino, includendo il nucleare tra le fonti green. Le fonti rinnovabili contribuiranno così per il 42,5% del mix energetico europeo entro il vicinissimo 2030, erodendo ulteriormente lo spazio per il gas, soprattutto nel mix elettrico, il che non fa che accentuare il manicheismo europeo sul gas e le sue contraddizioni.
Da sottolineare vi è una delle lezioni maggiori insegnateci dall’anno scorso. Neppure i prezzi stellari raggiunti dai combustibili fossili, e in particolare quelli del gas naturale (Figura 1), possono nulla nel limitare il ruolo degli idrocarburi, rimasti nel 2022 costanti e rispondenti all’82% del fabbisogno energetico globale.
I dubbi amletici di Bruxelles
Gli Stati Membri hanno deciso di perseguire nella riduzione volontaria del 15% dei consumi di gas sino al marzo 2024. Un obiettivo, quello della riduzione dei consumi di oltre 50 miliardi di metri cubi in Europa nel 2022, largamente raggiunto grazie al semplice segnale derivato dai prezzi (Figura 1) ma di cui l’Unione Europea rivendica una responsabilità diretta.
Vari provvedimenti, tra cui la ‘EU Save Energy Communication’, avrebbero indotto cambiamenti nei comportamenti delle popolazioni europee e accelerato l’efficientamento energetico delle loro abitazioni. Ad esempio, l’Europa è uno dei fulcri della crescita senza precedenti del fotovoltaico residenziale nel 2022, con oltre 20 GW installati in soli tre paesi: Spagna, Germania e Polonia. Secondo uno studio di E3G, se tutte le misure annunciate dall’Europa venissero implementate, la riduzione dei consumi di gas sarebbe di oltre il 50%, trasformando radicalmente, in soli 7 anni, il sistema energetico europeo.
L’abbattimento dei consumi di gas europei si deve anche imputare alla distruzione, ormai definitiva, di parte della domanda industriale di gas in Europa. I prezzi hanno minato alle fondamenta i settori altamente intensivi nell’utilizzo di gas e, anche in questi mesi, i consumi permangono di poco superiori a quelli registratisi al picco della pandemia da Covid-19. Ennesimo segnale che la crisi non se ne è andata.
Peraltro, le aspettative per le economie europee rimangono pessimistiche. Berlino si attende una contrazione nell’anno o, al meglio, una leggerissima crescita. I settori dei macchinari, dei produttori di automobili e della chimica, dipendenti dall’utilizzo di gas, sono quelli che si presume pagheranno il prezzo più caro della congiuntura.
L’UE si è anche molto spesa per ravvivare gli impegni verso la decarbonizzazione del recente G7 di Hiroshima. Nuovi ambiziosissimi target per la generazione da fonti rinnovabili sono stati annunciati. Eppure, sul tema del settore gassifero, il manicheismo europeo esce malconcio. Pur invitando i paesi ad accelerare la transizione ed abbattere i consumi di gas, il vertice ha di fatto promosso nuovi investimenti, in particolar modo nel GNL, per eliminare la dipendenza da Mosca.
Europa chiama…
Il manicheismo europeo sul gas e le sue contraddizioni appaiono ripetutamente nei messaggi lanciati dall’Europa al resto del mondo. In questi mesi, i vertici comunitari hanno rimarcato come un mantra il successo nel rispondere collegialmente all’iniziativa di Mosca. L’abbattimento della dipendenza dal gas russo via gasdotto, dal 40% del 2021 al 6-8% odierno, e la riduzione dei prezzi, le quotazioni del day-ahead sul mercato TTF sono scese di circa il 50% dall’inizio dell’anno, rappresentano per Bruxelles il risultato di una strategia di “coerenza politica”. La recente instabilità osservata sull’indice TTF evidenzia ancora una volta come le sfide per i consumatori intensivi di gas nel nostro continente non siano terminate con una riduzione dei consumi e una dipendenza inferiore dal gas russo.
Come asserito dalla stessa UE, la scelta degli Stati Membri di non agire in base a linee guida nazionaliste ha portato a una diversificazione più efficace delle forniture. La Commissione spera anche di far valere il proprio peso attraverso una Piattaforma Comune per gli acquisti di gas che, a un anno dall’annuncio, è recentemente entrata in funzione. I risultati della prima gara, ovvero l’incontro al buio tra offerenti e compratori per 10.9 miliardi di metri cubici, sono ora oggetto di una contrattazione segreta tra le parti. Mentre la Commissione tesse le lodi dell’operazione, annunciando che alcuni contratti sono già stati siglati, i risultati ottenuti dalla Piattaforma sono tuttora riservati. La tutela degli interessi privati viene prima di tutto, affermano le autorità.
Mentre si attende l’annuncio dei contratti firmati attraverso la Piattaforma è doveroso sottolineare come nessuno dei partecipanti sia vincolato a portare a termine le negoziazioni. Nel frattempo a Bruxelles ci si è affrettati a lanciare un secondo round di acquisti e altri se ne prevedono entro la fine del 2023.
In fatto di diversificazione dal gas russo, il GNL l’ha fatta da padrone e il 2022 ha modificato, forse per sempre, la mappa dei flussi di gas a livello planetario. In Europa, questo ha raggiunto un volume pari al 45% delle importazioni totali (Figura 2) nell’ultimo trimestre dell’anno e, anche nel 2023, le importazioni di GNL permangono ad altissimi livelli. Secondo l’ultima edizione dello Statistical Review of World Energy, il GNL ha sorpassato per la prima volta il gas transitante via gasdotti verso l’Europa. Un annuncio che però appare al momento più sensazionalistico che altro, visto che il calcolo espunge le importazioni europee da Norvegia e Regno Unito, in larghissima parte via gasdotto.
…esportatori e compagnie rispondono
Le considerazioni precedenti fanno comunque ben comprendere l’inevitabile accelerazione, anche a livello di narrazione, della globalizzazione del mercato del gas come conseguenza del conflitto ucraino-russo e della guerra energetica tra Bruxelles e Mosca. Un processo tuttora incompleto e nel quale la frammentazione del mercato crea vari cortocircuiti in cui gli alti prezzi in una parte del mondo non necessariamente si trasmettono a consumatori in altri luoghi. Costi crescenti, i quali colpiscono le fasce più povere dei paesi dell’Europa Occidentale, in particolare quelli dove i governi non sono riusciti ad implementare politiche sufficientemente accorte, inclusa l’Italia. Misure applicate dunque a livello nazionale che non fanno altro che acuire le distanze tra le economie del Vecchio Continente.
La coerenza e compattezza europea possono essere oggi misurate anche sotto altri punti di vista. Per esempio, poco risalto ha avuto il fatto che, al contrario di quanto si potesse aspettare in una fase di scarsità dell’offerta, i venditori di gas sono risultati maggiormente disponibili della controparte, mettendo sul tavolo della Piattaforma Comune volumi del 20% maggiori rispetto le richieste dei compratori europei. Dall’altra parte, le negoziazioni in corso, e sperabilmente in fase di finalizzazione, stanno coinvolgendo per l’80% gas offerto via gasdotto e soltanto per la parte residuale volumi di GNL. Segnali che varrebbe la pena leggere in profondità e anch’essi parte delle contraddizioni del manicheismo europeo sul gas.
I produttori già collegati ai mercati europei tramite imponenti gasdotti come Norvegia, Algeria, e in parte Azerbaijan, possono infatti godere di una maggiore flessibilità nel massimizzare le esportazioni nel breve periodo. Ciò è fattibile, ad esempio, limitando l’iniezione di metano nei pozzi petroliferi per ottimizzarne l’estrazione, rendendo disponibili così nuovi volumi per l’export.
Ne è un esempio proprio la Norvegia, che nel 2022 ha aumentato la produzione di gas oltre i 120 miliardi di metri cubi, divenendo così il principale esportatore di gas verso l’UE e sostituendo di fatto la Federazione Russa grazie alla presenza di una fitta rete infrastrutturale (Figura 3). Si noti quindi come la recentissima approvazione del governo di Oslo di investimenti pari a 18,5 miliardi di dollari nel settore dell’Oil & Gas si inserisca perfettamente nella strategia norvegese di aumentare le esportazioni verso il mercato UE e quello del Regno Unito.
Una decisione che pone le basi per rinforzare il ruolo della Norvegia come superpotenza degli idrocarburi in Europa nei prossimi decenni e che difficilmente si concilia con la “visione comune nella costruzione di un continente a impatto climatico neutrale”, fondamentale nella Green Alliance siglata da UE e governo norvegese non più di due mesi fa, alla presenza di von der Leyen e del Primo Ministro Støre.
Un interessante spunto di riflessione lo fornisce anche l’acquisizione, risalente alla settimana scorsa, di Neptune Energy da parte di Eni. Un affare valutato poco meno di 5 miliardi di dollari e una delle maggiori operazioni del settore Oil & Gas nell’ultimo decennio. Grazie agli asset di Neptune, consistenti in un portfolio produttivo costituito al 70% circa da gas, Eni ha la possibilità di consolidare ulteriormente la propria posizione di attore primario in diversi paesi.
Tra questi vi è la stessa Algeria, dove si trova l’impianto di Touat. Un’operazione, quella di Eni, che evidentemente rientra nella strategia di Roma di rendere la nostra Penisola un hub energetico al centro del Mediterraneo. La scommessa in questo caso è però doppiamente rischiosa visto che Touat, la cui capacità produttiva è stimata attorno i 4,5 miliardi di metri cubi di gas annuali, ha subito diversi stop tecnici nel recente passato. Le attività degli impianti dovrebbero riprendere a pieno soltanto a fine 2024.
Infine, Neptune Energy lascia in eredità alla sussidiaria norvegese della compagnia del cane a sei zampe, Vår Energi, importantissimi asset. Valutati poco meno del 50% dell’intero affare e localizzati principalmente nel Mare del Nord e nella Piattaforma Continentale Norvegese, queste risorse secondo Eni “calzano eccezionalmente” con il focus geografico della compagnia nei mari artici.
Risorse che vanno nella direzione di incrementare la quota produttiva corrispondente al gas al 60% del totale di Eni e raggiungere l’obiettivo di emissioni zero (Scope 1+2) nel settore upstream al 2030. La stessa data entro cui la Commissione vorrebbe abbattere del 55% le emissioni rispetto i livelli del 1990 e ridurre del 30% i consumi di gas nell’Unione Europea, come affermato da REPowerEU.
Il manicheismo europeo sul gas e le sue contraddizioni, figlie di un’epoca in cui lo spazio per il confronto si è sempre più ridotto, anche in Europa, portano allo scontro di posizioni sempre più oltranziste e le quali appaiono via via divenire ancor più inconciliabili tra loro.
Francesco Sassi è dottore in geopolitica dell’energia presso l’Università di Pisa e analista dei mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche
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