27 Giugno 2023

L’Europa nell’era dell’insicurezza energetica

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Quale ruolo può ritagliarsi l’Unione Europea nell’era dell’insicurezza energetica? Le politiche nazionali contano sempre meno, eppure ciascuno Stato si muove per conto suo. Il coordinamento, secondo Romano Prodi, dovrebbe stare al centro dell’azione della Commissione. Ma sembra lontano dall’osservarsi.

Dopo esser stata a lungo oscurata dalla necessità di concertare una concreta azione per il clima, la sicurezza energetica è tornata un imperativo per gli Stati. Decisiva è stata la sciagurata invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022, sebbene le avvisaglie vi fossero già da tempo, tanto che data novembre 2021 il  commento del nostro direttore Alberto Clò dal titolo Un tempo di chiamava “sicurezza energetica”.

La ricerca del suo perseguimento è un elemento fondante di quel Nuovo Ordine Energetico che abbiamo iniziato ad indagare a partire da ENERGIA 3.22. Come sia mutata rispetto alla canonica definizione di “disponibilità di forniture sufficienti a prezzi accessibili” è oggetto dell’analisi che su questo nuovo numero riprendiamo da Foreign Affairs a firma di Bordoff e O’ Sullivan.

Quale ruolo possa e debba ambire a ritagliarsi l’Unione Europea in questa era dell’insicurezza energetica, lo abbiamo invece chiesto a chi l’Unione la conosce da vicino, il già Presidente della Commissione Romano Prodi.

“La questione della sicurezza energetica – profondamente mutata e aggravatasi rispetto a quel che si intendeva un lontano tempo – ha preso a prevalere nell’agenda dei governi su ogni altra questione, ambiente incluso. Così che il carbone ha conosciuto nuovi record di consumi, mentre nel Regno Unito dopo decenni di chiusure delle miniere se ne è aperta una nuova”.

Non si conosce un solo documento della Commissione ove si rifletta sulle criticità economiche e politiche della questione petrolifera

Eppure, in Europa “il dibattito su queste «energie tradizionali» è quasi scomparso, essendo totalmente concentrato sulle «nuove energie» pulite: comunque imprescindibile perno della transizione energetica al dopo-fossili”.

“Non stiamo prestando” sostiene il presidente della Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli “sufficiente attenzione agli squilibri geopolitici e geoeconomici che l’insieme di questi cambiamenti sta causando. Non solo il Covid-19 e la guerra in Ucraina hanno sconvolto i mercati e creato imprevedibili scarsità, ma nuove alleanze e nuovi rapporti politici stanno rendendo più complicato il raggiungimento della necessaria neutralità climatica”.

“È ormai chiaro che i petroStati, prima che il mondo passi alle nuove energie, godranno di un lungo periodo di tempo nel quale potranno esercitare, con la protezione della Cina e in conseguenza dei sempre minori investimenti delle imprese occidentali, un potere dominante nel mercato del petrolio e quindi nelle economie mondiali”. Sebbene i produttori del Golfo non paiano al momento capaci di massimizzare e consolidare questa opportunità geopolitica, come emerge dall’analisi di Giacomo Luciani sempre su questo numero, che la situazione possa mutare col procedere della transizione non va escluso.

Aramco vs 5 supermajors = 9 a 8,5 mil bbl/g (su una domanda diaria di oltre 100 milioni)

“Doveroso notare che, intorno al petrolio, si sta formando un impressionante blocco politico che si estende dalla Russia all’Asia e al Medio Oriente. Un’alleanza che si è recentemente rafforzata con il riavvicinamento fra Iran e Arabia Saudita, patrocinato dalla Cina che, importando 11 milioni di barili al giorno di petrolio, è diventato di gran lunga il suo più grande acquirente al mondo e sta persino sostituendo il petrodollaro con il petroyuan”.

 “Ancora più critica è la situazione dei materiali strategici impiegati nei prodotti finali che stanno alla base delle nuove energie”, ma anche della rivoluzione digitale, come analizza su questo numero Christoph Poinssot approfondendo il tema della dipendenza dei paesi europei, la scarsità di risorse oggi disponibili e la loro concentrazione geografica.

Vero è che con il Green Deal Industrial Plan, passato al setaccio da Chiara Proietti Silvestri, l’Europa sta tentando di recuperare il controllo di alcune fasi della catena del valore della transizione energetica, ma secondo l’ex-Presidente della Commissione “per affrontare questo lungo e complicato periodo di transizione occorre quindi rifondare completamente la politica energetica, con una particolare urgenza da parte dell’Europa. Non solo nei confronti del petrolio e del gas naturale, quasi interamente importati. A questo si aggiunge il nucleare, (…) sostanzialmente escluso dalle scelte della maggior parte dei governi europei”.

Ci troviamo davanti a una rivoluzione già in corso, nella totale incertezza sui modi e sui tempi necessari per superarla

“Le grandi risorse necessarie per esplorare le potenzialità delle diverse alternative per affrontare la transizione energetica, recuperando una presenza tecnologica ormai perduta, possono essere reperite solo costruendo un grande comune progetto europeo”.

“Le politiche nazionali contano sempre meno dipendendo sempre più dalle decisioni degli altri paesi. Un’interdipendenza che richiederebbe un forte coordinamento delle decisioni dei singoli paesi che, come va accadendo, muovono ciascuno per conto suo. Un coordinamento che dovrebbe stare al centro dell’azione della Commissione europea, ma che anche in questo caso sembra lontano dall’osservarsi”.


Il post presenta l’articolo di Romano Prodi L’Europa nell’era dell’insicurezza energetica pubblicato su ENERGIA 2.23 (pp. 22-24)

Romano Prodi, Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli


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