21 Giugno 2023

Per il Golfo è il momento del “banchetto prima della carestia”?

LinkedInTwitterFacebookEmailPrint

Se nel lungo periodo la transizione energetica minaccia di ridurre il peso geopolitico dei paesi del Golfo, nel breve periodo potrebbe invece consolidarlo ulteriormente. Eppure, sostiene Giacomo Luciani su ENERGIA 2.23, questa possibilità è limitata a causa dall’incapacità di avviare la regione oltre un’economia basata sugli idrocarburi, un percorso sinora minato da scelte strategiche errate.

“Non più tardi di 18 mesi fa” scrivono Jason Bordoff e Meghan O’Sullivan nell’articolo L’era dell’insicurezza energetica che fa da perno al nuovo numero di ENERGIA “molti politici, accademici ed esperti sia negli Stati Uniti che in Europa tessevano le lodi dei vantaggi geopolitici dell’imminente transizione verso un’energia più pulita e verde.

Pur consci del fatto che l’abbandono dei combustibili fossili sarebbe stato difficile per alcuni paesi, nel complesso il sentire comune vedeva il passaggio a nuove fonti di energia non solo come arma contro il cambiamento climatico, ma anche come pietra tombale delle problematiche geopolitiche del vecchio ordine energetico”.

Transizione energetica come pietra tombale delle problematiche geopolitiche del vecchio ordine energetico?

Una narrazione semplificata ed edulcorata di cui soffre spesso la transizione energetica, con la tendenza ad esaltarne i vantaggi e minimizzarne i rischi. Non fa eccezione la geopolitica, come emerge anche dall’analisi che sullo stesso numero Giacomo Luciani propone sulle prospettive dei produttori del Golfo.

La “copiosa letteratura sulle conseguenze geopolitiche delle transizioni energetiche”, scrive il professore del Geneva Graduate Institute, converge nel concludere che i “paesi esportatori di petrolio e gas perderanno di importanza e peso geopolitico, mentre i paesi produttori di metalli necessari alla transizione, o dotati di ampie risorse di energia rinnovabile, ne guadagnerebbero”.

“Questa tipologia di analisi soffre del fatto che non considera il cammino intermedio, cioè come si ipotizza che si passi dalla situazione attuale a quella auspicata, quasi che fosse irrilevante la successione dei mutamenti necessari per passare da uno stato all’altro. (…) In questo lasso di tempo, la storia può svolgersi lungo cammini molto diversi, alcuni dei quali vedrebbero un aumentato, anziché ridotto, peso politico degli esportatori di idrocarburi, come in particolare la Federazione russa e i paesi del Golfo”.

L’aumentato peso contrattuale dei paesi del Golfo non è veramente in grado di influenzare le scelte politiche dei paesi industriali

Quello che Bordoff e O’Sullivan chiamano “banchetto prima della carestia”, che può portare il corso degli eventi a prendere pieghe lontane da quelle teorizzate come più probabili.  Tuttavia, secondo Luciani questo “banchetto” non pare essere ancora servito, o meglio, non è detto che i commensali sapranno effettivamente approfittarne.

“L’invasione dell’Ucraina (…) ha sottolineato l’importanza geopolitica dei paesi del Golfo. (…) Ma, ad un anno di distanza, si ha netta l’impressione che in realtà il peso politico dei paesi della regione non sia affatto aumentato. (…) Sembrano tuttora convinti di essere in posizione di forza, e perseguono ostentatamente maggiore indipendenza nei confronti degli Stati Uniti, ma l’impressione è che in realtà il loro potere contrattuale sia molto più ridotto di quanto possano immaginare”.

A supporto, l’Autore descrive alcuni importanti meccanismi economici, energetici e diplomatici che si sono innescati a seguito della sciagurata invasione: dalla distruzione della domanda, all’efficacia delle sanzioni e l’utilizzo delle riserve strategiche, alla risposta delle compagnie internazionali all’impennata dei prezzi.

L’analisi di Luciani ci ricorda l’importanza di mantenere un monitoraggio costante sull’evolversi anche dall’ottica della geopolitica dell’energia senza dare niente per ovvio o scontato. Sebbene sia infatti ragionevole immaginare una crescita temporanea del peso geopolitico dei paesi del Golfo, il corso degli eventi non si può prevedere.

Persi in una fantasia futurista regionalista

È il caso, ad esempio, di errori di calcolo, come quello che parrebbero aver commesso l’Arabia Saudita nel posizionamento nei confronti della crisi ucraina o l’OPEC Plus con la decisione di ridurre le quote di produzione di due milioni di barili al giorno nel novembre 2022. Scegliendo di fiancheggiare la Russia e approfondendo i legami con Pechino, i produttori del Golfo rischiano di perdere credibilità presso i partner commerciali in Occidente, Stati Uniti ed Europa in primis, con importanti ricadute nel lungo periodo.

In conclusione, nell’attuale fase di ristrutturazione delle relazioni energetiche internazionali, i paesi del Golfo sono attesi assumere la leadership in Medio Oriente. Eppure, non paiono in grado di guidare fuori dalle rispettive crisi i numerosi paesi “sull’orlo del collasso economico e politico, dal Libano all’Egitto, dalla Siria al Sudan, dall’Iraq allo Yemen, per non menzionare la Libia”.

Il peso geopolitico dei paesi del Golfo resta limitato dalla loro incapacità di guidare la regione verso un vero processo di sviluppo che guardi oltre un’economia basata esclusivamente sugli idrocarburi. Al contrario, restano immersi in una fantasia futurista regionalista, “ben rappresentata dal folle progetto Neom, nel quale Mohammed bin Salman profonde miliardi su miliardi di dollari – mentre la maggioranza della popolazione della regione soffre in condizioni di povertà spesso estrema”.


Il post presenta l’articolo di Giacomo Luciani L’occasione mancata dei produttori del Golfo 
pubblicato su ENERGIA 2.23 (pp. 16-20)

Giacomo Luciani, Geneva Graduate Institute

Foto: Unsplash

0 Commenti

Nessun commento presente.


Login