3 Agosto 2023

Guterres vs Skea: l’importanza di un’efficace comunicazione climatica

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L’importante è che se ne parli a costo di risultare eccessivamente catastrofisti (Guterres) o il catastrofismo rischia di demotivare l’azione climatica (Skea)? Il diverso stile comunicativo tra il Segretario Generale delle Nazioni Uniti e il nuovo capo dell’IPCC è un’occasione per ragionare sull’importanza della comunicazione.

“The era of global boiling has arrived”, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, è noto per le dichiarazioni shock sul clima: spesso le sue frasi ad effetto rimbalzano nei feed e sui giornali. Se l’obiettivo è che se ne parli, sicuramente lo scopo viene raggiunto. Non tutti gli esperti però concordano su questo stile comunicativo.

Jim Skea, il nuovo capo del panel sul clima dell’IPCC, in una delle sue prime interviste a Der Spiegel, ha affermato che forse non è stato utile insinuare che mancare l’obiettivo di 1,5° rappresenti una minaccia esistenziale per l’umanità. “Se comunichi costantemente il messaggio che siamo tutti destinati all’estinzione, questo paralizza le persone e impedisce loro di agire per tenere sotto controllo il cambiamento climatico”.

Le parole sono importanti

Capire quale stile comunicativo sia migliore è oggigiorno assai importante, visto che viviamo immersi nei media. Guterres sembra avere optato per un registro netto: una narrazione avvincente e sensazionale per cercare di attirare l’attenzione della gente e fare in modo che i governi prendano sul serio il cambiamento. Può funzionare?

Nel mese di luglio, nessuno ha potuto ignorare quello che ha visto accadere non più solo in TV ma fuori dalla finestra: un susseguirsi di eventi estremi alimentati dal cambiamento climatico, con effetti disastrosi su persone e luoghi. Ondate di caldo estreme, inondazioni improvvise, incendi continui, temperature oceaniche da record e altro ancora: tutto viene amplificato dal riscaldamento (o ebollizione) del nostro pianeta.

Questa volta non si parla di India o Pakistan ma di Seregno, Ravenna, Palermo, Catania. Lasciando perdere il caso disperato di chi ancora non accetta l’evidenza scientifica, possiamo aspettarci che l’esperienza della crisi climatica alle porte di casa stimolerà l’azione? In una certa misura probabilmente sì. Vedere le vacanze andare in fumo, persone, luoghi e cose che amiamo subire danni e disagi smantella una delle principali barriere all’azione per il clima: la distanza psicologica.

Uno studio di Yale sulla comunicazione del cambiamento climatico ha concluso che le ondate di calore e siccità rendono le persone più consapevoli e preoccupate per il clima.

Fig. 1 – Feedback rinforzante: scenari futuri di disastro climatico generano rifiuto mentale e provocano paralisi e inazione, peggiorando la crisi climatica

Preoccupazione e azione non sono per forza la stessa cosa

Ma preoccupazione e azione non sono per forza la stessa cosa. Esistono ostacoli di diversa natura all’azione. Il primo è il dubbio della mancanza di efficacia: se faccio qualcosa, farà la differenza? Per non parlare della minoranza più sprezzante o dubbiosa: la loro barriera è l’avversione alla soluzione. Sono convinti che l’azione per il clima sia peggiore dell’inazione perché li priverà del loro benessere, del loro stile di vita, della loro libertà o della loro ideologia.

La Figura 1 rappresenta questa dinamica con un Causal Loop Diagram (CLD), usato tipicamente nel pensiero sistemico: con l’aumentare di eventi legati al cambiamento climatico, aumenta la preoccupazione delle persone ed aumenta il volume di informazioni su scenari futuri catastrofici. Questo genera maggiori reazioni di difesa e rifiuto che portano all’inazione, peggiorando ricorsivamente la situazione. Si tratta di un feedback rinforzante, destinato a generare dinamiche esponenziali.

Quando parliamo di cambiamento climatico, dobbiamo domandarci se è costruttivo limitarsi a trasmettere evidenze scientifiche. Questo è quello che gli studiosi della comunicazione della scienza chiamano “deficit model”: si assume che il pubblico sia ignorante di questioni scientifiche e per colmare questa carenza è sufficiente riversare più informazioni nelle loro teste.

Research shows that showing people research doesn’t work

Appellarsi a questo modello può rivelarsi limitante: trasmettere evidenze scientifiche a chi ascolta non raggiunge l’obiettivo finale. Come dice John Sterman “Research shows that showing people research doesn’t work”. Serve anche altro: ad esempio, è essenziale abbinare informazioni negative sui rischi a informazioni positive su ciò che si può fare per limitare i danni peggiori.

Dobbiamo spostare il focus della conversazione sulle soluzioni. Esempio virtuoso è En-ROADS: strumento di simulazione nato dalla collaborazione tra MIT e Climate Interactive, estremamente semplice e volto a stimolare conversazioni intelligenti sulle soluzioni per il clima e disponibile gratuitamente online.

La Figura 2 utilizza un CLD per illustrare l’effetto del diverso approccio: le scienze comportamentali suggeriscono che affiancare soluzioni alle evidenze scientifiche stimola il senso di empowerment e, di conseguenza, aumenta l’azione che può ridurre la crisi climatica (il cambio di polarità dell’ultimo nesso causale rende questo feedback di tipo bilanciante, generando una tendenza non più esponenziale ma asintotica). Per approfondire il pensiero sistemico, consigliamo di leggere qui.

Adottare questo approccio orientato alle soluzioni significa in un certo senso remare contro i meccanismi di diffusione dell’informazione, che tendono a dare più spazio al catastrofismo perché, come dicono i giornalisti, “una buona notizia non è una notizia”. Ad esempio, dopo la pubblicazione dell’ultimo report dell’IPCC, sono state riprese dai media molte infografiche dello studio, scelte tra le più negative, con l’intento di pungolare i lettori. Tuttavia, uno dei passaggi chiave in cui si elencavano le soluzioni “a portata di mano” non ha ricevuto l’attenzione che meritava (qui).

Fig. 2- Feedback bilanciante: affiancare ai dati informazioni sulle soluzioni responsabilizza e stimola all’azione e contrasta la crisi climatica

Bilanciare la comunicazione tra rischi e soluzioni

Bilanciare la comunicazione tra rischi e soluzioni con un salomonico 50-50 può aiutare le persone a superare la paralisi di cui parla Skea. Tra l’altro, il suo punto di vista è stato interpretato da alcune fonti come se strizzasse l’occhio ai negazionisti (per fare più “rumore” ovviamente). Sgombriamo il campo dai fraintendimenti: la voce della scienza è una sola ed esistenza e cause del cambiamento climatico non sono oggetto di discussione. Si tratta di decidere come parlare del fenomeno, dove sia meglio porre l’accento per raggiungere un obiettivo comune: mitigare gli effetti dei gas serra.

Cosa altro ha detto il capo dell’IPCC al giornale tedesco? Per dare il buon esempio, ha parlato di soluzioni: nel breve periodo, il focus rimane sull’espansione delle rinnovabili nella generazione elettrica; nel lungo periodo, dovremo ricorrere a soluzioni tecnologiche come la cattura diretta di CO2 dall’atmosfera. “There’s enough money in the world, the challenge is getting it to flow to the right places,” ha concluso.

Buone ragioni per essere ottimisti, non certo negazione del problema. Anche se dovessimo appurare che il target di 1,5° è irrealizzabile, va tenuto presente che ogni decimo di grado di mitigazione fa la differenza in termini di rischi per milioni di persone.

Ogni decimo di grado fa la differenza

L’obiettivo delle conversazioni sulla crisi climatica non è avere il mondo intero paralizzato dall’ansia (che sia ansia dei disastri o ansia che ci costringano a rinunciare ad uno stile di vita piacevole), bensì galvanizzare le persone verso l’azione. Per questo abbiamo bisogno di speranza; non Polyannesca speranza che tutto andrà bene (perché non sarà così, se non agiamo) ma speranza legata all’azione e all’efficacia della stessa (basata su tecnologia e scienza).

In breve, la convinzione che se facciamo qualcosa, dalle scelte di consumo, alle scelte di voto, alle conversazioni, alla pressione sui decisori politici, farà la differenza.


Stefania Migliavacca è docente di Economia dell’energia e dell’ambiente – Dinamica dei Sistemi presso la Scuola Enrico Mattei



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