21 Settembre 2023

Alla ricerca della competitività perduta

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L’apparente equilibrio del mercato energetico europeo è legato sostanzialmente a una bassa domanda di elettricità e di gas riconducibile in larga parte alla crisi e alla perdita di competitività delle industrie energy intensive. Riuscirà Mario Draghi a porvi rimedio senza scardinare le politiche climatiche?

Sarà interessante leggere il rapporto sulla competitività dell’economia europea che Mario Draghi è stato chiamato a redigere dalla Presidente uscente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

È facile prevedere che un interesse tutto particolare sarà dedicato all’energia. I suoi alti prezzi in Europa, in termini assoluti e rispetto alle altre maggiori economie, sono infatti una delle principali cause della perdita di competitività delle industrie europee, specie di quelle energy intensive.

Il supporto governativo all’industria è ormai una tendenza consolidata

Agli alti prezzi devono poi aggiungersi i lauti sostegni offerti alle industrie nazionali dai governi: da quello americano con l’Inflation Reduction Act, a quello giapponese con la Green Trasformation Act, a quello cinese con gli enormi incentivi fiscali.

Tutto l’opposto delle nostre imprese, che sono vieppiù oberate dai costi delle politiche climatiche di Bruxelles che colpiscono i più a vantaggio di pochi. Il prezzo medio dell’elettricità negli Stati Uniti è stato nel 2022 pari a 0,16 doll/kWh contro i 0,30 dell’Italia o 0,44 della Germania, mentre quelli del gas naturale sono stati pari a 0,05 doll/kWh contro i 0,16 dell’Italia o i 0,21 della Germania (si veda Global Energy Prices).

Crisi energetica e tensioni geopolitiche nel 2022 hanno causato peggioramenti della bilancia energetica in molte economie dell’area euro e un aumento della spesa per le importazioni di prodotti energetici. In particolare in Italia, dove si è registrato il più ampio disavanzo commerciale come si legge nell’articolo di Giacomo Romanini ed Enrico Tosti (Banca d’Italia) pubblicato nell’ultimo numero di ENERGIA.

In un’interessante indagine tra le imprese europee della Banca Centrale Europea, gli intervistati hanno ampiamente riconosciuto l’importanza delle politiche climatiche dell’Unione Europea (compresi Green Deal e Fit for 55), pur sollevando questioni specifiche relative alla progettazione e all’attuazione a livello di settore.

Tuttavia, la maggioranza concorda sul fatto che la transizione richiederà maggiori investimenti (oltre l’80% ritiene necessario adottare tecnologie che ancora non esistono), con conseguente aumento dei costi e dei prezzi dei prodotti venduti.

Ciò viene confermato in un successivo quesito, in cui la maggioranza degli intervistati concorda sul fatto l’impatto complessivo del cambiamento climatico e delle politiche per farvi fronte sarà quello di aumentare gli investimenti, i costi e i prezzi, soprattutto durante la fase di transizione, sebbene sia poco chiaro perché si sia scelto di accorpare due aspetti sostanzialmente differenti come l’impatto di un fenomeno esogeno come i cambiamenti climatici con quello endogeno delle politiche.

Nota: nel titolo della figura non viene esplicitato quanto riportato nel testo, ovvero “the overall impact of climate change and related policies”

Conseguenza delle divaricanti politiche tra Europa ed altre maggiori nazioni e dei suoi ancora elevati prezzi dell’energia – quelli medi dell’elettricità, sebbene ridottisi rispetto alle punte dello scorso anno, restano pur sempre doppi di quelli del 2019 – è il taglio in Europa della produzione di molte industrie energy intensive, talvolta non temporaneo, già nel 2022 (e proseguita nel 2023).

In particolare, l’alluminio primario si è contratto del 12%, l’acciaio grezzo del 10%, la carta del 6%, la chimica del 5%, così che l’Europa ne è divenuta lo scorso anno importatrice netta.

Molte imprese hanno annunciato la chiusura di fabbriche in Europa e il loro trasferimento in altri paesi. La Volkswagen ha annunciato, ad esempio, la sospensione del progetto di batterie che intendeva realizzare nell’Europa dell’Est, preferendo realizzarla in Canada avvalendosi dei molto minori prezzi dell’elettricità e del Canadian Inflation Reduction Act.

La maggior caduta della domanda elettrica nell’UE dalla sua nascita

Risultato di tutto ciò è la forte caduta della domanda di elettricità in Europa del 6% nel primo semestre 2023 che si aggiunge a quella del 3,2% nel 2022. La maggior caduta dalla formazione dell’Unione, senza che si sappia quanto essa sarà temporanea o strutturale.

Un’incertezza che non può che riverberarsi negativamente sulle decisioni di investimento riguardo soprattutto gli impianti rinnovabili che si trovano sempre più costretti – a fronte di un aumento di produzione e di una bassa domanda – a praticare ‘prezzi negativi’: ovvero consegnare la produzione in eccesso senza ricavarne nulla, con effetti negativi sulla redditività dei loro investimenti.

Secondo l’Agenzia di Parigi, in Germania e nei Paesi Bassi nella prima metà del 2023 è raddoppiato il numero di ore con prezzi inferiori a zero.

La morale da trarsi è che il mercato energetico europeo va conoscendo una situazione di apparente equilibrio legato sostanzialmente a una bassa domanda – sia di elettricità che di gas – riconducibile in larga parte alla crisi e perdita di competitività delle industrie energy intensive.

Come rimediarvi intervenendo sui costi dell’energia, senza – è da presumere – scardinare le politiche climatiche decise dall’Unione su impulso della Presidente della Commissione, sarà l’esito importante dello studio di Mario Draghi.


Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it


Foto: Unsplash

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