Presentata all’ultimo forum di Cernobbio, la ricerca promossa da Eni e Snam e condotta da The European House – Ambrosetti fa il punto su una tecnologia che consente la decarbonizzazione competitiva dei settori hard to abate. Nuova centralità per l’Italia: l’hub di Ravenna può diventare il più importante sito per lo stoccaggio della CO2 del sud Europa
Assieme all’accelerazione impressa agli stoccaggi, ai nuovi rigassificatori, ai progetti per il potenziamento della dorsale adriatica e all’efficiente gestione dell’inversione dei flussi di approvvigionamento del gas determinatasi con lo scoppio della guerra in Ucraina, rimane fondamentale continuare a guardare a soluzioni industriali che permettano di raggiungere i target di decarbonizzazione senza impoverire il tessuto industriale italiano.
Se da un lato, infatti, le infrastrutture per il trasporto del gas possono essere ricondizionate per il trasporto di idrogeno, di cui il nostro Paese – attraverso la piattaforma del cosiddetto SoutH2 Corridor – potrà diventare un viatico verso Austria e Germania, dall’altro lato l’Italia, grazie alla sua conformazione geografica, può far leva su un’altra risorsa molto importante presente nell’Alto Adriatico: la presenza di giacimenti gas esauriti.
I giacimenti di gas esauriti nell’Alto Adriatico sono ancora una risorsa per l’Italia
Nelle acque del ravennate sta prendendo forma un ambizioso progetto che Eni e Snam stanno portando avanti per la cattura e lo stoccaggio della CO2 (CCS, carbon capture and storage), con l’iniezione della stessa nel giacimento esaurito di gas di Porto Corsini Mare Ovest. La prima fase del progetto, che è già in costruzione, sarà operativa all’inizio del 2024, con l’obiettivo di catturare 25.000 tonnellate di CO2 presso la Centrale di trattamento gas di Casalborsetti di Eni.
I due partner, però, sono già attivamente impegnati nello sviluppare la fase industriale del progetto, che coinvolgerà appunto tutta la filiera dei settori hard to abate italiani e le istituzioni, per creare un progetto di scala industriale.
L’obiettivo è quello di far partire questa seconda fase nel 2026, con la capacità di stoccaggio che andrà gradualmente aumentando, raggiungendo i 4 milioni di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2030 e aumentando fino a 16 milioni, in modo tale da sfruttare al meglio un sito che può arrivare a contenerne 500 milioni.
Con l’intento di fare chiarezza e rilanciare positivamente la discussione pubblica su una soluzione tecnologica ormai matura, sicura e scalabile, Snam ed Eni hanno così commissionato a The European House – Ambrosetti lo studio strategico Zero Carbon Technology Roadmap – Carbon Capture & Storage: una leva strategica per la decarbonizzazione e la competitività dell’Italia, presentato poche settimane fa al forum di Cernobbio.
Da tempo, del resto, le più accreditate previsioni a livello internazionale ritengono che la tecnologia della CCS sia indispensabile per intercettare le esigenze dell’industria hard to abate e centrare così una decarbonizzazione che deve necessariamente essere efficiente e ricorrere, quindi, a tutti gli strumenti possibili nel segno della neutralità tecnologica.
Gli hard to abate sono industrie dal rilevante impatto emissivo (Chimica, Cemento, Acciaio, Carta, Ceramica, Vetro) per la cui decarbonizzazione vanno trovate soluzioni competitive
È inoltre importante ricordare che anche in Europa si assiste a una grande accelerazione sul fronte CCS non soltanto dal punto di vista attuativo, con 3 progetti operativi e 16 progetti in fase di sviluppo, ma anche rispetto al crescente livello di attenzione mostrato dalla Commissione Europea (che con il Net Zero Industry Act include la CCS tra le tecnologie critiche per l’obiettivo Net Zero) e dai singoli Paesi membri – Francia e Germania gli ultimi in ordine temporale – che si stanno tutti dotando di una strategia ad hoc.
Lo Studio, in particolare, dimensiona con precisione le economie di cui i progetti di CCS realizzabili in Italia, a partire proprio dall’hub di Ravenna, possono preservare la competitività e la capacità di creare valore. Parliamo di filiere industriali che in Italia generano 94 miliardi di euro di Valore Aggiunto (5% del PIL italiano) e 1,25 milioni di occupati (4,5% della forza lavoro tra impatti diretti, indiretti e indotti).
Peraltro, anche limitando le stime al solo ambito del progetto ravennate e della rete di trasporto associata, i numeri delle economie coinvolte sono davvero importanti: ne va, infatti, della competitività di settori produttivi che nel complesso esprimono 62,5 miliardi di euro di Valore aggiunto, senza contare – per la messa a regime della tecnologia – la creazione di un’ulteriore catena del valore dedicata, che entro il 2050 consentirà di generare 1,55 miliardi di euro di Valore Aggiunto e 17 mila posti di lavoro.
62,5 miliardi di euro, il valore aggiunto dei settori produttivi coinvolti dal progetto ravennate
Lo Studio evidenzia come la CCS non contenda nulla alle altre leve per la decarbonizzazione quali, ad esempio, fonti rinnovabili, elettrificazione ed efficienza energetica, candidandosi semmai a intervenire in quei settori dove tali leve non sono in grado di sortire gli effetti attesi. In una logica di sinergia e complementarità, dunque, la CCS ha tutte le carte in regola per accompagnare in maniera virtuosa la transizione verde, cui nel frattempo è assolutamente doveroso continuare a lavorare.
La CCS, da questo punto di vista, appare come la strada più veloce ed efficace per accelerare la decarbonizzazione e scongiurare i rischi di delocalizzazione dei settori industriali hard to abate, le cui prospettive sono soggette – vale la pena di ricordarlo – ad un crescente costo delle quote di CO2 attraverso l’ETS (Emission Trading System) europeo.
Come evidenzia lo Studio, infatti, mentre le economie di scala della CCS ne consentiranno una tendenziale contrazione dei costi, tale da scendere – entro il 2040 – sotto i 100 euro a tonnellata, le quote di CO2 che l’Unione Europea riconosce gratuitamente agli energivori dal 2026 andranno progressivamente a ridursi, con un mercato che potrebbe portare il costo di una tonnellata di anidride carbonica dagli attuali 87 euro alla soglia, economicamente molto meno sostenibile, dei 200 euro (2050).
CCS, un’opzione complementare alle altre tecnologie per la transizione energetica
Lo Studio spiega che la stessa CCS può contribuire anche ad altri settori strategici, come lo sviluppo dell’idrogeno (per ottenere, ad esempio, carburanti sintetici), ma anche sostenere la diffusione delle fonti rinnovabili per la decarbonizzazione della rete elettrica, perché può temperare gli effetti negativi dovuti alla natura intermittente e non programmabile di determinate fonti (si pensi al solare, all’eolico e, soprattutto negli ultimi siccitosi anni, all’idroelettrico) con una fonte di energia dispacciabile a basse emissioni di CO2.
Infine, potrà anche contribuire allo sviluppo di una filiera legata alle cosiddette “emissioni negative”, che potrebbero essere generate applicando la CCS alle bioenergie o direttamente all’atmosfera.
Chiaramente la CO2 non va solo catturata e stoccata, ma va anche trasportata: un anello fondamentale del processo a cui Snam guarda attraverso una strategia di “soft infrastructure”, mirando cioè a utilizzare parte delle condotte già esistenti o comunque sfruttando la conoscenza dei grandi emettitori che si trovano ad esempio in Pianura Padana e sono spesso connessi alla rete gas.
Una strategia basata su circolarità e impiego delle infrastrutture esistenti
Ecco quindi che in questo percorso Snam può consolidare il proprio profilo di operatore multi-molecola, pronto a veicolare gas, biometano, idrogeno e, appunto, anidride carbonica. Anche in questo caso, dunque, l’ambiente ne guadagnerebbe, perché l’impatto delle infrastrutture di supporto sarebbe ridotto al minimo. Il tutto nel quadro di un progetto che – visto nel suo insieme – è anche il racconto di una straordinaria circolarità: il giacimento esaurito in cui la CO2 viene stoccata, infatti, è lo stesso da cui è stato un tempo estratto quel gas che, per produrre energia elettrica, ha generato emissioni di CO2, oggi iniettabili proprio lì dove il metano ha lasciato un vuoto.
Per dare il giusto abbrivio a tutto questo, va da sé, è necessario individuare schemi normativi efficaci e abilitanti, che diano piena attuazione al principio di neutralità tecnologica conciliando decarbonizzazione e competitività economica mediante una pianificazione integrata, e supportando le realtà che in questa fase – per certi versi ancora pionieristica – si assumono necessariamente una serie di rischi.
L’Italia può certamente favorire un tale percorso, mettendolo in agenda in vista delle imminenti elezioni europee e aiutando la definizione di un quadro di riferimento capace di attrarre investimenti e facilitare l’avvio di progetti. La CCS, in altre parole, ha bisogno di un suo mercato, che va disegnato e aiutato a svilupparsi, soprattutto mentre muove i suoi primi fondamentali passi.
La CCS ha bisogno di un suo mercato, che va disegnato e aiutato a svilupparsi
Se queste operazioni fossero coronate da successo, peraltro, avremmo modo di valorizzare un’esperienza che può ulteriormente accrescere la rilevanza strategica conquistata dal nostro Paese negli ultimissimi anni. Al momento, infatti, l’hub di Ravenna rappresenterebbe l’unico sito di stoccaggio con dimensioni tali da essere rilevante per l’Europa meridionale. Gli altri giacimenti esausti usati allo scopo si trovano infatti molto più a nord, in particolare nel Mare del Nord, dove Norvegia e Gran Bretagna sono tra i paesi più avanzati nello sviluppo della filiera.
Chiaramente le industrie del Mediterraneo, in primis quelle italiane che si trovano lontano dall’hub di Ravenna, sarebbero sottoposte a costi di logistica e di trasporto notevoli: per questo il progetto svilupperà anche una logistica marittima per accogliere volumi via mare e si è candidato come progetto di interesse comune (PCI) insieme alla Francia e, in particolare, al polo logistico di Marsiglia.
Piero Ercoli è Executive Director Decarbonization Unit di Snam
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