In questa analisi, parte della rubrica di geopolitica dell’energia, viene approfondito come la crisi energetica e l’invasione russa dell’Ucraina abbiano fornito un nuovo impulso alla cooperazione tra Unione Europea e monarchie del Golfo. L’energia è alla base di qualsiasi progetto, ma le differenze interne all’UE e le difficili scelte strategiche imposte dalla transizione rimangono un ostacolo alle complementarità esistenti. Le tecnologie verdi rappresentano le chiavi di volta per smuovere questa partnership che, avvicinandosi a COP28, cresce nelle sue ambizioni ma che rimane tuttora lacunosa di fondamentali elementi pragmatici e di una strategia di lungo periodo.
L’invasione russa dell’Ucraina e la crisi energetica globale ad essa correlata, hanno inevitabilmente scompigliato i rapporti di forza geopolitici tra paesi consumatori di energia – come quelli dell’Unione Europea – e paesi produttori di energia, come le monarchie del Golfo. Nel Golfo si trovano un terzo delle risorse petrolifere e un quinto delle risorse di gas al mondo. Ma le monarchie regionali – Arabia Saudita, Oman, Emirati Arabi Uniti (EAU), Kuwait, Qatar e Bahrein – hanno anche ambizioni di protagonismo globale nella produzione di energia verde, e le risorse necessarie per essere tra i principali protagonisti della transizione energetica.
In qualità di presidenti della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2023 (COP 28), gli Emirati Arabi Uniti (EAU) sono determinati a giocare un ruolo importante nel dibattito globale su questione energetico-climatiche. Per non essere da meno, l’Arabia Saudita cerca una leadership sulla transizione verde sia a livello regionale – ad esempio, tramite la Middle East Green Initiative – che a livello globale, con il più grande progetto commerciale di produzione di idrogeno verde al mondo a NEOM.
Non sorprende dunque che l’Europa abbia intensificato i propri rapporti energetici con le monarchie del Golfo a partire dal 2022. L’Energy Deals Tracker di ECFR ha registrato una serie di accordi firmati tra Stati Membri come Austria, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Grecia, Ungheria e Polonia e le monarchie del Golfo di Bahrein, Arabia Saudita, Qatar, Oman ed Emirati Arabi Uniti. Sorprende piuttosto che, invece di perseguire una partnership più di lungo respiro sulla transizione energetica, la maggior parte di questi accordi siano di breve termine e si concentrino semplicemente sulla diversificazione delle forniture di combustibili fossili in Europa.
Fanno invece eccezione i tentativi di Germania, Francia e Italia che hanno firmato accordi preliminari con Arabia Saudita, Qatar, Oman ed Emirati Arabi Uniti per partnership energetiche di natura più strategica, con riferimenti alla cooperazione industriale, scientifica e commerciale per accelerare la transizione energetica guardando a: energia nucleare, idrogeno, interconnessione elettrica, efficienza energetica, cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio (CCUS).
Italia-Golfo: uno scenario in movimento
Nel caso dell’Italia, il Governo ha promosso il primo evento pre-COP28 ad Abu Dhabi, a seguito di una dichiarazione di intenti tra i due governi per rafforzare la cooperazione nel quadro della COP28. L’intenzione è quella di consolidare i legami di lunga data tra Eni e ADNOC, aumentando gli sforzi nei settori dell’energia rinnovabile, dell’idrogeno blu e verde, dell’efficienza energetica, della cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), della riduzione dei gas serra, delle emissioni di gas metano e del gas flaring. Gli accordi di Eni vanno ad aggiungersi ad un memorandum d’intesa del 2021 firmato tra l’azienda italiana Snam e Mubadala per valutare la fattibilità di trasportare idrogeno verde emiratino in Europa.
Il forum italo-saudita sugli investimenti del 4 settembre 2023 ha poi prodotto una serie di accordi strategici firmati dalla principale azienda saudita sulla transizione energetica, ACWA Power e aziende chiave italiane, tra cui: Eni, A2A, De Nora, Rina, Italmatch Chemicals e Confindustria. I progetti spaziano: dalla cooperazione sui cosiddetti carburanti sostenibili per l’aviazione, ovvero biocarburanti ed e-fuel, con Eni; alla produzione ed esportazione di idrogeno verde con A2A; l’utilizzo dell’idrogeno per l’alimentazione delle navi con RINA; tecnologie per desalinizzazione con De Nora.
Accordi come questi hanno un potenziale sostanziale per far avanzare la transizione energetica nelle monarchie del Golfo, ma si scontrano con ostacoli fondamentali come la resilienza e la sostenibilità della catena di approvvigionamento verde; lo sviluppo delle infrastrutture necessarie; problemi tecnologici e scientifici legati alla produzione di energia verde; e le sfide legate allo sviluppo del mercato e al finanziamento.
Quale transizione? Un freno alla cooperazione UE-Golfo
Tuttavia, l’ostacolo più grande alla realizzazione del potenziale delle relazioni energetiche tra gli stati europei e quelli del GCC non è tecnico, ma politico. Ciò diventa ancor più evidente a livello dell’Unione Europea. La strategia energetica post-russa dell’Unione Europea – REPowerEU – menziona esplicitamente il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) solo in una frase.
La strategia di politica estera UE per una “Partnership strategica con il Golfo” del 2022 parla dell’importanza di rapporti energetici, ma non è stata seguita da alcuna iniziativa concreta al riguardo. Il progetto EU-GCC Clean Energy Technology Network – che faceva da piattaforma per esperti, tecnici e operatori dell’energia verde – ha raggiunto la fine del suo mandato nel giugno 2022; e il suo sostituto – la EU-GCC Cooperation on Green Transition and Decarbonisation – non è ancora attivo, oltre un anno dopo. L’Unione Europea non ha concluso delle partnership sull’idrogeno con nessuna delle monarchie del Golfo nonostante, per esempio, NEOM sia uno dei pochi progetti sull’idrogeno interamente finanziato in tutta la regione del Medio Oriente e del Nord Africa. Al centro della riluttanza dell’UE sembra esserci la difficoltà di colmare il divario tra opinioni politiche divergenti sulla transizione energetica, che emergeranno prepotentemente durante la COP28.
Senza dubbio, durante la COP28 gli EAU cercheranno accordi internazionali per incrementare gli investimenti nella produzione di energia verde a livello globale, obiettivo condiviso con gli europei. Gli Emirati Arabi Uniti hanno già il sistema di produzione di energia solare più conveniente al mondo e la più alta percentuale di energia rinnovabile del Medio Oriente e del Nord Africa nel loro mix, con 3.058 megawatt di capacità. Non solo, finora gli EAU hanno investito oltre 16,8 miliardi di dollari in 70 progetti di energia verde in tutto il mondo. Ma questi numeri sono ben lontani da quelli necessari per la prossima fase della transizione energetica e gli emiratini sono convinti dell’assoluta necessità di nuove politiche volte a liberalizzare, incentivare e facilitare la sviluppo dell’energia verde.
D’altro canto, come durante la COP27 in Egitto, è molto improbabile che la COP28 si traduca in impegni precisi e concreti per superare la produzione di combustibili fossili. Anzi, gli Emirati Arabi Uniti stanno progettando la COP28 attorno all’approccio di accelerare la transizione energetica senza che i produttori di combustibili fossili, di cui si faranno portavoce, debbano compromettere la loro crescita economica finanziata dagli idrocarburi. Gli EAU punteranno piuttosto a promuovere soluzioni tecnologiche per limitare le emissioni di carbonio nella fase di produzione di idrocarburi, come la CCUS o l’elettrificazione. Quest’approccio è naturalmente al cuore delle divergenze di visione con le controparti occidentali ed europee alla COP28.
Tuttavia, guardando oltre il divario ideologico e politico, vi sarebbero comunque concrete opportunità per il raggiungimento di accordi focalizzati sull’affrontare ostacoli tecnici al progresso della transizione energetica a Dubai. La leadership degli Emirati Arabi Uniti si prefigge di realizzare una COP28 di successo, anche utilizzando la propria influenza e rete di contatti, specialmente nel Golfo e Medio Oriente, per trainare altri attori verso obiettivi concreti. Espandendo le linee guida emiratine, le opportunità più evidenti si riscontrano nei settori dell’ efficienza energetica ed elettrificazione, economia circolare del carbonio e idrogeno. È in questi settori che i delegati italiani ed europei potrebbero trovare spazio per accordi importanti.
Le strade da perseguire: CCUS, idrogeno verde, elettrificazione e interconnessioni transnazionali
L’Unione Europea, ad esempio, è vista come un riferimento importante sugli standard di efficienza energetica nelle monarchie del Golfo, e dovrebbe fare di più – anche tramite la EU-GCC Cooperation on the Green Transition and De-Carbonisation – per promuovere l’introduzione di norme di green building, in particolare su isolamento termico e raffreddamento; sensibilizzare i consumatori sull’importanza dell’efficienza energetica; fornire assistenza tecnica di policy sull’elettrificazione e le interconnessioni, anche transnazionali.
Anche se controversa, la CCUS è riconosciuta dall’Unione Europea come una tecnologia utile per la transizione verde. Ma la sua applicazione è ancora minima e la tecnologia ha costi esorbitanti. Ad esempio, nel Golfo ad oggi vi sono solo tre impianti di cattura del carbonio attivi, che assorbono 3,7 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, ovvero il 10% della capacità globale: Uthmaniyah in Arabia Saudita, Al-Reyadah negli Emirati Arabi Uniti, Ras Laffan in Qatar. Queste quantità sono assolutamente insufficienti e il maggiore ostacolo per aumentarle rimane l’impossibilità di utilizzare in maniera profittevole la CO2 catturata.
L’UE potrebbe utilizzare la sua prossima strategia CCUS, che sarà pubblicata alla fine del 2023, per invitare stati non-europei quali le monarchie del Golfo ad investire sulla fattibilità commerciale della CO2 catturata o riciclata, sia come e-fuels che come applicazioni più sostenibili ed innovative – tra cui la mineralizzazione, i materiali da costruzione e le batterie a CO2 – già portate avanti da varie start-up europee.
Gli stati membri dell’UE dovrebbero anche spingere Bruxelles a lavorare su partenariati sull’idrogeno con i principali produttori del Golfo – EAU, Arabia Saudita e Oman – che definiscano standard ambientali comuni e sistemi di certificazione e accreditamento per l’idrogeno verde, e facilitino partnership finanziariamente necessarie alla realizzazione di nuove infrastrutture energetiche di ultima generazione su larga scala per l’import-export, lo stoccaggio e l’utilizzo di idrogeno verde. Tali partnership creerebbero le piattaforme adeguate per le discussioni sulla nuova geopolitica delle rotte energetiche tra Europa e Golfo, e le implicazioni per l’area del Mediterraneo.
Se i paesi del Mediterraneo meridionale non hanno le risorse o le capacità tecniche per lo sviluppo e la produzione sostenibile di energia rinnovabile in grande quantità a basso costo nel breve termine, certamente possono diventare rapidamente snodi fondamentali sulle rotte energetiche. Nel caso del Mediterraneo orientale, la distensione tra diversi attori regionali e la Turchia, riapre alla possibilità di creare un nuovo snodo energetico per diversificare le rotte di importazione verso l’Europa aggirando i colli di bottiglia in Egitto.
Gli europei dovrebbero considerare i vertici che si terranno in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti tra Ottobre e Novembre – il secondo Summit della Middle East Green Initiative, la MENA Climate Week delle Nazioni Unite e la COP28 – come catalizzatori per trasformare le loro relazioni energetiche con le monarchie del Golfo in un impegno più strategico, concreto e tangibile sulla transizione verde e la decarbonizzazione. In questo modo, i Paesi europei potrebbero riuscire ad andare oltre le divisioni ideologiche e politiche, e coinvolgere questi attori fondamentali del mercato energetico globale nelle strategie comunitarie per la sicurezza energetica e climatica.
Quest’articolo è una rielaborazione del policy brief “Renewable relations: A strategic approach to European energy cooperation with the Gulf states”, pubblicato per European Council on Foreign Relations a Giugno 2023.
Cinzia Bianco è Visiting Fellow presso lo European Council of Foreign Relations e ha da poco pubblicato insieme a Matteo Legrenzi “Le monarchie arabe del Golfo” per il Mulino
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