La cifra monstre di 7mila miliardi di dollari di sussidi ambientalmente dannosi (SAD) ha scatenato aspre accuse ai governi, rei di sovvenzionare i combustibili fossili anziché promuovere la lotta ai cambiamenti climatici. Come si è arrivati a questa cifra? Quali logiche dietro l’esistenza di questi sussidi?
Negli ultimi giorni si è tornato a parlare dei Sussidi Ambientalmente Dannosi, i cosiddetti “SAD,” ovvero i sussidi ambientalmente dannosi che diversi paesi in tutto il mondo continuerebbero ad erogare all’industria dei combustibili fossili.
Alcuni ricercatori del Fondo Monetario Internazionale hanno provato a calcolare il valore economico di questi sussidi. I risultati mostrano che nel 2022 si sarebbe raggiunta la cifra record di 7mila miliardi di dollari, equivalente a circa il 7% del PIL mondiale. In base ai calcoli, il nostro Paese sovvenzionerebbe l’industria fossile per circa 65 miliardi di euro pari al 2,8% del PIL nazionale.
Ma qual è il vero valore di questi sussidi? Come si è arrivati a queste cifre e quali sono le logiche dietro la loro esistenza?
Quale differenza tra sussidio “implicito” ed “esplicito”?
Fondamentale per inquadrare l’argomento è partire dalla definizione di sussidio. L’OCSE li definisce come “il risultato di un’azione statale che procura un vantaggio a produttori o consumatori con l’obiettivo di ridurre i loro costi o aumentare i loro redditi”.
I singoli sussidi vengono divisi dai ricercatori in due macro-categorie: sussidi espliciti ed impliciti. Quelli espliciti sono definiti come incentivi che abbassano il costo di approvvigionamento, quasi mai in forma di trasferimenti diretti ma frutto di politiche fiscali ad-hoc e sono abbastanza semplici da calcolare. Quelli impliciti sono invece costi legati ad esternalità, come i costi ambientali, e sono molto più difficili da valutare e quantificare in quanto dipendono dal perimetro scelto.
Sommando i sussidi diretti ai combustibili dei 170 stati analizzati, si arriva ad un totale di 1.326 miliardi di dollari, circa il 18% dei 7mila miliardi menzionati inizialmente. L’Italia avrebbe fornito incentivi per 9,6 miliardi di dollari, molti meno dei 65 totali, e quasi interamente legati agli aiuti per abbassare le bollette energetiche nell’inverno 2022-2023.
The Fossil Fuel Subsidy Tracker picks up IMF “explicit” consumption subsidy estimates only – OECD
I sussidi impliciti, quelli più difficili da calcolare, ammonterebbero quindi a 5.710 miliardi di dollari (82% del totale) divergendo sostanzialmente rispetto a simili analisi effettuate dalla IEA (International Energy Agency) e dall’OCSE che nel suo tracker scrive esplicitamente di non voler considerare il calcolo del Fondo Monetario (fossilfuelssubsidytracker.org).
L’analisi, rilanciata ogni anno da giornali, TV e canali social con toni critici tende ad accusare i governi di non impegnarsi abbastanza nella lotta ai cambiamenti climatici, continuando a sovvenzionare l’utilizzo dei combustibili fossili.
Per il calcolo dei sussidi, i ricercatori del FMI analizzano il cosiddetto “price-gap”. Ipotizzano cioè che il prezzo dei combustibili fossili sia artificialmente basso in molti paesi del mondo, a causa degli incentivi. Cercano quindi di calcolare il costo equo facendo la somma di incentivi diretti e indiretti includendo:
- Incentivi alla filiera di produzione, distribuzione e consumo dei combustibili
- Costi ambientali dovuti all’emissione di CO2
- Costi legati all’inquinamento locale dovuto ad altri tipi di emissioni come NOx, SOx e VOC
- Costi dovuti a traffico, incidenti e gestione della rete stradale
- Costi legati all’utilizzo dei combustibili al di fuori del settore trasporti
Queste componenti giocano un ruolo cruciale anche nei piani industriali nazionali, finalizzati sia a garantire beni e servizi essenziali sia a guidare lo sviluppo economico per migliorare la qualità della vita delle persone. È quindi fondamentale considerare queste sfaccettature nei dibattiti sui sussidi, in quanto possono influenzare significativamente il benessere sociale ed economico di un paese.
Diesel e gas: le eccezioni italiane (che sarebbe sempre opportuno chiarire)
Prendendo l’Italia come riferimento si nota come la maggior parte dei prezzi dei prodotti petroliferi sia in linea con il prezzo “equo” calcolato dai ricercatori del FMI ad eccezione di due tipologie di prodotti: il gas naturale e il diesel (figura 1).
Il gas naturale rappresenta una fonte energetica fondamentale nel nostro Paese, utilizzato a livello residenziale, industriale e per la generazione di energia elettrica. Nel corso del 2022, siamo stati testimoni dell’invasione russa in Ucraina, evento che ha innescato un notevole aumento dei prezzi di fornitura verso l’Europa e i mercati internazionali.
Di conseguenza, il governo italiano è intervenuto attraverso l’implementazione di incentivi rivolti sia alle industrie che alle famiglie, il che ha inevitabilmente contribuito ad aumentare il valore dei SAD 2022 (come da figura sotto).
La mancata menzione dei vantaggi e delle necessità specifiche rende l’analisi non esaustiva sottovalutando la complessità della questione
Una prima critica al working paper riguarda il fatto che questo aspetto specifico è stato menzionato solamente in modo superficiale. Un paragrafo dedicato avrebbe tolto molti dubbi ai lettori.
Quando si analizzano i sussidi legati al diesel invece, è fondamentale considerare i settori dove l’utilizzo è predominante: trasporto merci e agricoltura. L’obiettivo di questa scelta politica, senza trasferimento diretto di denaro pubblico, è chiaramente quello di ridurre i costi in modo da garantire accesso a merci economicamente sostenibili. La mancata menzione dei vantaggi e delle necessità specifiche rende l’analisi non esaustiva sottovalutando la complessità della questione.
Gli analisti del Fondo Monetario calcolano i sussidi impliciti analizzando i costi legati ad alcune esternalità, non tutte, e quelli collegati alle mancate riforme necessarie per raggiungere gli obiettivi ambientali. Il costo relativo al global warming viene quindi calcolato come una carbon tax necessaria per incentivare la riduzione delle emissioni globali. L’inquinamento locale viene invece calcolato considerando le morti e i casi di malattia associabili ai combustibili fossili e alle emissioni. Viene considerato anche il costo legato alle ore perse nel traffico e alle spese sostenute dai vari paesi per la manutenzione delle strade.
Mancano i dettagli sulle riforme proposte e non vengono citati i vantaggi e gli svantaggi delle possibili alternative
Il documento manca di dettagli sulle riforme proposte e non cita in nessun modo i vantaggi e gli svantaggi delle possibili alternative. È evidente che la spesa per la manutenzione stradale rimarrebbe più o meno invariata anche con l’adozione di veicoli elettrici e domanda di mobilità individuale costante. Senza considerare l’impatto che un aumento dei prezzi dell’energia avrebbe sulle fasce più vulnerabili della popolazione.
In conclusione, il dibattito sui sussidi ambientalmente dannosi è complesso e richiede un approccio bilanciato che consideri attentamente le specificità di ciascun paese e le esigenze legate all’esistenza dei sussidi stessi. La sfida della lotta ai cambiamenti climatici è globale, e una valutazione accurata è essenziale per orientare politiche e azioni volte a ridurre l’impatto dei combustibili fossili su economia, società e ambiente. Il dibattito dovrebbe, dopo 30 anni di analisi, iniziare a spostarsi su soluzioni politiche e tecnologiche concrete per ridurre i SAD in modo sostenibile, anziché sul mero calcolo numerico di “sussidi” ai quali non possiamo, ad oggi, rinunciare.
Luca Ferrari è manager per la divisione energy in Optit e specialista di sistemi energetici e processi industriali
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