Nonostante il crescente consenso globale, gli ostacoli lungo il tragitto verso emissioni nette pari a zero sono evidenti. Quattro in particolare ne individua Daniel Yergin nell’articolo pubblicato su ENERGIA 3.23. Seppur di difficile risoluzione, riconoscerli promuove una comprensione più profonda delle questioni e di ciò che è necessario per raggiungere la transizione energetica.
Nonostante il crescente consenso globale, gli ostacoli lungo il tragitto verso emissioni nette pari a zero sono evidenti. Ne abbiamo posti alcuni al centro del nuovo numero di ENERGIA.
Con l’ampia analisi quantitativa proposta da Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca ci interroghiamo sull’effettiva capacità delle policy climatiche di guidare la transizione energetica più di altre variabili come forze di mercato e sviluppo tecnologico. La risposta sostanzialmente negativa cui pervengono gli autori confrontando le esperienze di diverse aree geografiche equivale a una bocciatura della via normativa finora intrapresa dall’Europa per raggiungere l’obiettivo della decarbonizzazione.
Le politiche climatiche funzionano? L’interrogativo al centro del nuovo numero di ENERGIA
Via normativa che, d’altra parte, rischia di essere bocciata dagli stessi elettori europei nella prossima tornata elettorale di giugno 2024, come argomenta Alberto Clò nel suo editoriale. “Se la speranza è che le future politiche climatiche europee siano improntate a un maggior pragmatismo e attenzione all’accettabilità e alle ricadute sociali, non può escludersi che un eventuale «vento di destra» sia effettivamente in grado di raccogliere il testimone per affrontare con maggior efficacia le sfide che ci si pongono innanzi”. Il rischio di “una forte discontinuità nelle politiche climatiche che potrebbe – eterogenesi dei fini – «ritardare non solo l’agenda della decarbonizzazione (…) ma piuttosto quella della sostenibilità, focalizzata su biodiversità, agricoltura e conservazione della natura» (citazione di Nathalie Tocci, ndr)”.
Francesco Sassi nel suo articolo torna invece sul più tradizionale tema della sicurezza energetica. Generalmente, e a buon dire, visto come antitetico rispetto alle esigenze ambientali (nel cosiddetto trilemma energetico) sebbene, come abbiamo avuto modo di vedere nello scorso numero con l’approfondimento di Bordoff e O’Sullivan, nel Nuovo Ordine Energetico non può esserci sicurezza energetica senza sicurezza climatica, e viceversa.
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E proprio il ritorno della sicurezza energetica come prima esigenza dei paesi è uno dei 4 ostacoli individuati da Daniel Yergin nel suo articolo assieme a:
- mancanza di consenso sulla rapidità con cui la transizione dovrebbe e può avvenire, in parte a causa delle potenziali perturbazioni economiche che questa può provocare;
- crescente divario tra paesi avanzati e in via di sviluppo sulle priorità nella transizione;
- ostacoli all’espansione dell’estrazione mineraria e alla costruzione di catene di approvvigionamento per i minerali.
Poiché la portata della transizione è così ampia, l’impatto macroeconomico necessita di un’analisi più approfondita
Senza sicurezza energetica (par. 1) sarà difficile se non impossibile per i fautori della transizione energetica “garantirsi il sostegno pubblico ed evitare gravi dislocazioni economiche, con le pericolose conseguenze politiche che possono derivarne”.
Il secondo ostacolo riguarda le tempistiche della transizione e gli impatti macroeconomici (1 – Velocità della transizione). “L’economista Jean Pisani-Ferry (…) ha osservato che un’accelerazione troppo aggressiva degli obiettivi per le riduzioni nette delle emissioni di carbonio potrebbe creare sconvolgimenti economici molto maggiori di quanto generalmente previsto”.
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“La terza sfida è l’emergere di un nuovo divario Nord-Sud (che) riflette il disaccordo sulle politiche climatiche e della transizione, sul loro impatto sullo sviluppo, su chi è responsabile delle nuove e cumulative emissioni, su chi paga” (par. 3).
“La divisione è particolarmente evidente quando si tratta di finanza. Le banche occidentali e le istituzioni finanziarie multilaterali hanno interrotto i finanziamenti per oleodotti, porti e altre infrastrutture legate allo sviluppo degli idrocarburi”.
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“La quarta sfida sarà garantire nuove filiere per il net-zero” (4. Il rame è cruciale). “La IEA prevede che l’economia mondiale passerà da «un sistema energetico ad alta intensità di carburante ad uno ad alta intensità di minerali» che «sovraccaricherà la domanda di minerali critici». In The New Map, lo riassumo come il passaggio da «Big Oil» a «Big Shovels» (grandi pale, n.d.t.).”
Un esempio su tutti, “per raggiungere gli obiettivi al 2050 la domanda di rame dovrebbe raddoppiare entro la metà del 2030. Il collo di bottiglia è l’offerta. All’attuale tasso di crescita – comprensivo di nuove miniere, espansioni, maggiore efficienza, riciclaggio e sostituzione – la quantità di rame disponibile sarà significativamente inferiore alle richieste”.
Come detto, nessuno delle 4 ostacoli o sfide individuati da Daniel Yergin è di facile risoluzione. Né interessano in maniera diretta l’adozione di politiche climatiche (il ché rafforza indirettamente la sopracitata analisi di Di Giulio e Migliavacca sulla loro incisività nel guidare la transizione).
Eppure, ed è questa la nota positiva dell’analisi di Yergin, “riconoscerli promuove una comprensione più profonda delle questioni e di ciò che è necessario per cercare di raggiungere la transizione energetica”. In altri termini, occorre continuare a studiare le numerose dinamiche che incidono sulla transizione e sui cambiamenti climatici, senza dare per assodato che la corretta via sia già tracciata, ma pronti a correggere il tiro quando le nostre assunzioni si discostano dalla realtà che si manifesta.
Il post presenta l’articolo di Daniel Yergin Quattro ostacoli lungo la transizione (pp. 10-13) pubblicato su ENERGIA 3.23.
Daniel Yergin, S&P Global Commodities Insights
Foto: Pixabay
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