10 Ottobre 2023

Auto elettriche cinesi: dal mercato interno alla diffusione in Europa

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Com’è arrivata Pechino a dominare il mercato globale delle auto elettriche in Europa? Grazie al perseguimento di esigenze complementari di carattere interno ed esterno. L’avvio dell’indagine della Commissione sugli aiuti di Stato alle compagnie cinesi di auto elettriche (EV) apre un nuovo contenzioso tra Bruxelles e Pechino, in un clima bilaterale sempre più controverso, affrontato anche su ENERGIA 3.23.

“Ci sono molte speculazioni, ma in questa fase la portata dell’indagine non è ancora stata decisa”. A cercare di indorare la pillola di una possibile ondata di restrizioni alle auto elettriche cinesi in Europa è il Vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis. L’iniziativa è stata annunciata lo scorso 13 settembre dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen durante il suo Discorso sullo stato dell’Unione.

In poche parole, la Presidente spiega le motivazioni dell’avvio di un’indagine anti-sovvenzioni nei confronti della Cina nel corso dei prossimi mesi, concludendo: “L’Europa è aperta alla concorrenza, non a una corsa al ribasso”. Al centro di questo ulteriore conflitto sui mercati in Europa troviamo le auto elettriche cinesi – Made in China -, con le rispettive aziende accusate di beneficiare degli incentivi statali per mantenere i prezzi bassi e massimizzare i profitti. 

Le auto elettriche prodotte dalle aziende cinesi occupano oggi il 60% del mercato internazionale di veicoli elettrici e il trend è destinato a crescere

Pechino è effettivamente in una posizione di dominio del mercato dell’automotive elettrico, come riporta l’ultimo Global EV outlook curato dall’International Energy Agency (IEA). Le auto elettriche prodotte dalle aziende cinesi occupano oggi il 60% del mercato internazionale di veicoli elettrici e il trend è destinato a crescere.

Occorre evidenziare che circa la metà di tale volume di vendite è circoscritto all’enorme mercato nazionale, dove non mancano gli incentivi per la produzione e l’acquisto di mezzi di trasporto elettrici (mezzi pubblici e di servizio), mentre dall’altra parte della muraglia si sta aprendo un mercato di dimensioni notevoli. L’Associazione dei produttori di auto della Repubblica popolare, rileva che nel biennio 2021-2022 le vendite sono raddoppiate segnando un +54,4%.

1 auto su 5 vendute in Europa è di origine cinese

L’Unione europea ha però compreso che, di questo passo, la transizione energetica del Vecchio Continente rischia di dipendere dai produttori della Repubblica Popolare Cinese. Come rileva la IEA, già oggi un veicolo su cinque venduto sul mercato europeo è di fabbricazione cinese, fomentando un timore quasi incontrollato per l’industria automobilistica di casa nostra.

“Gli europei tendono ad essere più benestanti rispetto alle persone in altri mercati e ricevono sussidi più elevati dal governo per l’acquisto di veicoli elettrici”, ha spiegato Zhang Xiang dello Huanghe Science and Technology College alla MIT Technology Review. “I sussidi compensano i pesanti costi di spedizione per trasportare le auto attraverso l’oceano. Ecco perché quasi la metà delle automobili esportate dalla Cina vengono vendute sul mercato europeo.” 

È altrettanto vero che questo fenomeno nasce da una spinta governativa che negli anni ha favorito l’industria della mobilità elettrica e, in generale, tutti i comparti produttivi legati alla produzione di energia “pulita” e alle tecnologie green.

L’ultimo Piano quinquennale 2021-2025 ha posto le basi per valorizzare lo sviluppo qualitativo dopo decenni di attenzione alla crescita economica tout court, e ciò non poteva avvenire senza dei piani di transizione energetica ambiziosi. Nel 2020, d’altronde, il presidente cinese Xi Jinping aveva annunciato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2060.

La ricerca di una propria nicchia: l’origine dell’industria EV cinese:

In realtà, la storia è più lunga: Pechino ha iniziato a guardare al settore delle auto elettriche agli inizi degli anni Duemila nel tentativo di trovare una propria nicchia di mercato in un settore nettamente dominato dalle compagnie europee, statunitensi e giapponesi.

Pechino è comunque intenzionata a ridurre i sussidi nel settore a fronte di un mercato che appare positivamente in crescita, anche se non mancano speculazioni su una possibile bolla legata a una sovrapproduzione di tali tecnologie.

Contestualmente, la massiccia presenza di aziende a partecipazione statale nel settore minerario ha salvaguardato un settore che oggi si rivela altamente strategico per la stabilità della supply chain delle tecnologie “pulite”.

Rimangono le problematiche della gestione sostenibile delle miniere, a cui Pechino sta lavorando attraverso la creazione di enti ad hoc. Ma, nel frattempo, la Repubblica popolare rimane un gigante delle terre rare anche in virtù degli investimenti effettuati in passato, sia in patria che all’estero.

Resilienza agli shock e proiezione esterna: due obiettivi complementari

A ciò si aggiungono i risultati sul miglioramento qualitativo della produzione nazionale di tecnologie per la transizione energetica, ottenuti grazie a capitali investiti con l’obiettivo di rendere il Paese autonomo e resiliente agli shock dei mercati internazionali e alle restrizioni commerciali.

Non ultime, le limitazioni statunitensi nel settore dei semiconduttori a cui Pechino ha risposto restringendo le esportazioni di alcuni metalli minori come gallio e germanio (tema affrontato anche nell’ultimo numero di ENERGIA).

Gli investimenti greenfield cinesi in Europa sorpassano quelli in unioni e acquisizioni
Fonte: Rhodium Group

Non è la prima volta che l’Unione Europea cerca di limitare l’espansione delle aziende cinesi su suolo europeo. I capitali investiti in Europa da parte delle aziende cinesi sono relativamente inferiori se confrontati a quelli in arrivo dagli Stati Uniti.

Anzi: come rileva una recente analisi curata dal think tank tedesco MERICS e Rhodium Group, nel 2022 gli investimenti in arrivo dalla Repubblica Popolare sono tendenzialmente calati dopo il boom post-pandemico (-23% rispetto al 2022) mentre le acquisizioni iniziano a essere superate dagli investimenti greenfield (Figura 1).

Unica eccezione: il settore delle batterie. In meno di due anni sono diversi i giganti cinesi che hanno annunciato l’intenzione di aprire dei nuovi impianti sul suolo europeo. CATL, SVOLT e Envision sono nomi oramai noti nel panorama della produzione di batterie per la mobilità elettrica e la sola CATL domina un terzo del mercato globale. Un fattore che non è passato inosservato e già nel recente passato ha portato a delle indagini sulle operazioni della compagnia e del suo presidente, Robin Zeng.

Se pensiamo che il 40% del valore di un veicolo elettrico dipende dalla sua batteria, le preoccupazioni dell’Unione sono presto spiegate. Se tutti i piani di investimento annunciati pubblicamente verranno implementati (Figura 2), evidenzia un’analisi di Benchmark Minerals pubblicata lo scorso dicembre, l’Europa diventerà il principale produttore di auto elettriche, ma una buona parte di questi produttori saranno legati alle aziende cinesi.

Impianti per la produzione di batterie al 2031
Fonte: Financial Times

Una buona notizia per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione europei, ma un potenziale problema di interdipendenza dalle tecnologie e dagli investimenti cinesi.


Sabrina Moles è analista di energia, ambiente e crisi climatica in Asia ed editor di China Files, collettivo di giornalisti, sinologi ed esperti di comunicazione specializzati in affari asiatici.


Foto: Unsplash

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