10 Ottobre 2023

Col fiato sospeso

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Dopo 50 anni esatti, il mondo si trova di nuovo col fiato sospeso di fronte ad una nuova guerra in Israele ed a un suo possibile allargamento al Medioriente. A differenza del 1973 i margini di manovra dell’Occidente in ambito energetico sono molto più ridotti.

A 50 anni esatti di distanza dal 7 ottobre 1973 il mondo si trova di nuovo col fiato sospeso di fronte ad una nuova guerra in Israele ed a un suo possibile allargamento al Medioriente. A causarla il micidiale attacco perpetrato sabato dalle milizie di Hamas con una serie di incursioni via terra, aria, mare che hanno causato la morte di centinaia di civili israeliani e ferendone diverse migliaia. Da qui, la reazione di Israele tuttora in corso.

L’attacco ad Israele nel 1973 avvenne nel giorno sacro ebraico dello Yom Kippur con l’invasione di Israele da parte delle truppe egiziane e siriane da cui originò il complesso intreccio di avvenimenti noto come Prima Crisi Petrolifera con un’esplosione dei prezzi del petrolio – da 2,5 a 12,5 dollari al barile – che causò la prima recessione economica dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Recessione che si acuì con la Seconda Crisi Petrolifera del 1979-1980 che spinse i prezzi a punte di 40 dollari al barile con un’inflazione balzata a percentuali a due cifre e la disoccupazione nei paesi dell’OCSE nel 1982 esplosa a 30 milioni di unità.

Allora, la reazione dell’Occidente in ambito energetico fu impressionante

La reazione dei paesi avanzati fu impressionante: volta a sostituire il petrolio con nucleare, carbone e gas naturale così da ridurre la dipendenza dai paesi politicamente ostili riuniti nell’Opec.

Nel volgere di pochi anni si creò un surplus di petrolio che portò nel 1986, anche per la politica decisa dall’Arabia Saudita, ad un crollo dei prezzi del greggio.

Come si prospettano oggi i possibili sviluppi di una guerra che potrebbe essere di non breve durata, diversamente da quello che accadde mezzo secolo fa, quando sul piano militare si esaurì in meno di un mese? Il fattore tempo potrebbe infatti risultare assolutamente cruciale.

Mercati energetici di nuovo nel ciclone dopo una ritrovata quasi normalità

Partiamo dalla situazione dei mercati energetici. Rispetto ad un anno fa si era osservata una forte riduzione dei prezzi sia del gas che della correlata elettricità, che si mantenevano comunque superiori di due-tre volte ai livelli tendenziali pre-crisi.

Un ritorno quindi parziale alla normalità, anche in ragione dei bassi livelli della domanda di energia per l’insoddisfacente andamento delle economie, specie di quella cinese. Una ripresa della domanda avrebbe potuto evidenziare la fragilità dei mercati sia del gas che del petrolio.

I prezzi forward del gas, alla scadenza di dicembre, hanno registrato dopo il 7 ottobre un aumento intorno al 10% mentre quelli spot hanno segnato sulla piattaforma italiana PSV un aumento del 23% da 33,5 a 41,5 euro/MWh.

Duplice la ragione:

  • il panic buying per il timore che la crisi possa acuirsi
  • e i fondamentali di mercato per il rischio che possano peggiorare gli elementi di tensione che già lo attraversavano.

La statunitense Chevron ha informato dell’ingiunzione di Israele di interrompere la produzione di gas naturale nella piattaforma offshore di Tamar nel Mediterraneo Orientale, mentre dovrebbe proseguire quella nel limitrofo giacimento Leviathan. Potrebbero comunque risentirne le vendite di gas di Israele all’Egitto e quindi le esportazioni egiziane di GNL all’Europa.

È importante evidenziare come paesi esportatori di gas naturale a cui quelli europei si erano rivolti per ridurre la dipendenza da Putin – ad iniziare dall’Algeria, per non parlare del Qatar – si siano espressi contro la reazione israeliana, addossando le colpe dell’escalation interamente al governo Netanyhau e di fatto supportando implicitamente Hamas, anche successivamente gli attacchi.

L’Europa del gas si trova schiacciata tra guerra ucraina e guerra medio-orientale

Quanto al petrolio, i suoi prezzi sono aumentati il 9 ottobre a circa 88 dollari al barile, 4 in più del 6 ottobre, interrompendo la caduta che si registrava da fine settembre quando quotava 97 dollari al barile, nonostante la decisione dell’Opec Plus di contenere l’offerta per sostenere i prezzi e dell’Arabia Saudita di ridurla addizionalmente di 1 mil.bbl/g.

I prezzi del petrolio vanno incamerando un risk premium per il timore che la crisi possa allargarsi all’Iran e all’Arabia Saudita, che hanno prodotto rispettivamente a luglio 3,9 e 11,4 milioni di barile al giorno (dati Energy Intelligence) su una domanda intorno a 100 milioni di barili al giorno.

Se le loro produzioni dovessero ridursi l’impatto sui prezzi sarebbe inevitabile a meno che l’economia mondiale non abbia già preso a risentire della nuova guerra.

Nei prossimi giorni vedremo come evolverà, quel che molto dipenderà dalla pressione degli Stati arabi verso Israele, esattamente come accadde 50 anni fa con l’embargo decretato agli Stati Uniti dall’Oapec per il suo sostegno militare ad Israele.

L’Occidente dell’energia ha oggi margini di manovra molto ridotti

Rispetto al 1973 i margini di manovra dell’Occidente sono molto più ridotti: se un eventuale ricorso al nucleare, oggi come allora, non può che espletarsi in tempi lunghi, quello al carbone è vincolato da ragioni ambientali (anche se abbiamo già visto con la crisi ucraina come queste possano all’occorrenza passare in secondo piano), mentre quello al gas naturale è limitato dalla scarsa capacità produttiva sul mercato internazionale (se non in prospettiva per il GNL americano) e dalla volontà di non ricorrere a quello russo (sebbene le importazioni di GNL abbiano continuato ad aumentare).

Una lezione comunque dovremmo trarre dalla tragedia che si sta consumando. Che il mondo avanzato (e non) dipende ancora moltissimo dal petrolio e dal gas. Sostenere che non ve ne sia ormai più necessità – come ha artatamente ripetuto l’Agenzia di Parigi nei giorni scorsi – è un’emerita sciocchezza, così come sostenere che pannelli solari o turbine eoliche possano pienamente sostituirle entro breve tempo.


Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it







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