In uno scenario in continua evoluzione, la minaccia maggiore alla sicurezza energetica europea proviene ancora una volta dal gas, col probabile sabotaggio del gasdotto sottomarino Balticonnector. La natura altamente politicizzata dell’energia richiede alte dosi di astuzia, cinismo e risolutezza, nonché una profonda conoscenza delle dinamiche dei mercati. Doti di cui le istituzioni europee paiono carenti.
Non vi è pace per la nostra sicurezza energetica e non ve ne sarà per i mesi a venire. In pochi giorni, l’illusione del calo dei prezzi e dei due miti inverni che abbiamo trascorso è stata interrotta dall’incombente guerra tra Hamas e Israele e il probabile sabotaggio del gasdotto che collega Finlandia ed Estonia.
Il periodo che ci attende rischia di essere segnato da incognite relative a crisi internazionali e attacchi ad infrastrutture critiche, provocando un’impasse della transizione e un arretramento della diplomazia energetica internazionale. Tutti elementi che rendono ancor più strutturale l’instabilità dei prezzi, incidendo direttamente sulla vita dei cittadini italiani ed europei, e che rendono drammaticamente l’energia il perfetto strumento per politiche di potenza.
La blitzkrieg scatenata da Hamas nel Sud di Israele, l’uccisione di centinaia di cittadini, il rapimento di dozzine di essi all’interno dei territori controllati dall’organizzazione terroristica e il barrage missilistico su oltre la metà del territorio di Israele ha di fatto rigettato il Medio Oriente in una spirale di violenza che appare senza confini. La risposta del governo Netanyahu non si è fatta attendere. Artiglieria ed aviazione hanno centrato decine di edifici civili nella Striscia di Gaza, provocando distruzione su di una popolazione già martoriata da anni di privazioni e condizioni di vita inumane.
L’esercito israeliano si prepara a quello che si prospetta come un lungo assedio, tagliando forniture di luce e carburante a Gaza, Israele ha imposto il taglio della produzione di alcuni giacimenti di gas e ridotto le esportazioni all’Egitto per preservare la propria sicurezza. Gli Stati Uniti invece muovono la flotta vicino le coste israeliane con l’obiettivo di dissuadere altre potenze ad entrare in gioco. Gli scambi di colpi d’artiglieria al confine con il Libano sono continui e l’Iran, il maggiore alleato di Hamas, dispone di moltissime leve di pressione per destabilizzare ulteriormente la sicurezza d’Israele. Nel mentre, nella città di Gerusalemme fibrillano gli animi della comunità araba.
Nel grande scacchiere, i grandi produttori energetici della regione, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, insieme alle potenze di Turchia ed Egitto, rimangono alla finestra pronti a trarre benefici dal caos organizzato mediorientale.
Il Mediterraneo va a fuoco, l’Europa appare divisa sul da farsi
Davanti all’infuocarsi del Mediterraneo allargato, l’Europa appare divisa sul da farsi. Anche se la difesa dello Stato di Israele ha ricevuto unanime supporto, veti incrociati rischiano di immobilizzare Commissione e Consiglio nei giorni e settimane a venire, impossibilitata ad incidere proattivamente sulla risoluzione del conflitto.
Eppure, in questo dinamico scenario, la minaccia maggiore per la tenuta della sicurezza energetica europea proviene, paradossalmente, non dal Medio Oriente e non vede nel petrolio la fonte maggiormente a rischio, sebbene i prezzi del greggio vadano incamerando un risk premium per il timore che la crisi possa allargarsi ai Paesi del Golfo Persico. Sempre maggiori evidenze indicano la possibilità di un sabotaggio dell’ennesimo gasdotto sottomarino nel Mar Baltico.
Il Balticonnector è un’infrastruttura che, seppur marginale nel macrocontesto europeo, ha collegato la Finlandia al network gassifero continentale dal 2020 in poi. Da oggi però Helsinki, rea di essere diventata un membro NATO, dovrà fare i conti soltanto sul GNL per poter garantire un sicuro passaggio attraverso l’imminente inverno, dato che i danni al gasdotto necessiteranno di mesi per essere riparati.
I timori di una fase di sabotaggi si riflette nella risposta dissennata sui mercati del gas
La paura serpeggia in Europa e il timore è che questo non sia altro che il primo di una lunga serie di sabotaggi che seguono quello del celebre Nord Stream.
Stando infatti ai semplici fondamentali di domanda e offerta, il mercato del gas europeo ha reagito in maniera dissennata. Con stoccaggi pieni e domanda ai minimi e, pari soltanto ai periodi della pandemia da COVID-19, non si spiegano i rialzi che in due giorni hanno portato i prezzi all’indice TTF ai massimi da sette mesi, con aumenti che ricordano quelli dei giorni appena precedenti l’invasione russa dell’Ucraina, nel febbraio del 2022.
Non è dunque nell’equilibrio tra domanda e offerta che andrebbe trovata la ragion d’essere di questo impazzimento dei mercati, quanto piuttosto nella natura altamente politicizzata degli stessi e dalla trasformazione dell’energia in uno strumento efficientissimo di politica estera.
In un mondo che sta vivendo le drammatiche conseguenze del cambiamento climatico, le tragiche ricadute della guerra tra potenze sul suolo europeo e la frammentazione dell’ordine internazionale, l’energia rappresenta il perfetto ensemble con cui è possibile disegnare strategie complesse e raggiungere molteplici obiettivi politici.
L’Europa è pronta per un simile gioco?
Tutto ciò richiede però alte dosi di astuzia, profonda conoscenza delle dinamiche dei mercati energetici, oltre che di un’abbondanza di cinismo e machiavellica risolutezza. Doti che paiono abbondare nel nostro Vicinato e al di là degli oceani, ma che ahimè sembrano essere centellinate nelle istituzioni che ci rappresentano, impegnate in numerose e impalpabili querelle che rischiano di far arenare sia il progetto di rafforzare la sicurezza energetica europea, sia il processo di transizione, a poche settimane dall’inderogabile appuntamento di COP28.
Alla luce delle tensioni in Medio Oriente, nel Caucaso e ovviamente in Ucraina, e considerando il ruolo incontestabile che petrolio e gas ricoprono per la sicurezza energetica in Occidente, una cooperazione tra paesi produttori e consumatori appare sempre più labile, incuneatasi ormai sulla grande opposizione tra l’Alleanza OPEC+ e i suoi detrattori – Stati Uniti ed Unione Europea su tutti – e sulla grande flessibilità diplomatica che la Cina continua a mantenere con i produttori di idrocarburi e materie prime critiche in ogni continente.
In ognuno di questi scenari, l’energia è e rimarrà l’elemento ricorrente di un gioco tra potenze che però non si basa sull’anarchia, ma su regole d’ingaggio definite da mercati che nessuno controlla, ma a cui ognuno sta cercando di imporre il ritmo della propria agenda politica.
Francesco Sassi è dottore in geopolitica dell’energia presso l’Università di Pisa e analista dei mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche. Su RivistaEnergia.it cura la rubrica “Geopolitica dell’Energia“
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