24 Ottobre 2023

Gallio, germanio e ora grafite: possiamo davvero svincolarci dalla Cina?

LinkedInTwitterFacebookEmailPrint

Dopo gallio e germanio, la Cina impone delle restrizioni anche all’export di grafite. Un uso strumentale delle materie prime che complica le ambizioni di transizione energetica accentuando le problematiche di sicurezza. Su ENERGIA 3.23 Francesco Sassi analizza la strategia cinese e si interroga sul tipo di interdipendenza, se reversibile o meno, che lega l’Occidente a Pechino.

“è difficile oggi escludere che nei prossimi mesi nuove restrizioni al commercio vengano introdotte” scriveva in agosto Francesco Sassi nel suo articolo sulle limitazioni imposte dalla Cina all’export di gallio e germanio pubblicato su ENERGIA 3.23 a cui ha fatto seguito a pochi mesi di distanza nuove restrizioni sulla grafite, minerale critico per le batterie dei veicoli elettrici. Un salto di qualità tanto significativo quanto pericoloso nell’utilizzo delle materie prime critiche necessarie per la transizione energetica come strumento geopolitico da parte della Cina, la cosiddetta weaponization.

La transizione porta verso una geopolitica dell’energia più complessa –  Energia 2.19

Così come le politiche industriali (IRA e Green Deal Industrial Plan), anche quelle commerciali e la politica estera entrano nel vivo della transizione energetica, rendendola più complessa nelle sue articolazioni e più complicata da conseguire.

Tornata in auge con la crisi dei prezzi e del gas, il ritorno della sicurezza energetica rischia di ostacolare il perseguimento della transizione come indicato, tra gli altri, da Daniel Yergin nel suo articolo proposto nello stesso numero di ENERGIA.

Un rapporto di interdipendenza sempre più teso tra Pechino, Washington e Bruxelles

“La mossa”, scrive Sassi nel suo articolo, “intende evidenziare una crescente insofferenza cinese verso le montanti strategie di «de-risking» e «de-globalizzazione » in forte espansione su ambo i lati dell’Atlantico, con particolare attenzione alle cosiddette tecnologie verdi”.

“La Cina ha infatti da tempo dimostrato una certa capacità di strumentalizzare il commercio di materie prime critiche all’interno di specifiche contese internazionali. Ad esempio, sono ancora vivide le tracce delle restrizioni all’export di terre rare che la Cina ha imposto al Giappone nel 2010 e le successive diatribe, durate anni, che hanno coinvolto Unione Europea, Stati Uniti e alleati internazionali, da una parte, e Pechino, dall’altra, presso l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC) (3)”.

Europa e Stati Uniti dipendono dalla Cina per oltre il 50% per molte Materie Prime Critiche

L’articolo muove dalla ricapitolazione della strategia cinese sulle materie prime (par. 1). “L’influenza della Cina si è andata a consolidare grazie ad una strategia lungimirante e di lungo termine. Sin dall’inizio degli anni 1990, Pechino ha dato il via ad una forte espansione degli investimenti esteri da parte dei colossi di Stato (denominata go out strategy) con l’obiettivo di renderli dei veri e propri attori internazionali e assicurare l’accesso alle materie prime strategiche necessarie alla crescita dell’economica cinese.”

“Oggi, in una fase di preoccupante rallentamento dell’economia cinese, il settore delle rinnovabili rappresenta un traino di fondamentale importanza per la Cina di Xi Jinping, rafforzando la determinazione di Pechino a mantenere la leadership nelle tecnologie verdi”.

L’Occidente riconosce l’incompatibilità con le logiche di mercato delle politiche e delle pratiche che Pechino utilizza da decenni

L’analisi passa quindi ad indagare come le restrizioni surriscaldano le relazioni con l’Occidente (par. 2). “La capacità senza eguali del Paese di controllare le supply chain legate alle MPC è un fattore assai rilevante del primato cinese nella manifattura di componenti dell’industria verde. Secondo l’International Energy Agency (IEA), la concentrazione lungo qualsiasi punto della catena del valore delle rinnovabili «rende l’intero sistema vulnerabile a cambiamenti repentini, così come alle scelte politiche di un singolo paese» (13)”.

“A far da contraltare al dominio cinese nelle supply chain delle MPC – dove proprio l’interdipendenza tra Pechino, Bruxelles e Washington ha consentito alla prima un’espansione così massiva delle capacità interne – vi è l’insorgere di una «de-globalizzazione» incalzante, associata a un dilagante nazionalismo delle materie prime e a un’instabilità e politicizzazione perpetua dei mercati”.

Le pratiche di friend-shoring pongono la questione di una possibile e ulteriore frammentazione delle catene del valore globali e di un incremento dei costi insiti nel processo di transizione

La vicenda è altresì occasione per l’analista di geopolitica dell’energia di Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche di riflettere sulla complessa natura delle interdipendenze economiche, così come concepite nella teoria delle relazioni internazionali e le sue implicazioni per la sicurezza e la transizione energetica (par. 3 – Interdipendenza fragile o complessa?).

Molto comuni nell’attuale contesto di instabilità internazionale e tensioni geopolitiche, le  interdipendenze fragili sono, secondo la teoria delle relazioni internazionali, instabili e reversibili, in quanto non coinvolgono aspetti fondamentali dei paesi, come identità e sicurezza. Aspetti che le differenziano da quelle cosiddette complesse.  

“Possiamo davvero definire l’interdipendenza nelle MPC tra Unione Europea, Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese come un’interdipendenza fragile e quindi facilmente reversibile? Gli esperti in materia hanno visioni discordanti”.

Un’interdipendenza fragile o complessa?

Dopo aver presentato le posizioni espresse in letteratura, Sassi trae le sue conclusioni. “Alla luce di questa analisi, nell’opinione di chi scrive, l’interdipendenza tra Cina e Occidente risulta assai più complessa e non facilmente reversibile di quanto possa apparire stando a come il dibattito pubblico, soprattutto in Europa, sta affrontando il tema MPC. Il processo di onshoring/friendshoring e di riposizionamento dell’UE verso una tanto agognata autonomia strategica solleva infatti più di un quesito.

In quali modalità una nuova primavera dell’industria mineraria e della raffinazione e processamento possono coesistere con le società nelle economie più avanzate all’interno dell’Europa? Quali saranno le reazioni politiche all’interno dei singoli Stati membri e in particolare in quelli che da molti decenni hanno messo in secondo piano queste filiere? Domande che dovrebbero suscitare interesse sia nella comunità scientifica – apparentemente più avvezza a coniugare la transizione come un mero percorso tecnico-economico invece che sociopolitico – che in quella dei policy makers – ad oggi largamente incapace di anticipare gli effetti delle dinamiche di mercati globali su processi di decarbonizzazione regionale e/o statale”.


Il post presenta l’articolo di Francesco Sassi, Le restrizioni cinesi all’export di gallio e germanio pubblicato su ENERGIA 3.23 (pp. 28-34)

Francesco Sassi, analista di geopolitica dell’energia e dei mercati energetici di Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche

Foto: Pixabay

0 Commenti

Nessun commento presente.


Login