25 Ottobre 2023

Grafite, smarcarsi dalla Cina (anche) per ragioni ambientali

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La decisione di Pechino di limitare l’export di grafite, minerale chiave nelle batterie agli ioni di litio, potrebbe stimolare lo sviluppo di nuova capacità al di fuori della Cina. Un’opportunità per l’Occidente, non solo in termini di sicurezza energetica, ma anche ambientali.

La grafite è il componente di una batteria col maggior impatto in termini di peso: il 45% o più, tanto che oggi un veicolo elettrico plug-in medio ne può contenere fino a 70 chilogrammi.

Come già avvenuto in giugno con riferimento al gallio e al germanio, la recente decisione delle autorità cinesi di far richiedere alle proprie aziende un permesso per esportare prodotti contenenti grafite porta nuovamente alla ribalta il tema della dipendenza della supply chain occidentale delle auto elettriche da Pechino.

Timori che si sommano a quelli della concorrenza “sleale” delle auto elettriche made in China a quelle europee e che sono stati ufficializzati in settembre con l’annuncio da parte della presidente della Commissione Ursula von der Leyen di un’indagine anti-sovvenzioni nei confronti della Cina (si veda al riguardo: Auto elettriche cinesi: dal mercato interno alla diffusione in Europa e Chi ha paura delle auto elettriche cinesi?, ndr).

Il tema della dipendenza occidentale dalla supply chain cinese è di notevole rilevanza soprattutto per le implicazioni di sicurezza, come ci ricordano le ustioni ancora doloranti dovute alla crisi del gas russo, ma ha implicazioni altrettanto rilevanti da un punto di vista ambientale, considerato che la volontà di transizione verso l’auto elettrica e altre tecnologie rinnovabili, come solare ed eolico, ha ragion d’essere nella necessità di ridurre se non azzerare le emissioni di CO2 per mitigare i cambiamenti climatici.

La produzione e la catena di approvvigionamento delle celle delle batterie rimangono un hotspot ambientale a causa della complessità dei processi produttivi e della loro intensità energetica. L’elettrificazione sposta le emissioni all’interno del ciclo di vita, dalla fase di utilizzo alla fase di produzione, dove la fase estrattiva e di raffinazione delle materie prime necessarie rivestono una componente critica.

Grafite: il processo produttivo e l’impatto energetico

Tenendo bene a mente questa premessa, torniamo alla grafite ed al suo impatto ambientale. La grafite è una forma allotropica di carbonio che può essere estratta, grafite naturale, o prodotta dalla lavorazione di idrocarburi, come coke, petrolio e catrame di carbone, detta quindi sintetica (per un approfondimento al riguardo e le implicazioni su mercato e offerta si veda: Dentro le batterie, cosa riserva il 2023? Nichel, manganese, grafite).

In entrambe le situazioni ci si trova comunque di fronte a processi ad alta intensità energetica che comportano un’energia incorporata per chilogrammo di grafite pari a 230-260 MJ.

Oggi il 70% della grafite utilizzata nella produzione anodica cinese è sintetica, prodotta per la maggior parte nella regione settentrionale della Mongolia Interna, dove l’energia viene prodotta da centrali elettriche alimentate a carbone. Una scelta “ambientale” dovuta ai problemi creati dall’attività estrattiva nelle province Shandong e Heilongjiang (per approfondire rimando al mio libro Energia verde? Prepariamoci a scavare).

La maggior parte degli impatti dei processi di produzione della grafite sintetica sono imputabili al grande consumo di energia dovuto principalmente (ma non solo) a due processi. Il primo è la produzione di coke di petrolio calcinato, che è la materia prima della grafite sintetica, ed avviene riscaldando il coke di petrolio a temperature superiori a 1.200 gradi Celsius. Il secondo processo energivoro è la cottura del materiale ad alta temperatura (tra i 2.500 e 3.000 gradi Celsius) e la successiva grafitizzazione a temperature di circa 3.500 gradi Celsius.

Risulta evidente la dipendenza dall’energia elettrica del processo che rende l’impatto delle emissioni di questi prodotti funzione del mix energetico con cui viene prodotta, mentre per gli impatti ambientali la parte maggiore deriva dall’uso di reagenti e combustibili.

Quanto impatta l’industria della grafite in Cina? Le incongruenze dei database LCA

La Cina ha fatto enormi progressi nel controllo del midstream anodico garantendosi una capacità produttiva che le consente di controllare circa il 93% dell’offerta a fronte di una completa inerzia da parte del resto del mondo.

La decisione di Pechino di restringere l’export di grafite desta preoccupazioni nei paesi che dipendono dalla catena di approvvigionamento cinese per grafite ed anodi per le possibili tensioni dei mercati, ma è anche importante osservare, nel complesso, le opportunità che questa decisione impone, soprattutto dal punto di vista ambientale.

Secondo molti analisti, quest’uso strumentale da parte di Pechino delle materie prime spingerà lo sviluppo di nuova capacità al di fuori della Cina e questa potrebbe essere un’opportunità per risolvere un problema che mina alle fondamenta le credenziali ecologiche delle batterie agli ioni di litio: l’assoluta mancanza di trasparenza e dettaglio dei dati, su scala industriale, relativi alla produzione delle materie prime costitutive.

Una ricerca finanziata da Volkswagen Group Components rivela come i risultati della loro Life Cycle Assessment (LCA) dimostrino che la produzione di una tonnellata di materiale anodico di grafite naturale abbia un’impronta carbonica di circa 9.616 kg di CO2eq.: un valore più di 4 volte superiore a quanto riportato da Ecoinvent (versione 3.7.1).

Le ragioni di queste incongruenze con i database LCA, che presentano valori palesemente sottostimati anche a causa della scarsa qualità dei dati, vanno ricercate nella errata attribuzione dei contributi energetici o nell’omissione, nel calcolo delle emissioni, dell’impatto incorporato dei materiali di consumo.

Ulteriori conferme provengono da un’analisi di Minviro che rileva come l’impronta carbonica di 1 kg di grafite di grado anodico nei mix energetici basati sul carbone, come nel caso della Mongolia interna in Cina, sia superiore di oltre otto volte rispetto al valore dei database commerciali.

Negli attuali database commerciali i set di dati pubblicati, come riscontrato nel caso dei pannelli fotovoltaici, si basano per lo più su dati provenienti da fonti che spesso non riflettono gli standard industriali globali o su analogie con dati provenienti da altri settori, in questo caso l’industria dell’alluminio, o utilizzano mix energetici non realistici.

Variazione percentuale del potenziale di riscaldamento globale (GWP) normalizzato sul valore del database commerciale per la produzione di grafite anodica.
I valori includono i mix energetici basati sul carbone, i dati accademici e quello di un database LCA commerciale.
Fonte: R. Pell, P. Whattoff, J. Lindsay, 2021, Climate impact of graphite production, MINVIRO.

Un via dell’Occidente alla grafite è possibile

Ma quali sono le possibilità per l’Occidente di smarcarsi dalla Cina? La grafite non è un minerale raro e non mancano potenziali giacimenti in molti paesi. Oggi, oltre alla Cina, la grafite viene estratta in Mozambico, Tanzania e Madagascar, ma si stanno sviluppando, in paesi come il Canada, che dispone di significative riserve di grafite in scaglie larghe particolarmente idonea alla produzione di anodi, o l’Australia, soluzioni mine-to-market dove l’integrazione verticale consente di servire direttamente il mercato delle batterie per i veicoli elettrici.

Il midstream successivo alla fase estrattiva e di arricchimento di queste realtà prevede un impianto per la micronizzazione per macinare un concentrato fine da una dimensione di 100-150 micron fino a dimensioni comprese tra i 10 ed i 20 micron. Il passo successivo è la sferoidizzazione della grafite micronizzata e la purificazione per portarla al grado di concentrazione anodico (> 99,95% in peso di C). A questo punto la grafite sferica non rivestita (uncoated) viene rivestita (coated) con carbonio mediante decomposizione termica per ottenere un prodotto idoneo all’uso da parte dei produttori di batterie.

Anche in questo caso si tratta pertanto di un processo ad alta intensità energetica dove la raffinazione comporta anche delle significative perdite in peso del materiale: per produrre 10.000 tonnellate di grafite sferica servono circa 24.000 tonnellate di grafite in scaglie.

Da qui l’importanza di un puntuale calcolo dell’impronta carbonica della produzione primaria che potrebbe fornire quei presupposti economici che oggi rendono inconsistente l’economia circolare della grafite poiché le aziende di riciclo guardano ai metalli di valore più elevato, come cobalto e nichel, ed utilizzano metodi di riciclaggio che bruciano la grafite.

Ulteriore soluzione che l’Europa potrebbe percorrere è la localizzazione degli impianti per la produzione di grafite sintetica in quei paesi del nord Europa dove il mix energetico è basato su fonti rinnovabili come l’energia idroelettrica.

Le aziende cinesi hanno decenni di esperienza nella produzione di grafite di qualità anodica e recuperare richiederà ingenti investimenti ma la strada verso un mondo a basse emissioni inizia con lo sviluppo delle proprie fonti di produzione primaria e secondaria finalizzate anche a imporre uno standard internazionale unico di riferimento per definire le caratteristiche di sostenibilità ambientale del prodotto ed evitare dinamiche distorsive del mercato.


Giovanni Brussato è ingegnere minerario e autore del volume Energia verde? Prepariamoci a scavare, ed. Montaonda


Foto: Unsplash

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