13 Ottobre 2023

Il sentimento del petrolio

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Perché il prezzo del petrolio non è schizzato? L’interdipendenza produttori-consumatori rende le dinamiche energetiche parzialmente indipendenti da quelle politiche. A patto che il conflitto non finisca per coinvolgerli direttamente.

Il prezzo del petrolio, in fondo, è sentimento. Quello che esterniamo è di regola un prezzo di borsa, ovvero di un mercato regolato (Chicago Mercantile Exchange, Nymex, …) dove non si compravendono – se non mediatamente – barili ma solo futures e derivati che hanno i barili come sottostante. C’è chi va al mercato per fare hedging (e dunque usa i derivati per fissare il prezzo di una transazione fisica) e c’è chi va al mercato a prestare hedging e perciò ad assumersi il rischio/prezzo (nella vulgata corrente il prestatore di hedging è detto speculatore…).

Il prezzo della carta (titoli) e quello del barile hanno tra loro una qualche relazione? Il future va a scadenza; e a scadenza (preponderantemente mensile) lo devi onorare. Lì quasi di necessità la carta deve riconciliarsi col barile; e comunque chi andasse a cercare forti discrepanze tra prezzi delle transazioni fisiche (come rilevate ad es. da Platts) e prezzi future difficilmente ne troverebbe (se non per periodi molto ridotti).

Prezzo di breve: fluttuazioni intorno a quello di lungo

L’investitore che si mette lungo o corto di carta in fondo segue un sentimento (che la modernità chiama algoritmo); e poi però il sentimento glielo livellano domanda e offerta reali. Il prezzo del petrolio può separarsi dal fisico e magari fare pure bolla, ma in tendenza non può poi che riallinearsi. Chiedete agli “speculatori” che hanno perso miliardi in tempi di Covid per ulteriori dettagli.

Nel breve periodo il sentimento può spingere in alto o in basso i prezzi anche in funzione del variare relativo delle posizioni corte (i.e. vendite allo scoperto) e lunghe degli operatori; ma per provarsi a decifrare la tendenza di lungo periodo del mercato meglio lasciar stare la finanza e dare occhio ai macrofattori.

Gli attori macro sono per definizione l’offerta di OPEC/Russia e la domanda cinese. Dal lato dell’offerta, OPEC plus è riuscito in quel che OPEC da solo aveva (quasi) sempre fallito. Ridurre disciplinatamente la produzione difendendo i prezzi. I sauditi, che ai tempi del Covid inizialmente il petrolio quasi te lo regalavano pur di non perdere quote di mercato, adesso hanno messo in pista tagli credibili delle produzioni nazionali restringendo sensibilmente l’offerta.

Se c’è da stupirsi, è che il prezzo non abbia ancora superato i 100 dollari

Due milioni di barili sono stati di fatto ritirati dai mercati, in buona parte compensati dall’aumento delle produzioni non OPEC (+1,9 mb/g). E però l’avvenuta estensione dei tagli sino a fine anno rischia di creare uno sbilanciamento di domanda e offerta nell’ultimo trimestre, posto che, nonostante la conclamata decarbonizzazione, i consumi di petrolio 2023 si prevedono in crescita di quasi un milione di b/g rispetto all’anno precedente. 

Poi la domanda. I cinesi per loro conto hanno riaperto al massimo il rubinetto delle importazioni. A fine agosto era del 25% sopra il pre-pandemia e del 31% sopra il 2022. 

Se ci aggiungete che le scorte commerciali americane sono arrivate ai minimi da anni (la correlazione prezzo/scorte è di regola inversa, nel senso che il crescere delle scorte sottende contrazione nei consumi e prezzi in calo, e viceversa) ve ne dovrebbe risultare che la somma +tagli+consumi-scorte il prezzo avrebbe dovuto farvelo esplodere; insomma se c’è ragione di essere sorpresi è perché il petrolio non sia già comodamente salito sopra i 100 dollari.

Dove si inceppa l’equazione: il sentimento

Così non è (ancora) stato; e a cercare un perché occorre forse ricorrere al sentimento. E il sentimento che sembra predominare tra gli operatori è di forte scetticismo rispetto alla solidità della domanda.

Ci sono segnali contraddittori. La Cina aumenta le importazioni più di quanto non cresca economicamente, e dunque al netto dei consumi per la ripresa post-Covid del settore trasporti forse sta anche facendo magazzino. Le scorte di greggio USA sono al minimo; ma quelle di benzina sono andate in forte crescita (verrebbe da dire che più che consumare esporta…). L’Europa stagna (ma qui nulla di nuovo); e altro ancora.

Il prezzo si è perciò mosso a scatti. È andato sotto i 75 dollari; e poi al primo annuncio di taglio (aprile) è schizzato sopra gli 87, per poi ridiscendere velocemente sotto 75. Il taglio non era sufficiente a sostenere il prezzo. Poi, dopo il secondo taglio e l’estensione di questo fino a fine anno, è ripartito in progressione: ha fatto 95 il 27 settembre e sembrava infine lanciato verso i 100 e oltre. Che sarebbe stato normale, al netto dello scetticismo. E invece in una settimana ha perso più di 10 dollari, ed è atterrato (5 Ottobre) dalle parti degli 84. La grafica ha una qualche parentela con un elettrocardiogramma; e i cardiologi degli “speculatori” sono overbooked

Tutti a chiederci se sarebbe sceso o salito; e poi fu Palestina. E tutti a interrogarsi su cosa sarebbe cambiato. Media d’assalto e terrorizzanti, o quasi, sulla crisi energetica prossima ventura e addirittura sul ritorno del 1973, che il titolo più diffuso era “balzo del prezzo del petrolio”. Era salito di 4 dollari e arrivato a 88,7 dollari meno della settimana prima. Più che un balzo, un rimbalzo.

I titoli erano appena stampati che già si era fermato e anzi marginalmente scendeva. Poi magari balzerà davvero; ma per ora sul fronte petrolio la notizia è che non è successo niente. 

Le dipendenze reciproche rendono indipendenti energia da politica

La storia ci insegna che la necessità dei produttori di conservarsi a fini di sopravvivenza politica e sociale la rendita petrolifera e la nostra necessità di tenerci caldi e mobili spesso creano dipendenze reciproche che rendono le vicende dell’energia almeno relativamente indipendenti da quelle della politica “ufficiale” (l’Ucraina ne è emblema: che nel mondo di sopra nel 2015 era inferno, e in quello di sotto il fiume azzurro del gas scorreva placido nel comune interesse russo, ucraino e nostro; e adesso a guerra in corso il russo ha continuato a pagare all’ucraino in valuta i diritti per il transito del suo gas). 

Si vocifera oggi di possibili interruzioni della fornitura di gas algerina causa la vicinanza degli algerini a Hamas. Se staccano loro senza rendita petrolifera poi come mangiano (o meglio come si pagano pensioni e sanità)? E se stacchiamo noi quest’inverno come ci si scalda? Molto probabile che vada infine di nuovo in scena una grande e reciproca manifestazione di ipocrisia politica. Cui, in regime di dipendenza reciproca, ci siamo comunque e da tempo abituati (ogni riferimento alla Russia è puramente casuale…).

Se poi la questione palestinese provocasse deflagrazioni fuori Palestina la storia cambierebbe; ma non vedo altrimenti produttori pronti all’embargo. Il pericolo viene dall’allargarsi del conflitto (anche in forma di un conflitto interno a un Paese produttore), non plausibilmente da un pur possibile “ricatto del petrolio”.

Meglio un prezzo alto ma stabile di uno volatile

In queste primissime ore ha per converso contribuito a calmare il prezzo la posizione saudita di continuazione del dialogo con Israele e di disponibilità anche a questo fine ad allentare i tagli e aumentare la produzione. Che la “generosità” sia poi parente del desiderio saudita e americano di lasciare a casa loro quei 4 milioni di barili/giorno che oggi l’Iran riesce a esportare è interrogativo che vi lascio. Rischia di finire che, anziché subire l’embargo di un produttore, glielo infliggiamo…

La diagnosi è riservata; e l’unica (quasi) certezza è che nell’incertezza la volatilità del prezzo continuerà a regnare (quasi) sovrana. Ci tocca il volatile; ma a fini di nostra economia, potendo scegliere tra prezzo volatile e prezzo alto ma stabile, meglio sarebbe stato non acchiappare il volatile. Una commodity a prezzo più che variabile per i bisogni di copertura che genera e per le difficoltà che implica in punto di programmazione diventa comunque una scomoda commodity.


Massimo Nicolazzi è docente di economia delle risorse energetiche presso l’Università di Torino.
L’articolo è stato pubblicato su ISPI col titolo
Petrolio: il senso della volatilità


Foto: Unsplash

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