La volontà di orientare le politiche pubbliche nella direzione auspicata anziché analizzare le difficoltà, gli ostacoli e le contraddizioni del percorso di transizione rende il WEO meno efficace e utile di quel che potrebbe essere.
Al termine della lettura dell’ultima edizione del World Energy Outlook (355 pagine) elaborata dall’Agenzia di Parigi, viene da porsi una domanda: se debba intendersi come documento politico sul futuro dell’energia piuttosto che studio tecno-economico sulle possibili dinamiche dei sistemi energetici mondiali.
Documento politico perché si ha la percezione che la finalità preminente dei suoi estensori sia quella di orientare le politiche pubbliche nella direzione auspicata, l’abbandono delle fossili, trascurando le difficoltà, ostacoli, contraddizioni che ne hanno segnato sinora il percorso.
Politiche, aspetto più rilevante – come hanno bene analizzato Enzo Di Giulio e Stefania Migliavacca nel loro saggio su ENERGIA 3.23 – che si sono dimostrate inefficaci nel perseguire l’obiettivo prioritario cui dovevano tendere e su cui essere valutate: abbattere le emissioni climalteranti, che continuano ad aumentare nonostante l’immane ammontare delle risorse economiche che a tal fine sono state sinora spese.
Le politiche climatiche funzionano?
La filosofia adottata da anni dall’Agenzia si ripete ancora una volta: anziché analizzare le ragioni, per rimuoverle, di questo fallimento, alzare l’asticella degli obiettivi da raggiungere allungandone l’orizzonte temporale.
Tra questi ostacoli vi è in particolare il fatto che l’altra parte del mondo, quello emergente, anela a migliorare le sue condizioni di vita, quel che richiede – checché se ne dica – un maggior consumo di energia, che non può certo soddisfarsi solo con le risorse rinnovabili (quasi interamente elettriche).
I sostenitori di un mondo carbon-free sottovalutano non solo quanta energia viene oggi consumata, non riducibile a quella commercialmente trattata (escludendo quindi le biomasse), ma quella che dovrà in futuro essere consumata.
In America ci sono grosso modo tanti abitanti quante automobili mentre nell’altra parte del mondo si conta mediamente un abitante ogni venti automobili. Più dell’80% della popolazione mondiale – oltre 6 miliardi di persone – non ha mai preso un volo aereo.
Ebbene, come può sostenere l’Agenzia nel suo WEO che la domanda aerea, nel 2022 ancora inferiore ai livelli pre-pandemici, crescerà in misura modesta negli scenari a politiche date o annunciate e addirittura diminuirà in quello net-zero?
-18% in 5 anni vs -2% in 20 anni: il calo delle fossili nella prospettiva IEA al 2023 e nel consuntivo dei 2 decenni trascorsi
Quanto al ‘che fare’, il WEO prospetta sostanzialmente l’aumento delle rinnovabili elettriche (solare, eolico) e del nucleare – sostitutive delle fossili e non additive come la storia insegna e come ci ricorda Daniel Yergin sempre nell’ultimo numero di ENERGIA – ed un miglioramento dell’efficienza energetica.
Il loro combinato disposto dovrebbe consentire di ridurre la quota delle fossili sul totale dei consumi energetici mondiali dall’attuale 80% (82% secondo l’ultimo Bp Statistical Review, oggi Energy Institute Statistical Review of World Energy) a livelli, comunque, ancora maggioritari: 73%-69%-62% nei tre scenari prospettati al 2030.
Traguardi estremamente ambiziosi se non inverosimili, se si pensa che la quota delle fossili si è ridotta di appena 2 punti percentuali in due decenni, mentre l’Agenzia arriva a prospettare un calo addirittura sino a 18 punti in poco più di un quinquennio.
Quale costo della transizione e quale impatto sui prezzi finali?
Di una cruciale questione il WEO poco si interessa: il costo della riconversione dei sistemi energetici nella direzione auspicata e l’impatto sui prezzi finali dell’energia.
Le passate transizioni energetiche avevano un aspetto in comune: l’abbattimento dei costi dell’energia ed i benefici per i consumatori, in ragione delle innovazioni cui si associavano (si pensi alla motorizzazione). È facile dimenticarsi dei bassi costi dell’energia quando sono bassi, per ricordarsene quando non lo sono.
Sostenere che eolico, solare, auto elettriche hanno raggiunto una strutturale parità di costo con le fonti tradizionali non è veritiero per due ragioni: da un lato, la necessità di avvalersi di impianti in grado di bilanciarne la discontinuità con costi addizionali a carico dei consumatori o dei contribuenti e, dall’altro, il crescente impiego di materiali critici nelle risorse rinnovabili che si stima sempre più costosi.
Non possiamo d’altra parte dimenticare che i sussidi riconosciuti alle rinnovabili sono ammontati nei due passati decenni a circa 5 trilioni di dollari per contribuire ad appena il 5% dei complessivi consumi energetici.
Una (duplice) occasione mancata
Per concludere: si può affermare che l’ultimo WEO, come quelli precedenti, è indubbiamente un documento utile per l’abbondanza di dati e informazioni che fornisce, ma al contempo può ritenersi un’occasione mancata per far sì che le cose possano effettivamente migliorare, così da evolvere verso l’obiettivo di abbattere le emissioni. Il tutto nei tempi che si richiedono come necessari ed a costi che non compromettano la solidità delle economie ed il benessere delle popolazioni.
Un’ultima riflessione: il WEO è uscito nei giorni in cui si sta combattendo un nuovo conflitto in Medio Oriente: quel che ci rammenta, o dovrebbe rammentarci, come l’energia sia un fatto eminentemente politico prima ancora che economico. E, d’altra parte, la stessa Agenzia di Parigi fu istituita nel novembre del 1974, a seguito della prima crisi petrolifera scoppiata il 7 ottobre del 1973: esattamente cinquant’anni prima della attuale guerra.
Dedicare nell’ultimo WEO ai temi geopolitici meno di 2 pagine sulle complessive 355 – quasi poco contassero sulla dinamica dei fatti reali – è un’altra occasione mancata per riflettere sui rischi derivanti dal dipendere massimamente da paesi esteri: si tratti oggi di petrolio e gas mediorientali o domani delle rinnovabili cinesi.
Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it
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