Alti prezzi dell’energia hanno messo in grave crisi l’industria petrolchimica europea che rischia una perdita strutturale di competitività rispetto ad Asia e Stati Uniti. Eppure, la domanda di materie plastiche del Continente resta elevata e il settore è chiave per la transizione energetica. Che fare?
L’industria petrolchimica europea è morente ma non per effetto del successo di policy ambientali che hanno sostituito i suoi prodotti. Al contrario, il continente continua ad essere un vorace consumatore di resine, schiume, vernici e ogni altro prodotto del settore. Solo che, anziché produrli, li importa. Il tutto a causa di una progressiva perdita di competitività rispetto ad altre regioni.
Lo segnala in un editoriale su Bloomberg Javier Blas, giornalista specialista in materie prime ed energia e co-autore di un eccellente libro sull’argomento. Le plastiche in Europa sono ovunque, dagli imballaggi alimentari all’abbigliamento, dai telefoni cellulari ai materiali da costruzione. Secondo l’Agenzia ambientale europea, ogni cittadino del continente consuma ogni anno 150 chilogrammi di plastiche rispetto ad una media globale di 60 chilogrammi.
Costi alti, basso utilizzo degli impianti
L’industria petrolchimica, che produce gli elementi costitutivi di tali manufatti, si basa su due input: il gas naturale e la nafta, un prodotto della raffinazione del greggio. A causa di imponenti costi fissi, gli impianti devono saturare l’utilizzo della capacità produttiva. Sotto il 90% c’è da preoccuparsi, intorno all’80 si sta flirtando col disastro. Negli ultimi trimestri, i tassi di utilizzo di capacità produttiva petrolchimica europea sono stati tra il 65% e il 75%, il che è tollerabile solo da aziende con spalle larghe e comunque non indefinitamente. Dopo il vero e proprio collasso del 2022, quest’anno dovrebbe verificarsi un rimbalzo ma sempre su livelli depressi e tali da mettere a rischio l’esistenza di molti produttori.
Secondo stime dell’Agenzia internazionale per l’energia, il consumo europeo di nafta scenderà quest’anno al minimo da 48 anni, a 34,2 milioni di tonnellate. L’utilizzo è il 18,5% inferiore ai livelli pre-Covid e il 40% sotto il massimo storico di tutti i tempi, segnato due decenni addietro. L’agenzia, con diplomatico eufemismo, ritiene vieppiù difficile che il settore europeo possa tornare ai livelli di forza precedenti.
Perdurando questa situazione, i manager dell’industria vedono un 2024 fatto di inevitabili chiusure di impianti e delocalizzazioni, soprattutto in Asia, dove negli ultimi quindici anni l’investimento diretto europeo nel settore è aumentato di circa il 50%. I tedeschi di BASF, ad esempio, stanno realizzando un impianto in Cina del valore di 10 miliardi di dollari.
Il risultato immediatamente visibile di questa situazione è la demolizione del saldo della bilancia commerciale chimica europea, passato da surplus annui dell’ordine di 40 miliardi di euro annui a quasi zero. Dalla bilancia commerciale a quella geopolitica, il passo è sempre più breve, di questi tempi.
La capacità produttiva emigra
Lo svantaggio competitivo di costo è ormai decisivo: non solo verso l’Asia, a cui è stata ceduta ampia capacità produttiva su acciaio, tessile e cantieristica, ma anche nei confronti degli Stati Uniti, dove l’Amministrazione Biden sta spingendo la produzione di idrocarburi. Che, ricordiamolo, restano necessari per produrre le componenti dell’economia verde.
Come ricorda Blas nell’articolo, in questo momento in Europa siamo impegnati a evitare la decimazione dei produttori dell’eolico offshore, falcidiati dai rincari di costo e da contratti di fornitura prezzati a livelli superati dagli eventi, ma non bisogna scordare che la “poco presentabile” e sporca petrolchimica è quella che produce le eliche delle turbine. Mai scordare che l’energia pulita viaggia (ancora) sulle spalle di quella sporca, settore minerario incluso. In Europa, dopo avere abbattuto la capacità di raffinazione, ora potrebbe toccare al petrolchimico.
Che fare, ammesso che non sia troppo tardi? Servirà un aumento di concentrazione settoriale, verso la creazione dei famosi campioni europei. Misura necessaria per creare almeno sinergie di costo. Nel frattempo, chi ha tasche profonde sta cercando di tenere in vita le proprie industrie energivore a suon di sussidi e relativi danni al campo di gioco europeo, che rischia di essere sempre meno livellato. Questa è la reazione di emergenza della Germania, e dei suoi fondi fuori bilancio. Comunque vada, sarà un problema. Serio.
Mario Seminerio è, tra le altre cose, commentatore economico-finanziario e creatore del blog Phastidio.net dove l’articolo è stato originariamente pubblicato.
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Foto: john mcsporran PxHere
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