Economie di scala, processi autorizzativi, struttura del consorzio sono tra le cause del fallimento del primo progetto di Small Modular Reactor (SMR) made in USA. Genesi, evoluzione e lezioni da trarre dall’esperienza di NuScale.
Il primo progetto di Small Modular Reactor (SMR) made in USA è fallito ben prima di emettere il primo vagito.
Gli antefatti.
NuScale, una start-up nucleare statunitense nata nel 2007 come spinoff di Oregon State University, progetta un reattore modulare di taglia molto ridotta (44 MWe), di tipo “classico” ossia ad acqua in pressione (oltre il 70% dei 412 reattori oggi in funzione nel mondo sono di questa tipologia) ma con un layout completamente integrato (tutti i principali componenti sono all’interno della “pentola a pressione”) e con ampio uso di sistemi di sicurezza passivi. Molti SMR allo studio presentano queste caratteristiche, ma sono di norma più potenti.
Nel 2011 NuScale opera un salto di qualità allorché Fluor, un grande EPC (Engineering Procurement & Construction) americano esperto anche nel settore nucleare, diventa il principale partner industriale. Infatti nel 2013 il progetto viene selezionato dal Dipartimento dell’Energia (DoE) e riceve un cofinanziamento di 226 milioni di dollari per il suo sviluppo.
Nel 2021 l’accordo per la prima centrale
Nel 2016 NuScale formalizza la sua richiesta di licenza all’Autorità di Sicurezza Nucleare americana (NRC) e nel 2020 riceve l’approvazione da parte della stessa, primo SMR USA ad ottenere il risultato: è un passaggio fondamentale nel nucleare, perché dopo il nulla osta da parte dell’autorità statale un progetto diventa realmente commercializzabile.
Dal 2020 ad oggi, NuScale sigla accordi di collaborazione con aziende manifatturiere (BWXT in Canada e Doosan in Corea del Sud) per la propria supply chain e con governi e utilities (dagli USA alla Romania all’Ucraina) per la vendita dei primi SMR.
In particolare, nel 2021 si accorda con Utah Associated Municipal Power Systems (UAMPS) per la realizzazione della prima centrale da 6 moduli, il Carbon Free Power Project (CFPP), con il quale ottiene dal DoE un grant da circa 1,4 miliardi di dollari in dieci anni a supporto della costruzione del First-Of-A-Kind (FOAK) SMR a stelle e strisce.
Nel 2022 NuScale si quota in borsa al NYSE e poche settimane fa, il 9 ottobre, l’azienda Standard Power, attiva nella realizzazione di centri di calcolo per servizi di blockchain e data mining, annuncia un accordo per l’acquisto di 24 SMR di NuScale per due data centre in Ohio e in Pennsylvania.
La scelta di aumentare la potenza del progetto ha richiesto ulteriori approvazioni
I prodromi.
Lo sviluppo del concetto di SMR di NuScale ha vissuto parecchie evoluzioni circa la taglia del reattore. Nato originalmente per produrre 44 MWe, negli anni il progetto è “cresciuto” passando prima a 50, poi a 55, a 60 per essere infine annunciato, subito dopo aver ottenuto la licenza, alla potenza di 77 MWe, costringendo così a un ulteriore passaggio di approvazione da parte della NRC.
Il progetto CFPP prevede la costruzione dei 6 moduli di SMR presso il sito dell’Idaho National Laboratory, uno dei più importanti centri di ricerca nucleari americani. Il Consorzio di realizzazione UAMPS è composto da circa 50 piccole utilities municipali di sette stati (Utah, Arizona, California, Idaho, Nevada, New Mexico e Wyoming), da Beaver City a Wells Rural Electric Company, passando da Salmon River Electric Cooperative.
Il costo di costruzione fatti salvi gli oneri finanziari (overnight cost) è cresciuto da una iniziale stima di circa 7.000 $/kWe agli 11.000 $/kWe del 2020 sino agli attuali 20.000 $/kWe, portando l’investimento complessivo per il progetto CFPP da 5,3 a 9,3 miliardi di dollari, corrispondente a un costo di produzione dell’elettricità da 58 a 89 $/MWh.
L’esplosione dei costi: da 5,3 a 9,3 miliardi di dollari (d 58 a 89 $/MWh)
Il valore dell’azione di NuScale al NYSE dalla prima quotazione nel dicembre 2020 è sempre rimasto stabile attorno ai 10 $/azione, ma dopo un salto del +50% nelle ultime settimane di luglio 2022, ha iniziato una costante discesa sino ai 2 $/azione di questi giorni.
L’epilogo.
L’8 novembre NuScale e UAMPS annunciano la decisione di non procedere alla realizzazione del progetto CFPP, poiché la fase di sottoscrizione del progetto ha raggiunto solo l’80% del budget complessivo. La notizia, invero, non è giunta inattesa negli ambienti informati del settore nucleare ed energetico americano.
La morale.
I reali costi di costruzione di un reattore, grande o piccolo che sia, sono tanto importanti quanto le effettive capacità della sua supply chain, la struttura del consorzio di realizzazione e gestione, le regole del mercato elettrico-energetico nel quale si colloca.
Gli errori: aspetti tecnici e struttura del consorzio
Le cause del fallimento di questo primo progetto per NuScale sono verosimilmente concentrate su alcuni aspetti tecnici e sulla struttura del consorzio:
- le soluzioni tecnologiche devono essere opportunamente considerate anche dal punto di vista economico; in primis, è necessario considerare adeguatamente gli aspetti di economia di scala anche per gli stessi SMR, che non devono essere di taglia troppo piccola: un primo segnale di debolezza del progetto in tal senso è rappresentato dalla continua revisione della taglia del reattore, passata negli anni da 44 a 77 MWe, evidentemente alla ricerca di una riduzione del costo specifico, azione che tra l’altro ha costretto a ripercorrere il processo di licenza; inoltre, la grande struttura in cemento armato di qualità nucleare, che ospita la piscina di raffreddamento nella quale sono collocati i primi sei moduli SMR (sino a un massimo possibile di dodici), certamente efficace dal punto di vista della sicurezza, tuttavia rappresenta un costo di costruzione significativo per l’impianto;
- il consorzio CFPP è composto solo da numerose e piccole aziende municipalizzate, caratteristica di per sé positiva, se però lo stesso è guidato da grandi utilities, in grado di sostenere le turbolenze tipiche di un progetto FOAK e aventi già esperienza di gestione di impianti e progetti nucleari, o almeno con capacità e conoscenze nucleari facilmente acquisibili (ad es. mediante collaborazione con utilities esperte); inoltre, è fortemente auspicabile che il progetto coinvolga sin dall’inizio aziende energivore – come ad esempio già accaduto in Finlandia – interessate a compartecipare all’investimento e a firmare contratti di acquisto di energia elettrica prodotta con gli SMR, a prezzi prevedibili e concordati e con contratti di medio-lungo termine, distribuendo così il rischio dell’investimento e in pratica azzerando il rischio di mercato; ancor meglio se la scelta tecnologica SMR consente la produzione di calore oltre all’elettricità, quindi una configurazione cogenerativa, ad esempio per l’offerta di servizi di teleriscaldamento o la co-produzione di idrogeno, acqua desalata e biocombustibili, in modo tale da aumentare la profittabilità dell’iniziativa.
Auto-finanziare il progetto grazie alla modularità: un’opportunità da non trascurare
Infine, sarebbe da sfruttare meglio l’opportunità di auto-finanziamento offerta dal concetto di modularità, in termini di costruzione e messa in esercizio di un modulo SMR prima o durante la costruzione del successivo, in modo che il flusso di cassa proveniente dalla vendita di elettricità e calore dell’unità precedente contribuisca al finanziamento di quella successiva; questa caratteristica non sembra essere stata adeguatamente considerata nel progetto CFPP, se è vero che il primo modulo sarebbe entrato in funzione nel 2029 e i rimanenti cinque nel 2030.
Circa, poi, la quotazione in borsa della start-up prima di aver assicurato i fondi per la prima realizzazione, sebbene comprensibile dal punto di vista della maggior capacità di raccogliere finanziamenti, appare rischiosa per gli inevitabili contraccolpi generati da eventi e problemi importanti sul percorso, come effettivamente accaduto.
Una lezione da imparare, certo. Un segnale negativo che conferma le difficoltà strutturali del nucleare occidentale nell’uscire dall’era glaciale degli ultimi trent’anni, nei quali un intero settore industriale è rimasto a secco di nuove costruzioni, mentre dall’altra parte del globo (Russia, Cina, India, Corea del Sud) si costruivano uno o due reattori all’anno in media, mantenendo ben allenate ed efficienti le industrie nucleari nazionali. E infatti russi e cinesi già vantano il funzionamento dei loro primi SMR, mentre ne costruiscono di nuovi.
Un segnale negativo non deve compromettere le prospettive del settore, ma occorre dimostrare capacità di mantenere le promesse, sui costi così come sui tempi
Altri progetti in occidente sembrano avviarsi su percorsi diversi da quello intrapreso da NuScale:
- BWRX-300 di General Electric costruirà il suo FOAK da 300 MWe in Canada, supportato da un raggruppamento di grandi utilities esperte e con il coinvolgimento dell’intera supply chain canadese;
- EdF costruirà in Francia il suo primo SMR da 170 MWe, Nuward, ma in centrali da 2 moduli e sta spingendo perché questo diventi un progetto condiviso a livello EU, coinvolgendo da subito le autorità di sicurezza di diversi paesi europei e pensando allo sviluppo di una supply chain continentale.
Progetti appartenenti a due aziende con un importante pedigree nucleare, ma per i quali non ci sono sconti: occorre dimostrare capacità di mantenere le promesse, sui costi così come sui tempi.
Start-up è bello, ma nel nucleare è più impegnativo che in altri settori. È indispensabile trovare un punto di incontro tra la freschezza, l’agilità, la visione e la capacità di attrazione dei venture capitalist delle “giovani” start-up, e l’esperienza e la solidità delle “storiche” grandi aziende nucleari. Un rapporto di collaborazione che farebbe bene a entrambi.
Marco Ricotti è professore ordinario di impianti nucleari al Politecnico di Milano
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Foto: Unsplash
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