27 Dicembre 2023

La storia si ripropone ma non si ripete: differenze tra le crisi del 1973 e 2023

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Il deflagrare di un nuovo conflitto in Israele il giorno dello Yom Kippur sembra aver riportato il mondo a cinquant’anni fa. Eppure, sotto il profilo energetico, la situazione dell’Occidente oggi è molto diversa da quella di allora e per certi versi migliore. Nell’editoriale del nuovo trimestrale ENERGIA, Alberto Clò sottolinea le differenze tra la crisi del 1973 e del 2023

“Ogni conflitto che abbia come epicentro il Medioriente ha implicazioni geopolitiche che si estendono oltre i suoi confini e impatta sui mercati energetici, come apprendemmo nell’ottobre 1973 (3)”.

Proporre un quadro delle principali questioni che interessano i mercati energetici anche se non paiono direttamente connesse alla conflitto israelo-palestinese – come si ripropone di fare l’ultimo numero del trimestrale ENERGIA con riferimento ai mercati del petrolio, del gas ed elettrici – non può prescindere da una riflessione su questo nuovo tragico scontro.

Nell’editoriale, il direttore Alberto Clò riprende e approfondisce la riflessione proposta a caldo l’indomani della strage perpetuata dai miliziani di Hamas e la successiva risposta di Tel Aviv, concentrandosi sulle differenze del contesto energetico in cui avvenne la crisi del 1973 e quello del 2023 e sottolineando una importante similitudine: il mondo “dipende ancora moltissimo dal petrolio e dal gas e, quindi, dalle tensioni che attraversano ciclicamente il Medio Oriente”.

Le differenze: peso specifico del petrolio mediorientale, compattezza del fronte arabo, impatto economico

“La situazione d’oggi è molto diversa da quella di allora e per certi versi migliore. La domanda di petrolio è all’incirca doppia (100 vs 60 mil.bbl/g) mentre il peso relativo dei paesi OPEC si è notevolmente ridotto, dal 53% al 36% della produzione globale. Il petrolio contribuisce oggi per un terzo dei consumi totali di energia contro la metà di allora. Gli Stati Uniti, dall’esserne il maggior importatore (per soddisfare un terzo dei suoi consumi), ne sono divenuti il maggior produttore”.

“Un’altra fondamentale differenza è che alla compattezza di allora dei paesi arabi, che portò come detto all’embargo petrolifero, si contrappongono oggi forti divisioni al loro interno (…). Diversamente da allora, i maggiori paesi del Golfo sono inoltre strettamente integrati nell’economia globale e pur con diversi gradi con gli Stati occidentali”.

“La crisi del 1973 determinò la fine della crescita economica senza precedenti di cui l’Europa e l’Occidente avevano goduto dalla fine degli anni Quaranta con la prima recessione economica acuita dalla Seconda Crisi Petrolifera del 1979-1980 (rivoluzione iraniana) che spinse i prezzi a punte di 40 doll./bbl, venti volte quelli di partenza e pari a circa 270 dollari attuali”.

Una sequenza di dinamiche inedite e fuori controllo la cui necessità di comprensione e divulgazione spinse l’allora Presidente dell’ACI, Filippo Carpi de Resmini, di proporre a Romano Prodi ed Alberto Clô la creazione della rivista ENERGIA.

“Un’esperienza traumatica per l’intero Occidente, che fece comprendere come l’energia fosse una questione politica prima ancora che economica. Essersene dimenticati, affidandosi alle virtù del mercato, è stato pagato a caro prezzo con la guerra ucraina e il ricatto del gas all’Europa da parte della Russia (11)”.

Guarda “La crisi energetica del ’73” raccontata da Alberto Clò nella puntata di Ossi di Seppia

Non tutte le differenze tra la crisi del 1973 e del 2023 sono tuttavia favorevoli all’Occidente. “Se, come detto, rispetto al 1973 la situazione dell’Occidente è diversa e migliore, non mancano tuttavia elementi di preoccupazione. A essere messa peggio è l’Europa, sempre più dipendente dagli approvvigionamenti esteri di petrolio e gas, appena scalfiti dal ricorso a fonti rinnovabili, e ben poco consapevole del fatto che nel petrolio si è formato un impressionante blocco politico che si estende dalla Russia all’Asia al Medio Oriente senza prestare la dovuta attenzione, come evidenziato da Romano Prodi (19), agli squilibri geopolitici e geoeconomici che ne potrebbero conseguire”.

“Se la situazione complessiva dell’Occidente è relativamente migliore di quella degli anni Settanta, i suoi margini di manovra e di flessibilità si sono peraltro di molto ridotti per più ragioni: l’impossibilità di un ulteriore ricorso al nucleare, se non in tempi molto lunghi; i vincoli all’uso del carbone per ragioni di natura ambientale (…); i vincoli all’uso del gas naturale per la necessità di escludere quello russo e la scarsa capacità produttiva disponibile sul mercato internazionale, se non in prospettiva per il GNL in un mercato connotato da elementi di rischiosità geopolitica (21)”.

Una grande e non trascurabile similitudine

“L’evolvere del conflitto non consente, come detto, anche in ragione della sua imprevedibile durata, d’aver conto di come ne saranno condizionati i mercati dell’energia. Una lezione comunque dovremmo trarre dalla tragedia che si sta consumando. Che il mondo avanzato (e non) dipende ancora moltissimo dal petrolio e dal gas e, quindi, dalle tensioni che attraversano ciclicamente il Medio Oriente.

Sostenere (…) che non si debba più investire nella loro intera filiera per l’«inevitabile» crollo della domanda, è, alla luce della nuova guerra in Medio Oriente, estremamente pericoloso. Se quelle previsioni non dovessero infatti avverarsi (…) e dovesse proseguire la scarsa disponibilità delle compagnie petrolifere occidentali a riprendere gli investimenti upstream – ridottisi nel caso del gas del 58% tra 2014 e 2020 – per soddisfare una domanda che i più prevedono ancora in crescita (33), il mondo intero, e l’Europa in particolare, si ritroverebbe in una situazione di grave scarsità di offerta”.

“Al contrario una sottostima della rapidità e intensità della transizione inonderebbe il mercato di barili facendone crollare i prezzi, anche se temporaneamente. Assisteremmo così ad ulteriori disinvestimenti, cali della produzione e nuovi rialzi e volatilità dei prezzi, fino al ripetersi del ciclo”.

«Il rischio e la grande sfida negli anni a venire –argomenta Sofia Guidi Di Sante di Rystad Energy nel suo articolo sullo stesso numero di ENERGIA – sarà proprio quello di trovare un nuovo equilibrio di mercato, in cui l’industria upstream sappia rispondere alle esigenze di una domanda in contrazione, mantenendo una certa stabilità dei prezzi per evitare nuovi cicli “boom-bust” che, la storia ci ha insegnato, e recentemente ricordato, non farebbero che mettere alla prova il sistema economico nella sua interezza».

Se questa dinamica venisse sottovalutata, conclude Alberto Clò nel suo editoriale, “il mondo tornerebbe a dipendere sempre più dalla produzione dei paesi mediorientali, sia per il petrolio che per il gas, e dalle decisioni di investimento delle loro National Oil Companies. Un ritorno amaro e pericoloso alle situazioni del 1973, con la storia che anche qui torna indietro”.


Il post presenta l’editoriale di ENERGIA 4.23 dal titolo La storia si ripropone ma non si ripete (pp. 8-12)

Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it

Foto: Unsplash

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