Seppur congelati, i contratti a lungo termine che legano imprese europee e Gazprom sono ancora legalmente validi. Sono almeno 116,4 i miliardi di metri cubi annui contrattualizzati. Un difficile rebus da risolvere per un’Unione che ha già assunto l’impegno di disfarsi del gas russo entro il 2027.
I paesi dell’Unione Europea hanno ridotto fortemente gli acquisti di gas dalla Russia, ricorrendo ad altri paesi fornitori e riducendo sensibilmente i consumi. Non può dirsi tuttavia che del gas russo potremo facilmente farne a meno al di là dell’esito e della lunghezza del conflitto in corso. Vediamone la ragione.
Nei 2023 gli acquisti europei di gas dalla Russia via pipe dovrebbero ammontare a 25 miliardi metri cubi (mld. mc) contro i 62 del 2022 e i circa 200 degli anni pre-Covid, 2018-2019 (OIES, Quarterly Gas Review, ottobre 2023) in parte compensati da maggiori importazioni di GNL.
Europa, dal gas russo al GNL
Ne è derivata una maggior diversificazione degli approvvigionamenti, prima concentrati per il 40% dalla Russia, quel che comporta una loro maggior sicurezza, a fronte però di una minor flessibilità sistemica, utile a fronteggiare non escludibili shock d’offerta (si pensi alla crisi mediorientale) proprio per il venir meno delle importazioni da Mosca.
I costi del gas, a prescindere dagli effetti rovinosi delle minori forniture imposte da Gazprom, sono aumentati per la straordinaria crescita dei più onerosi flussi di GNL, specie dagli Stati Uniti, che sono divenuti primo esportatore superando Qatar e Australia con volumi destinati per i due terzi al mercato europeo. La quota di GNL sulla domanda europea è aumentata dal 12% dello scorso decennio al 50% nel 2023 (IEF, Fragile Equilibrium, LNG Trade Dinamycs and Market Risks, novembre 2023).
3 criticità del GNL
Se è indubbio che il mercato del GNL garantisce una molto maggior flessibilità rispetto a quello via gasdotto, esso manifesta nondimeno ragioni di rischiosità per più ragioni:
primo, per la possibilità che vengano meno volumi su cui si faceva affidamento, se non inclusi in contratti a lungo termine, per la concorrenza di altri paesi, derivandone una maggior sensibilità dei prezzi spot a tale concorrenza. Di fronte, ad esempio, alla disponibilità dei paesi asiatici a pagare maggiori prezzi dei paesi europei non vi è infatti problema a dirottare le metaniere verso i loro porti;
secondo, per l’elevata concentrazione sia degli esportatori (tre paesi – Qatar, Australia, Stati Uniti – controllano il 65% delle esportazioni) che degli importatori (50% Giappone, Cina, Corea) così che la decisione di ciascun paese ha ripercussioni sull’interezza del mercato internazionale, con scarsa possibilità di contrastarla;
terzo, per il prevalere della geopolitica come driver degli scambi commerciali e degli investimenti e conseguente maggior volatilità dei prezzi del GNL a fronte di ogni tensione, come emerso dopo lo scoppio della guerra israeliana con un balzo dei prezzi sino al 50% del tutto disancorato dai fondamentali di mercato.
Ancora legalmente validi, seppur congelati, i contratti a lungo termine che legano imprese europee e Gazprom
Tornando ai rapporti con la Russia se è pur vero che allo stato attuale la dipendenza dell’Europa dalle sue forniture è fortemente diminuita, restano nondimeno legalmente validi i contratti a lungo termine sottoscritti in passato tra imprese europee e Gazprom, ed ora congelati.
Ne consegue, che i flussi di gas dalla Russia potrebbero, dovrebbero, in futuro riprendere per gli obblighi assunti dalle parti: rendere disponibile le quantità concordate da parte dei russi, ritirarle o pagarle da parte dei buyers europei (per approfondire i rimanda all’articolo di Fabio Polettini Clausola «Take or Pay»: note giuridiche pubblicato su ENERGIA 3.22).
Una situazione che verrebbe a confliggere con le politiche dell’Unione assunte a seguito dell’invasione dell’Ucraina e, specificatamente, con l’impegno di liberarsi totalmente entro il 2027 delle importazioni energetiche dalla Russia indicato nel REPoweEU.
Secondo Cedigaz, le quantità di gas via gasdotto incluse in contratti a lungo termine ancora in vigore tra paesi europei e Gazprom (o sue sussidiarie) ammontano a 116,4 miliardi di metri cubi annui: oltre quattro volte gli acquisti attuali.
Alcune imprese europee (tra cui la francese Engie e l’italiana Eni) hanno avviato procedure di arbitrato contro Gazprom per i danni subiti dall’interruzione delle sue forniture. La complessità di queste procedure e i loro lunghi tempi aggiungono ulteriori elementi di incertezza in uno scenario energetico europeo dove le politiche climatiche dovrebbero ridurre lo spazio per i consumi di gas mentre i nuovi contratti sottoscritti con altri fornitori e il potenziamento delle infrastrutture (specie rigassificatori) ne presumono un notevole aumento (si veda il mio Le due grandi contraddizioni nel futuro del gas naturale su ENERGIA 1.23).
Da qui, un rebus anche politico estremamente complesso da risolvere per i governi, reso ancor più tale dalla scarsa attenzione che vi vanno prestando così come da parte degli uffici di Bruxelles.
Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it.
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Foto: Freepik
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