La guerra tra Israele e Hamas è divenuta ufficialmente un conflitto regionale. Lo attesta la partecipazione dell’Italia ad una Task Force internazionale guidata dagli Stati Uniti nel Mar Rosso per opporsi ai ribelli Houthi che hanno letteralmente mandato in pezzi il commercio mondiale. La missione dovrà limitare i danni, già visibili, per i mercati energetici. Più la crisi perdurerà, più profonde e durature saranno le conseguenze per l’intera Europa.
Poco più di un mese fa il gruppo armato scita degli Houthi – Ansar Allah ovvero “Sostenitori di Dio” – prendeva il controllo della nave cargo Galaxy Leader. L’incursione è stata rivendicata dall’organizzazione come un atto ostile verso Israele e la sua campagna militare a Gaza. Per il gruppo, sostenuto finanziariamente e militarmente da Iran, e appoggiato in maniera più defilata anche dal Qatar, l’evento ha segnato l’inizio di un’escalation contro petroliere, cargo e unità militari che conta decine di sortite attraverso piccoli vascelli, droni e attacchi missilistici.
Gli Houthi hanno dichiarato che proseguiranno la propria offensiva finché la campagna di Gaza non verrà interrotta. Guidati dal motto “Dio è grande; morte all’America; morte a Israele; maledizione agli ebrei; vittoria all’Islam”, gli Houthi sono infatti l’unica forza che si è ufficialmente unita alla guerra di Gaza. Un fatto che ha accresciuto enormemente la popolarità nel mondo arabo di quello che di fatto è un regime teocratico che ha attinto diversi aspetti dal modello iraniano.
In conseguenza degli assalti Houthi, le principali compagnie della logistica navale e alcuni colossi dell’energia come BP ed Equinor, hanno annunciato che interromperanno il transito delle proprie navi attraverso il Mar Rosso e l’adiacente stretto di Bab el-Mandeb. Non tutte le compagnie hanno però deciso di interrompere i transiti, come ad esempio le metaniere di QatarEnergy che ad oggi continuano a navigare indisturbate le acque in direzione del Canale di Suez.
La rotta alternativa al teatro dell’escalation che consente al bacino dell’Atlantico di comunicare con quello asiatico esige la circumnavigazione dell’intera Africa. Ciò significa tempi e costi aggiuntivi su commerci globali già sfibrati dalla riduzione dei traffici nel Canale di Panama, conflitti diffusi in molteplici continenti e supply chain frammentate dal peso della geopolitica. Oltre a questi si deve tener conto di premi assicurativi sbalorditivi per chiunque si azzardi a navigare nel Mar Rosso. Non a caso, secondo il Wall Street Journal quella degli Houthi rappresenta “la minaccia più significativa all’industria marittima degli ultimi decenni.”
Attraverso Mar Rosso e Canale di Suez passa quotidianamente circa il 10% del commercio mondiale di petrolio. Snodi che mettono in comunicazione l’intero Mediterraneo con i paesi del Golfo Persico e quelli affacciati sull’Oceano Indiano, per poi spingersi fino all’Asia orientale. La guerra dichiarata dagli Houthi ai commerci nel Mar Rosso è un attacco vitale agli interessi dell’Italia e dell’Europa. Vista la minore flessibilità e interconnessione dei bacini atlantici e asiatici, le spinte sul lato domanda dei mercati di gas e petrolio imporranno una ancor più intensa volatilità dei prezzi. Dinamiche che faranno aumentare lo spread tra gli indici europei e quelli asiatici. Infine, la riduzione dei traffici da Suez deve considerarsi altresì come un passo indietro nella strategia europea di diversificazione energetica dalla Russia.
Di fatto, agli Houthi è stato sufficiente stabilire il controllo su di un lembo di costa del Mar Rosso per filtrare tutto il traffico da e per Suez. Ciò ha accresciuto i costi per importazioni di gas e petrolio dal Medio Oriente verso l’Europa. Dotati di droni di matrice iraniana e missili a lungo raggio che possono colpire direttamente il territorio di Israele, da novembre gli attacchi Houthi si sono via via intensificati, con risultati dirompenti.
A tutto ciò, gli Stati Uniti ed alcuni alleati europei, tra cui Francia, Regno Unito, Spagna e Italia, hanno allestito celermente l’operazione Prosperity Guardian, una missione marittima che racchiude nel proprio nome l’intento strategico, ovvero la salvaguardia di una delle rotte commerciali più significative del mondo, utilizzata da oltre 20.000 vascelli l’anno.
Per il Segretario alla difesa americano Lloyd Austin questa sfida ha richiesto “un’azione collettiva”. L’intraprendenza dell’Occidente sulla questione Houthi non è però condivisa dal mondo arabo. Soltanto il Bahrein ha dato la propria disponibilità nella missione. Decisione che ha sollevato però proteste, portando all’arresto di dissidenti interni. Inoltre, con i profitti derivati dai traffici di Suez decurtati, lo stato di perenne crisi dell’economia egiziana non potrà far altro che peggiorare.
Ancor più significativo è che l’Arabia Saudita, che possiede i quattro strategici terminal petroliferi e gassiferi nel Mar Rosso, non partecipi a Prosperity Guardian. Riad potrebbe aver scelto di sostenere silenziosamente la Task Force, ma l’assenza è rivelatrice del timore che un intervento possa far riaccendere il conflitto interno allo Yemen. Una catastrofe per i piani sauditi di rilancio al 2030 fortemente voluti dal Principe Mohammad Bin Salman.
Nel contesto della Guerra Civile nello Yemen si sono infatti verificate le offensive Houthi che dal 2017 al 2021 danneggiarono ripetutamente infrastrutture petrolifere e petroliere saudite. La fragilissima tregua che ora regge nel Paese è funzionale anche al riavvicinamento diplomatico tra Riad e Teheran. Un accordo raggiunto dopo molta fatica in questo 2023, grazie anche al supporto cinese.
Infine, Prosperity Guardian consente al governo di Israele di non impegnarsi contemporaneamente su tre diversi fronti. Oltre a Gaza infatti continuano i pesanti scambi di artiglieria con Hetzbollah al confine con il Libano. Qui, IDF ha paventato la possibilità di un intervento militare diretto. Un’opzione che porterebbe l’intero Medio Oriente a un passo da una conflagrazione generalizzata e dalle conseguenze imprevedibili.
Se attaccati, gli Houthi hanno già promesso di reagire e l’Iran ha anticipato “problemi straordinari” per la Task Force occidentale. Due punti vale la pena qui sollevare. Sono stati infatti sufficienti poche decine di droni a buon mercato per imporre una ferita ad un’arteria vitale del commercio globale. Gli Houthi hanno così indicato la via per altri nemici di Israele, imponendo caparbiamente la propria agenda politica al resto del mondo.
Per interrompere questo stillicidio, la coalizione a cui l’Italia partecipa ha allestito una forza imponente. I costi di questa sono infinitamente maggiori rispetto quelli della campagna che i ribelli Houthi hanno organizzato. Una guerriglia che potrebbe bloccare per anni il Mar Rosso e Suez. In parole povere, per essere efficace Prosperity Guardian non potrà assumere il ruolo di mera forza di polizia. Dall’altra parte, un’escalation in Yemen alimentata dalle forze occidentali rischia di spegnere un focolaio per accenderne molteplici altri, assai più preoccupanti e minacciosi.
Un vuoto strategico che da Gaza si allarga oggi al Mar Rosso. Ancora una volta, l’analisi degli scenari di frammentazione globale impone la necessità di utilizzare l’essenziale lente della geopolitica dell’energia.
Francesco Sassi è dottore in geopolitica dell’energia presso l’Università di Pisa e analista dei mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche
La rubrica di Geopolitica dell’energia è realizzata con il supporto di Assofond
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Foto: Wikimedia Commons
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