La Federazione Russa consolida la propria leadership nell’industria globale del nucleare e l’Occidente rimane dipendente dai cicli produttivi di uranio controllati dal Cremlino. La Russia continua ad esportare uranio e la tecnologia per costruire reattori in tutto il mondo e, a differenza di altri, il settore non è sotto sanzioni. Nel frattempo, il Cremlino punta sempre più al nucleare come un aspetto fondamentale del proprio status di grande potenza.
La crisi energetica globale legata alla guerra in Ucraina e la necessità di far fronte alla concomitante crisi climatica hanno indotto numerosi paesi a sviluppare fonti energetiche alternative ai combustibili fossili.
Alcuni Stati hanno deciso di investire nel nucleare, considerandolo un’alternativa sicura e a basse emissioni ai combustibili fossili. Nell’UE, dove le opinioni sull’energia nucleare variano radicalmente tra gli Stati membri, gli investimenti legati al nucleare sono stati inclusi nella tassonomia dell’Unione per le attività sostenibili. Ciò significa che l’UE potrebbe fornire sostegno ai progetti nel settore nucleare attraverso il suo pacchetto di finanza sostenibile.
Una scomoda dipendenza
Anche se finora è stato risparmiato dalle sanzioni, il settore nucleare è anch’esso influenzato dalle turbolenze della geopolitica. La Russia è uno dei principali attori nel settore grazie alle sue esportazioni globali di uranio arricchito, alle capacità tecnologiche, nonché quelle atte a gestire il combustibile nucleare esaurito. Diversi paesi occidentali importano uranio arricchito dalla Russia e alcuni membri dell’UE gestiscono centrali nucleari di tecnologia sovietica/russa. Inoltre, il Kazakistan, un paese politicamente ed economicamente vicino alla Russia e alla Cina, è il più grande produttore ed esportatore di uranio al mondo e detiene il 43% della produzione globale di uranio da miniere.
Durante l’invasione russa dell’Ucraina, i prezzi dell’uranio sono aumentati notevolmente. In Occidente, questo ha suscitato preoccupazioni legate alla dipendenza dalle forniture russe e di altri Stati considerati vicini alla Russia e alla Cina. L’instabilità geopolitica altrove, in particolare il colpo di stato in Niger alla fine di luglio 2023, ha complicato ulteriormente la situazione. Il Niger fornisce circa il 25% delle importazioni di uranio dell’UE. Citando l’influenza russa sui golpisti, alcuni analisti occidentali hanno notato che fino al 60% della produzione globale di uranio potrebbe finire sotto il controllo di Mosca e di paesi con legami significativi con la Russia – Kazakistan, Uzbekistan e Niger. Inoltre, nel 2022 la World Nuclear Association ha stimato che la domanda globale di uranio crescerà del 27% entro il 2030.
La dipendenza di alcuni paesi occidentali dalle forniture di uranio arricchito e dalla tecnologia nucleare russe è stata evidenziata da recenti pubblicazioni, mentre altre hanno sottolineato come i rischi siano relativamente ridotti per motivi tecnici e di mercato. Meno frequenti sono le analisi di come, a fronte di un comparto nucleare occidentale in continua crisi da decenni, la Russia sia invece riuscita a rilanciare la propria leadership nell’industria nucleare, trasformando la compagnia statale Rosatom in un protagonista mondiale del settore.
Il modello Rosatom
Rosatom è stata fondata nel 2007 come erede dell’Agenzia federale per l’energia atomica, che a sua volta ha assorbito il vasto know-how e l’eredità materiale del settore nucleare sovietico. È strutturata come società integrata verticalmente e controlla l’intero ciclo di competenze nel settore nucleare, dall’estrazione dell’uranio alla costruzione e al funzionamento di centrali nucleari, compreso il trattamento e lo stoccaggio del combustibile esaurito. Rosatom è anche responsabile della divisione armi nucleari della Russia, della flotta rompighiaccio a propulsione nucleare e degli istituti di ricerca nucleare, oltre a garantire la sicurezza nucleare e dalle radiazioni.
Per il Cremlino il nucleare è sinonimo di status di grande potenza, in quanto è un settore ad alta tecnologia in cui la Russia è leader globale. Il Paese sta investendo nello sviluppo di nuove tecnologie di reattori, in particolare impianti sicuri che utilizzano reattori a neutroni veloci, combustibile ossido misto o MOx (una miscela di ossidi di plutonio e uranio) e il ciclo chiuso del combustibile, che consentirebbe di eliminare i rifiuti radioattivi dalla produzione di energia.
Attualmente, la Russia è l’unico fornitore economicamente sostenibile di uranio ad alto dosaggio e a basso arricchimento (HALEU), con una concentrazione del 5-20% dell’isotopo U-235, invece della concentrazione del 3-5% che alimenta l’attuale flotta di reattori ad acqua leggera. L’HALEU sarà necessario per alimentare la nuova generazione di reattori avanzati. Grazie alla sua leadership nella tecnologia collaudata, modelli di business flessibili, pacchetti finanziari attrattivi (attraverso il sostegno statale russo) e supporto diplomatico, Rosatom ha acquisito un ampio portafoglio di ordini all’estero.
Il portafoglio comprende la costruzione di reattori, la fornitura di combustibile nucleare e altri servizi e si estende in 54 paesi. I progetti attuali di Rosatom si trovano in fasi di sviluppo molto diverse: impianti in funzione; costruzione di reattori in corso (appaltata o pianificata); inviti a partenariati; protocolli d’intesa per i servizi e lo sviluppo generale dell’energia nucleare. Tra il 2009 e il 2018, l’azienda è stata responsabile della metà dei reattori in costruzione in tutto il mondo. Inoltre, attraverso la sua controllata TVEL, Rosatom detiene il 38% della capacità globale di conversione dell’uranio e il 46% della capacità di arricchimento dell’uranio.
Molti paesi occidentali e asiatici, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Giappone e Corea del Sud, hanno contratti con Rosatom per la fornitura di uranio arricchito. La capacità produttiva occidentale è invece limitata nel breve termine. Gli Stati Uniti fanno affidamento su Rosatom e sulle catene di approvvigionamento controllate dalla Russia per quasi la metà della loro fornitura di uranio; al contempo, il 40% delle importazioni di uranio arricchito dell’UE proviene dalla Russia.
Pacchetti all-inclusive e offerte speciali
La leadership della Russia nell’industria e mercato globale del combustibile nucleare è il risultato di due fattori principali. In primo luogo, gli ingegneri russi hanno sviluppato un sistema per arricchire l’uranio che consuma molta meno energia ed è quindi molto più economico rispetto al metodo utilizzato dagli ingegneri francesi e americani. In secondo luogo, nel 1993 Russia e Stati Uniti concordarono il cosiddetto programma “megatons to megawatts”, in cui l’uranio altamente arricchito delle ex testate nucleari sovietiche veniva trasformato in uranio a basso arricchimento e inviato negli Stati Uniti per uso negli impianti nucleari civili. Di conseguenza, l’industria statunitense non ha più potuto competere con le forniture russe.
La forza della strategia di Rosatom per l’export di reattori e di intere centrali nucleari risiede nella sua capacità di fornire pacchetti all-inclusive comprendenti know-how per la costruzione di impianti, formazione del personale di gestione, supporto relativo alla sicurezza, opzioni di finanziamento flessibili e gestione del combustibile nucleare esaurito. Questo rende l’offerta di Rosatom particolarmente attraente per i nuovi arrivati nel settore dell’energia nucleare civile e spiega l’incremento delle attività della compagnia russa in Africa, Medio Oriente, Asia e Sud America. Il suo modello di business le ha permesso di surclassare concorrenti occidentali come Framatome, Mitsubishi, Siemens e Westinghouse, che normalmente richiedono solide garanzie finanziarie e accordi di partnership con i clienti come parte dei loro standard aziendali. Attualmente, Rosatom ha costruito o sta costruendo reattori in Cina, India, Bangladesh, Iran, Bielorussia, Turchia e Egitto.
Le attività estere di Rosatom ricevono pieno sostegno dal governo russo, anche durante gli incontri bilaterali tra i rappresentanti del Paese partner e il presidente russo o alti membri del governo. La cooperazione sull’uso pacifico dell’energia nucleare è spesso inclusa nell’agenda dei Summit bilaterali, menzionata nei discorsi pubblici e talvolta codificata in memorandum d’intesa. Quando la cooperazione è in fase avanzata, il presidente russo o alti membri del governo partecipano a cerimonie ufficiali con le loro controparti straniere e celebrano i momenti chiave della realizzazione di nuovi progetti.
Rosatom fa offerte speciali a partner strategici, come nel caso della centrale nucleare di Akkuyu in Turchia. Questo è il primo impianto in cui la compagnia russa ha offerto un modello Build-Own-Operate, in base al quale mantiene una quota di maggioranza nella proprietà e riceve un prezzo garantito sulla vendita di energia elettrica, ma si assume tutti i rischi finanziari, di costruzione e operativi. È tuttavia discutibile se questo modello possa essere facilmente replicato. Mentre gli esperti russi hanno evidenziato i costi elevati per il costruttore (almeno 22 miliardi di dollari), alcuni analisti occidentali temono le conseguenze geopolitiche dell’impianto, che ha de facto uno status extraterritoriale. Cionostante, il progetto va avanti. Recentemente, si è tenuta inaugurazione del primo dei quattro reattori previsti (i quali dovrebbero fornire il 10% del fabbisogno di elettricità della Turchia), e ciò sta contribuendo a cementare una partnership strategica tra Ankara e Mosca.
Combustile: la ricerca di un’alternativa statunitense ed europea
Nell’UE sono attualmente operativi 18 reattori ad acqua leggera VVER di tecnologia russa/sovietica (in Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria e Finlandia); in Ucraina ce ne sono altri 15 (6 dei quali si trovano a Zaporižžja e sono attualmente sotto il controllo russo). Prima dell’invasione russa dell’Ucraina, a Rosatom erano stati appaltati progetti per la costruzione di nuovi reattori in Finlandia, Ungheria e Slovacchia. Finlandia e Slovacchia hanno poi annullato i contratti con Rosatom, mentre l’Ungheria procede con i suoi piani. Budapest ha ricevuto dalla Russia un prestito di 10 miliardi di dollari per la costruzione di due nuovi reattori presso la centrale nucleare di Paks.
Rosatom fornisce combustibile nucleare ai reattori di produzione sovietica e russa nella UE. Questi impianti devono essere riforniti di combustibile in media ogni due anni. Sebbene finora i reattori abbiano funzionato solo con combustibile prodotto dalla Russia, la compagnia statunitense Westinghouse ha sviluppato un’alternativa al combustibile di Rosatom e l’Ucraina ha recentemente usato le sue forniture in alcune centrali nucleari.
Se prodotto in quantità sufficienti e con tempistiche adeguate, il combustibile di Westinghouse limiterebbe la vulnerabilità delle centrali nucleari europee a potenziali interruzioni nella fornitura di carburante russo. Queste forniture sono comunque continuate nonostante il conflitto in corso. Nel gennaio 2023, l’UE ha iniziato a cofinanziare il “Programma accelerato per l’implementazione della fornitura sicura di combustibile VVER” (APIS), che dovrebbe sviluppare combustibile nucleare interamente prodotto in Europa per i reattori VVER.
La dipendenza attuale dall’industria nucleare russa e quella stimata per il futuro varia sostanzialmente negli Stati partner di Rosatom. Le stime della fornitura nazionale di energia elettrica proveniente dai reattori di Rosatom operativi o pianificati entro il 2040 mostrano che la dipendenza sarà elevata in Armenia (100%), Ungheria (42%), Bulgaria (37%), Bielorussia (34%) e Uzbekistan (20%) e superiore al 10% anche in Bangladesh. La dipendenza dai reattori russi è particolarmente significativa nei paesi che basano le politiche di decarbonizzazione principalmente sull’energia nucleare (ad esempio Ungheria e Slovacchia) e dove il sistema energetico è inflessibile ed eccessivamente dipendente da un’unica grande centrale nucleare. Al contrario, la dipendenza da Rosatom appare marginale in Cina e India, che hanno già industrie nucleari nazionali e prevedono di ricevere solo una piccola quota della loro elettricità dai reattori costruiti dalla compagnia russa.
Un potente strumento della diplomazia energetica russa
Le attività globali di Rosatom continuano e, con tutta probabilità, continueranno nonostante la guerra in Ucraina. La maggior parte dei suoi nuovi progetti sono in paesi non occidentali e nel Sud del mondo. Eventuali sanzioni secondarie occidentali potrebbero avere qualche effetto, ma finora Stati Uniti e alleati non hanno imposto sanzioni nemmeno sulle attività di Rosatom in Occidente. Le ragioni principali sono l’assenza di alternative commerciali e il rischio che nessun altro fornitore sia in grado di gestire impianti con tecnologia russa. Se i servizi di Rosatom venissero interrotti, tali strutture potrebbero diventare stranded assets e causare perdite di milioni di euro, oltre alla cessazione della fornitura di energia elettrica, che sarebbe significativa in diversi paesi dell’Europa orientale e post-sovietici.
Nel complesso, il settore nucleare della Russia è diventato un aspetto importante del suo status di grande potenza, consentendo a Mosca di fare offerte uniche a clienti di tutto il mondo nel campo strategico della generazione di energia a basse emissioni di carbonio. Finché la domanda di energia aumenterà al di fuori dell’Occidente e l’energia nucleare sarà vista come una parte importante del futuro mix energetico, Rosatom rimarrà un attore di primo piano e un potente strumento della diplomazia energetica russa.
Marco Siddi è ricercatore Montalcini presso l’Università degli Studi di Cagliari, ricercatore senior presso il Finnish Institute of International Affairs (FIIA) e docente all’Università di Helsinki e Università di Tampere.
La rubrica di Geopolitica dell’energia è realizzata con il supporto di Assofond
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Foto: United Nations
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