Il 6 dicembre si riunirà per la prima volta il Tavolo Sviluppo Automotive istituito dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) d’intesa con Stellantis. L’obiettivo è favorire la rincorsa di Stellantis e dell’Italia nel settore dell’auto elettrica. 2 le condizioni poste dal Gruppo automobilistico.
Il 6 dicembre, al Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) si riunirà per la prima volta il Tavolo Sviluppo Automotive, istituito d’intesa con Stellantis, con l’obiettivo di “aumentare i livelli produttivi negli stabilimenti italiani, consolidare i centri di ingegneria e ricerca, investire su modelli innovativi, riqualificare le competenze dei lavoratori e sostenere la riconversione della componentistica”.
Da parte del ministro Urso è la realistica presa d’atto che, per rendere di nuovo competitiva la produzione annua d’auto in Italia, innalzandola alla soglia minima di un milione di veicoli, vanno condivise le strategie industriali di Stellantis, visto che la fusione, formalmente alla pari, tra FCA e la francese PSA si è di fatto tradotta nell’incorporazione della prima nella seconda (per approfondire si veda GB ZorzoliPer una riconversione eterodiretta dell’industria automotive pubblicato su ENERGIA 2.22).
Nell’accordo tra i due gruppi venne infatti stabilito che nel CdA di Stellantis al numero uguale di consiglieri nominati dalle due parti si aggiungesse quello dell’amministratore delegato, designato dai francesi, che in sol colpo ottennero la maggioranza nel CdA e ampi poteri nella gestione del nuovo gruppo automobilistico.
Dalla FIAT a Stellantis: cronaca del ritardo italiano nell’auto elettrica
Peraltro, si trattò di una conclusione inevitabile, dopo che negli anni ‘90, sotto la guida di Romiti, in Fiat venne data priorità alle operazioni finanziarie a scapito degli investimenti produttivi; scelta contrastata da Vittorio Ghidella, allora responsabile del settore auto, provocandone il licenziamento.
La “diversificazione” della Fiat continuò imperterrita, anche con lo spericolato ingresso nell’azionariato della moribonda Montedison, finché nei primi anni 2000 arrivò la resa dei conti, con il classico intervento delle banche a evitarne il fallimento e il successivo risanamento, affidato a Marchionne, che genialmente lo realizzò con la fusione di due aziende in crisi – Fiat e Chrysler- in FCA.
Grazie alla presenza sui mercati americano ed europeo e al successo commerciale delle jeep, FCA poteva interessare qualche importante casa automobilistica; unico sbocco possibile, visto che la destinazione prioritaria delle risorse finanziarie al risanamento aveva impedito di dedicarne il volume richiesto per l’adeguamento tecnologico all’evoluzione dei mercati (per una più approfondita ricostruzione si veda Dalla FIAT a Stellantis: cronaca del ritardo italiano nell’auto elettrica).
Le 2 condizioni di Stellantis
Stellantis ha però accompagnato la notizia del varo del Tavolo Sviluppo Automotive con una dichiarazione all’Ansa, in cui, oltre a un’accettabile formulazione della normativa Euro 7, poneva due condizioni alla concreta attuazione degli obiettivi assegnati al Tavolo:
- efficaci incentivi ai veicoli elettrici e un’adeguata rete di ricarica;
- un livello del costo dell’energia che garantisse la competitività industriale di Stellantis e dei fornitori italiani.
Se le due condizioni saranno soddisfatte, le trasformazioni tecnologiche e manageriali previste per le fabbriche italiane di Stellantis avranno un forte impatto sull’indotto auto del nostro Paese. Si dovrà riconvertire gran parte della produzione nel settore della componentistica, oggi formato per circa il 60% da aziende piccole (10-49 persone) e addirittura micro (< 10 persone), e dove i modelli di governance sono per il 48% di tipo familiare. Un’analoga riconversione sarà richiesta per molti dei 275.000 lavoratori.
Insieme al MIMIT e a Stellantis, alle altre aziende, alle Regioni che ospitano attività nell’automotive, ai sindacati e all’Anfia, tutti chiamati a partecipare al Tavolo Sviluppo Automotive, spetterà il compito complesso e delicato di accompagnare la trasformazione produttiva, manageriale, professionale dell’indotto, individuando tempestivamente le misure realisticamente fattibili per la sua implementazione , con l’obiettivo di minimizzare le perdite di attività produttive e di posti di lavoro.
Portare a buon fine una mission di questa portata richiederà un largo consenso sia dei soggetti attivi nell’automotive, sia del mondo politico ed economico.
Non rappresenta quindi un buon auspicio quanto affermato dal ministro dei Trasporti Salvini il 22 novembre nel suo intervento al forum di Conftrasporto. “Il futuro della mobilità sulle strade solo elettrico è una follia, è una sciocchezza ambientale, economica e sociale”, poiché servono tutti i sistemi, Gpl, idrogeno, biocarburanti, e non si può fare finta che nei prossimi anni si possa fare tranquillamente a meno del gas piuttosto che del gasolio.
Come tutte le formule semplici in risposta a problemi complessi, purtroppo la parte virgolettata sarà quella con la massima circolazione sui social media, trovando facile ascolto da parte di chi, in primis imprenditori e lavoratori dell’automotive, deve confrontarsi con un per ora incerto futuro del settore.
GB Zorzoli è membro del Comitato Scientifico di ENERGIA
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