3 Gennaio 2024

Cina e terre rare: l’Occidente enfatizza i timori geopolitici per nascondere quelli per la domanda

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I timori geopolitici dell’Occidente per le restrizioni della Cina all’esportazione di alcune tecnologie delle terre rare nascondono in realtà quelli sul rallentamento del mercato dei veicoli elettrici e, più in generale, della domanda di magneti permanenti che potrebbero comportare un calo dei prezzi rendendo economicamente insostenibile il divario tra l’offerta cinese e l’ipotetico prezzo “premium” necessario alla supply chain occidentale.

Le restrizioni della Cina all’esportazione di alcune tecnologie delle terre rare ha suscitato una nuova ondata di speculazioni geopolitiche circa la dipendenza da Pechino della catena di approvvigionamento globale dei magneti permanenti.

A destare perplessità è l’attenzione mediatica riservata alla notizia considerando che si tratta di un’iniziativa annunciata oltre un anno fa, il 30 dicembre 2022, quando il Ministero del Commercio cinese (MOFCOM) aveva pubblicato una bozza del “Catalogo delle tecnologie cinesi vietate e soggette a restrizioni all’esportazione” dove venivano anticipate le modiche al Catalogo.

Il 21 dicembre il MOFCOM ha semplicemente comunicato l’avvenuto aggiornamento del catalogo con i provvedimenti annunciati: il divieto all’esportazione di tecnologie utilizzate per estrarre e separare le terre rare e per produrre metalli delle terre rare.

La sensazione è che il mercato abbia bisogno di sovrainterpretare la situazione per fini che poco o nulla hanno a che fare con i potenziali rischi di restrizioni alle esportazioni di magneti permanenti da parte del Dragone cinese, assimilandoli al caso del gallio, del germanio e della grafite.

I magneti permanenti al neodimio-ferro-boro (NdFeB) sono un prodotto industriale su cui la Cina non ha fatto nulla per interrompere le catene di approvvigionamento globali a differenza di materie prime, come gallio e germanio, che invece servono all’industria occidentale per sviluppare le proprie tecnologie. Semplicemente il Regno di Mezzo tutela la sua catena industriale e protegge le proprie tecnologie dopo decenni di investimenti e di enormi costi ambientali per ottenere il primato nell’industria delle terre rare.

Cina e terre rare

Cui prodest?

Piuttosto chiediamoci se realmente Pechino vuole danneggiare le sue esportazioni alienandosi i mercati occidentali, e compromettere la sua leadership di mercato, spingendo l’Occidente a costruire una catena di approvvigionamento di terre rare al di fuori della Cina. O se invece non ci sia la necessità di esacerbare le rivalità geopolitiche per far salire le quotazioni delle compagnie minerarie che detengono nel loro portafoglio progetti nel settore delle terre rare e consentire, agli attori della filiera, di trarre vantaggio dai piani dei paesi del gruppo dei G7, come l’Inflation Reduction Act statunitense, che tendono ad incentivare le forniture di metalli critici a livello nazionale o da “nazioni amiche”.

Le aziende occidentali che dovrebbero “spezzare la morsa” del Dragone sui magneti permanenti ritengono che i costi aggiuntivi di una catena di approvvigionamento “sostenibile” saranno assorbiti dalla nuova legislazione ESG e dagli incentivi fiscali come quelli previsti dall’IRA statunitense. Il costo superiore del prodotto, realizzato da una supply chain occidentale, viene giustificato per disporre di catene di approvvigionamento affidabili ancorché geograficamente frammentate, oltre naturalmente, a metriche di sostenibilità che dovrebbero essere superiori a quelle cinesi.

Il fatto che prezzi delle terre rare siano rimasti invariati induce, tuttavia, a ritenere che si sia trattato di una tempesta in un bicchier d’acqua e che,più realisticamente, andrebbero analizzatigli esiti degli improbabili obiettivi politici in Occidente, su cui la Cina ha basato la costruzione della sua capacità produttiva, che al momento si stanno sgonfiando: perché la domanda prevista non si sta materializzando, anzi.

Oggi solo in Cina la domanda di magneti permanenti è in crescita, trainata dal settore delle auto elettriche e da quello dell’energia eolica: i due driver della domanda dei magneti permanenti. Per quanto, anche nel settore della mobilità elettrica cinese, lo squilibrio tra capacità produttiva e volume delle vendite stia diventando sempre più evidente con un tasso di utilizzo della capacità del 59%.

Magneti permanenti, la crisi della domanda di auto elettrica in Germania

In Europa la curva delle esportazioni cinesi di magneti permanenti nel 2023 resterà piatta con una crescita, il 4%, quasi inesistente se rapportata ai due anni precedenti: +35% nel 2021 e +23% nel 2022. Le importazioni europee dipendono per oltre il 40% dalla Germania dove gli obbiettivi dell’attuale coalizione di governo, costituita da socialdemocratici, verdi e liberali, sembrano scollegati dalla realtà. Ipotizzare 15 milioni di EVs sulle strade tedesche entro il 2030 significa che ogni anno oltre il 60% delle nuove immatricolazioni dovrebbe essere una BEV: numericamente circa 1,8 milioni all’anno.

Ma secondo i dati della Kraftfahrt-Bundesamt. l’Autorità federale dei trasporti, i nuovi veicoli elettrici immatricolati in Germania tra gennaio e novembre 2023 sono circa 470.000 e, rispetto al 2022, la crescita delle immatricolazioni di veicoli elettrici in Germania sarà pari a zero. Pare quindi ragionevole presumere che se in Germania, nel 2030, ci fossero 7,5 milioni di veicoli elettrici sarebbe un risultato da considerarsi eccezionale: attualmente sembra più realistico ipotizzarne 5 milioni cioè un terzo delle previsioni.

Ed è proprio l’industria automobilistica tedesca ad adeguare i propri obbiettivi vista la domanda ampiamente inferiore alle previsioni. Secondo Audi la domanda di modelli elettrici non si è rivelata in linea con le proiezioni anzi, il mercato delle auto elettriche si sta generalmente indebolendo e l’Azienda si è vista costretta a licenziare tutti i lavoratori a termine. La stessa sorte di centinaia di dipendenti Porsche con contratti a tempo determinato che termineranno il loro rapporto di lavoro nei prossimi mesi.

Non sfugge alla crisi nemmeno il principale produttore di batterie globale CATL, che nel parco industriale di Erfurter Kreuz deve ridurre le sue attività produttive e mandare i dipendenti in congedo forzato.

A complicare ulteriormente la situazione si è aggiunta la brusca interruzione degli incentivi governativi giustificata, nei circoli ministeriali, dalla limitatezza dei fondi nel bilancio.

e quella dell’eolico

La medesima situazione si ritrova in Europa anche nell’altro driver della domanda di magneti permanenti: il settore eolico che sta attraversando un momento difficile, in particolare in Germania, che oltre ad essere il più grande mercato dell’UE per le turbine eoliche era anche quello con le previsioni di crescita più elevate.

Più in generale le quotazioni delle società del settore delle energie rinnovabili si riflettono nell’indice S&P Global Clean Energy, che monitora l’andamento del settore, sceso di oltre il 30% negli ultimi 12 mesi, mentre i mercati azionari mondiali sono aumentati dell’11%.

Il settore cinese delle terre rare è da anni in una situazione di grave eccesso di offerta per soddisfare la crescente domanda del mercato dei magneti permanenti. Tra il 2018 ed il 2022 a fronte di un tasso di crescita annuale composto (CAGR) della domanda inferiore al 7% l’offerta è cresciuta di circa il 17% a causa di quello che viene definito “basket problem”.

Si consideri che il neodimio, che costituisce circa il 75% delle terre rare contenute in un magnete ad alte prestazioni, in un deposito di terre rare è presente in una percentuale mediamente del 18-20% costringendo le compagnie minerarie ad un eccesso di offerta per molti degli altri elementi delle terre rare.

Il rallentamento del mercato interno dei veicoli elettrici e, più in generale, un calo della domanda per la situazione economica interna della Cina coniugata allo stallo del mercato europeo potrebbe comportare significative criticità in termini di prezzi di mercato delle terre rare nel 2024 e rendere economicamente insostenibile il divario tra l’offerta cinese e l’ipotetico prezzo “premium” necessario alla supply chain occidentale.


Giovanni Brussato è ingegnere minerario


Foto: Unsplash


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