In che modo un‘ulteriore frammentazione dei mercati delle materie prime critiche influenzerebbe la transizione energetica? Una simulazione stima un ulteriore aumento medio dei prezzi del 300% per alcune materie, minori investimenti in pannelli solari e turbine eoliche, un minor numero di veicoli elettrici. Uno scivolamento verso blocchi commerciali contrapposti potrebbe ritardare sostanzialmente la transizione energetica.
La globalizzazione non sta vivendo un periodo felice. I problemi sono emersi chiaramente con le interruzioni nelle catene del valore durante la pandemia del 2020, ma i guai erano profondi già prima. Se si stia verificando un vero e proprio ritorno ai blocchi – come sembrerebbe da fenomeni come l’allargamento della NATO, dall’ancora solida coesione del gruppo OPEC+ o dalla nascita dei BRICS+ – è ancora oggetto di dibattito.
“Se i paesi si ritirano all’interno di blocchi energetici strategici” scrivono Bordoff e O’Sullivan, “la tendenza pluridecennale verso una maggior interconnessione energetica rischia di avviare un’epoca di frammentazione energetica”. Peggio del ritorno ai blocchi sarebbe una deglobalizzazione disordinata, scrive Giampiero Massolo, “in cui la dispersione tenderà a prevalere sulle logiche di blocco, con le conseguenti difficoltà che ciò potrà comportare in termini di governance globale”.
Protezionismo, friend-shoring, uso politico delle materie prime
Tra queste il commercio, necessario abilitatore della rivoluzione dei sistemi energetici verso nuove tecnologie. Tre tendenze in atto: quella protezionistica, con politiche come l’IRA statunitense o il Green Deal Industriale Plan dell’Unione Europea; la crescente attenzione al “friend-shoring”, e quindi alle logiche di blocco; le restrizioni commerciali nei mercati delle materie prime, raddoppiate dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Preoccupa, in particolare, l’uso politico delle materie prime da parte della Cina (si veda gallio, germanio e grafite), ma anche il crescente nazionalismo delle risorse da parte di altri paesi produttori .
Soddisfare la crescita della domanda globale di materie prime critiche sarà una sfida epocale. Ancora maggiore se complicata dall’uso politico delle forniture. Una corsa tra potenze per assicurarsi i minerali strategici potrebbe aumentare la pressione sui prezzi e aumentare i costi della transizione climatica. Uno scivolamento verso blocchi commerciali contrapposti potrebbe ritardare sostanzialmente la transizione energetica.
L’Agenzia internazionale per l’energia prevede che la domanda di rame dovrà crescere di un fattore pari a 1,5, quella di nichel e cobalto raddoppiare e quella di litio aumentare di sei volte entro il 2030 (Fig. 1). Una dinamica che farà salire i prezzi e rendendo le materie prime importanti quanto il petrolio nei prossimi due decenni.
L’estrema vulnerabilità dei minerali critici alle interruzioni: alta concentrazione della produzione, bassa elasticità della domanda e dell’offerta
I minerali critici sono estremamente vulnerabili in caso di interruzioni degli scambi perché la loro produzione globale è altamente concentrata. Due terzi del cobalto mondiale vengono estratti nella sola Repubblica Democratica del Congo. I tre principali produttori di nichel e litio controllano oltre il 60% della fornitura. La produzione di petrolio greggio è, al confronto, molto più diversificata (Fig. 2).
La combinazione di offerta concentrata e domanda diffusa ha spinto il commercio di materie prime. Molti paesi fanno affidamento sulle importazioni solo da una manciata di fornitori (in particolare dalla Cina). La produzione mineraria può essere difficile da delocalizzare anche dove ci sono giacimenti, in ragione dei lunghi tempi e degli investimenti costosi. Oppure sono spesso difficili da sostituire, come il litio che è essenziale per molte batterie dei veicoli elettrici. Di conseguenza, la domanda risponde solo lentamente quando i prezzi aumentano in condizioni di scarsità di offerta.
Questo trittico di alta concentrazione della produzione, bassa elasticità della domanda e dell’offerta rende i minerali critici per la transizione energetica altamente vulnerabili in caso di restrizioni commerciali.
La simulazione: due ipotetici blocchi che si rifiutano di commerciare
In che modo una ulteriore frammentazione dei mercati delle materie prime critiche influenzerebbe la transizione energetica? Per farsene un’idea, un team di ricercatori del Fondo monetario internazionale ha diviso i mercati di quattro minerali critici in due ipotetici blocchi che si rifiutano di commerciare tra loro, sulla falsariga del voto delle Nazioni Unite del 2022 sull’Ucraina.
I risultati mostrano che l’incapacità dell’ipotetico blocco Cina-Russia+ di importare rame, nichel, litio e cobalto da paesi minerari come Cile, Repubblica Democratica del Congo e Indonesia porterebbe ad un ulteriore aumento medio dei prezzi del 300%. L’acquisizione di minerali sarebbe più costosa, causando minori investimenti in pannelli solari e turbine eoliche e un minor numero di veicoli elettrici.
Nell’ipotetico blocco USA-Europa+, nel frattempo, la frammentazione causerebbe un eccesso di offerta della maggior parte di questi minerali. Tuttavia, il loro impiego sarebbe limitato dal tempo necessario per aumentare la capacità di raffinazione del blocco. La frammentazione, quindi, genererà solo piccoli guadagni nel blocco USA-Europa+ entro il 2030: il blocco produrrebbe leggermente più veicoli elettrici, ma non ci sarebbero guadagni nella capacità di energia rinnovabile.
La decarbonizzazione dell’economia globale sarebbe più difficile se il mercato dei minerali fosse frammentato. Nel complesso, gli investimenti netti globali nelle tecnologie rinnovabili e nella produzione di veicoli elettrici sarebbero inferiori di circa il 30% (Fig. 3).
Gli autori individuano e propongono anche alcune iniziative internazionali per evitare di finire in questa trappola, che si tradurrebbe in un danno collettivo: il rallentamento della transizione energetica e l’aggravarsi dei cambiamenti climatici.
La cooperazione multilaterale è essenziale per prevenire spirali viziose in cui i paesi impongono restrizioni commerciali come strumento di gestione del rischio. La soluzione migliore sarebbe un accordo su norme rafforzate dell’Organizzazione mondiale del commercio in materia di restrizioni e tariffe all’esportazione, nonché di sussidi discriminatori.
Come evitare la trappola?
Se la piena cooperazione è impossibile, gli sforzi multilaterali dovrebbero dare priorità alla creazione di un “corridoio verde”, consistente come minimo in un accordo per mantenere il libero flusso di minerali critici e non discriminare tra aziende di paesi diversi.
Un’iniziativa internazionale per migliorare la condivisione dei dati e la standardizzazione nei mercati minerari potrebbe anche ridurre l’incertezza del mercato. La comunità internazionale dovrebbe istituire un’istituzione o piattaforma, simile all’Agenzia internazionale per l’energia o alla FAO, focalizzata esclusivamente sui minerali critici.
Senza dimenticare, aggiungiamo noi, le difficoltà nella classificazione delle materie critiche e strategiche, come emerso dall’articolo di Alicia Mignone su ENERGIA 4.23.
Anche i singoli paesi possono adottare misure proattive. Le strategie potrebbero includere la diversificazione delle fonti di approvvigionamento delle materie prime; maggiori investimenti nell’estrazione mineraria, nell’esplorazione e nello stoccaggio; e il riciclaggio critico dei minerali.
Le politiche industriali, nel frattempo, devono essere progettate attentamente per garantire la parità di trattamento delle imprese nei mercati competitivi per prevenire ricadute negative tra paesi, ridurre al minimo le distorsioni e le inefficienze e mitigare i rischi fiscali e gli esiti dannosi dell’economia politica.
Anche le politiche di “friendshoring” e le disposizioni in materia di local content possono distorcere i mercati e aumentare i costi. Lo sviluppo di un quadro per la consultazione internazionale e sul friendshoring potrebbe aiutare a identificare le ricadute transfrontaliere negative e mitigare le conseguenze negative.
Un richiamo evidente, seppur non esplicito, all’IRA statunitense e al Green Deal Industrial Plan dell’Unione Europea, la cui analisi proposta su ENERGIA 2.23 perveniva, non a caso, alle medesime conclusioni: l’obiettivo di lanciare lo sviluppo di filiere nazionali rischia di dilatare le tempistiche della transizione energetica. Bene quindi promuovere nuova offerta di materie prime, ma senza minare i mercati il commercio internazionale, pena il rallentamento della transizione.
Il post riprende contenuti dell’articolo A critical matter di Christopher Evans, Marika Santoro, Martin Stuermer che a sua volta riprende contenuti dal capitolo 3 (Fragmentation and Commodity Markets: Vulnerabilities and Risks) del World Economic Outlook dell’ottobre 2023.
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Foto: Unsplash
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