Nell’era della post-dipendenza dalle fonti russe, l’Africa è il cardine portante del Piano Mattei e l’interdipendenza energetica tra Italia e Algeria dovrebbe costituire il fiore all’occhiello della strategia energetica del nostro Paese. L’analisi è parte di Geopolitica dell’Energia, una rubrica di RivistaEnergia.it.
La svolta africana della sicurezza e transizione italiana è culminata nel Vertice Italia-Africa di fine gennaio 2024 e il lancio ufficiale del Piano Mattei. Il legame odierno tra Roma e Algeri è la risultante di molto più che la semplice sommatoria di rapporti bilaterali tra due potenze mediterranee ma rappresenta l’esemplificazione più concreta e realistica del Piano Mattei. Al contempo, questo simboleggia le modalità con cui Europa e Africa potranno incontrarsi (o scontrarsi) per mezzo dell’energia. Nell’epoca della geopolitica che ridisegna il percorso della decarbonizzazione, in gioco vi sono la minaccia di una perpetua insicurezza energetica e la creazione del nuovo ordine energetico globale.
Conferenza Italia-Africa: culmine o trampolino della diplomazia energetica di Roma?
In un Senato gremito di dignitari per il Vertice Italia-Africa, la Presidente del Consiglio Meloni ha indicato il Sud come rotta permanente della politica estera ed energetica. La “centralità e la rilevanza” del rapporto “con le Nazioni africane” costituisce le fondamenta di una cooperazione “da pari a pari” lontana da logiche predatorie. Anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha esaltato lo “straordinario potenziale di sviluppo” delle relazioni tra Africa ed Europa.
Affidarsi alla figura di Enrico Mattei ha un netto significato politico, volendo distinguere l’approccio italiano da quello post-colonialista di altre nazioni europee – Francia in primis. Non a caso, l’annuncio un anno fa del Piano Mattei ha coinciso con la stessa visita di Meloni in Algeria. Un evento che ha visto Meloni incontrare il Presidente della Repubblica Abdelmadjid Tebboune per la firma degli accordi tra Eni e la compagnia di stato Sonatrach.
Al Summit di Roma, l’Italia è riuscita a riunire il gotha della diplomazia africana e le cariche istituzionali più importanti dell’UE. In piena estasi da campagna elettorale per le elezioni del prossimo giugno, assiepati sui banchi solitamente occupati dal governo, vi erano il titubante Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e la ferrea Presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Quest’ultima, nel riaffermare la necessità di realizzare più speditamente gli obiettivi della transizione, tirando una volata al suo programma politico per la rielezione a capo della prossima Commissione, ha accolto positivamente il Piano Mattei, descritto da VDL come in piena “complementarità con il nostro Global Gateway europeo”, il piano infrastrutturale da 150 miliardi di euro che intende favorire energie pulite per l’Africa.
Dotazioni e ambizioni di un Piano sfuggente
Passato, presente e futuro delle interdipendenze energetiche tra l’Europa e l’Africa si legano alle sorti del Piano Mattei. L’Italia, grazie ad esso, vorrebbe farsi cintura sinergica tra i due continenti. L’imbarazzo suscitato dalle lamentele del Presidente della Commissione dell’Unione Africana, il ciadiano Moussa Faki Mahamat, per il mancato coinvolgimento nella stesura del Piano non è certo stato un buon viatico alla sua presentazione.
Oltre ai cinque piani di lavoro, ovvero: cooperazione economica e infrastrutturale, sicurezza alimentare, formazione professionale e cultura, migrazioni mobilità e questioni di sicurezza, oltre ovviamente al tema della sicurezza e transizione energetica, la consapevolezza di cosa contenga operativamente questo Piano latita. Da più parti durante il Vertice è stata sollevata con sorpresa l’assenza di documentazione, scritta o digitale, a un anno dall’annuncio del Piano.
La prima riunione della cabina di regia, convocata per febbraio, sarà ad appannaggio di Palazzo Chigi, Ministero degli affari esteri e del Made in Italy. A supporto entità importanti come Cassa Depositi e Prestiti, Simest e SACE. Tra le poche certezze, vi è la dotazione di circa 5,5 miliardi di euro, con 3 miliardi dal Fondo italiano per il clima costituito dal precedente Governo Draghi e volto a “contribuire al raggiungimento degli obiettivi fissati dagli accordi internazionali sulla protezione del clima e dell’ambiente”. A questi si aggiungono oltre a 2,5 miliardi e mezzo confluiti dal fondo per la Cooperazione allo sviluppo.
Mezzi economici consistenti, se comparati con le normali dotazioni della politica estera italiana. Eppure questi impallidiscono di fronte alla mole di investimenti che tuttora mancano per realizzare gli obiettivi sfidanti della neutralità carbonica al 2050. Nella Dichiarazione di Nairobi, i leader africani hanno richiesto 600 miliardi di dollari per l’installazione di nuove fonti rinnovabili da qui al 2030. Buona parte di essi dovrebbero arrivare dalle economie sviluppate; una posizione questa adottata dalla diplomazia africana durante COP28.
La Presidente Meloni spera che volenterosi capitali privati giungano in soccorso. In assenza, il pneumatico vuoto finanziario diventerà, anno dopo anno, sempre più sostanziale, mettendo in luce la distanza esistente tra le ambizioni del Piano Mattei, quelle del Global Gateway e i ritmi della transizione africana. Secondo gli ultimi dati disponibili, il continente rimane dipendente all’89,9% da fonti fossili per i propri consumi energetici primari. Una percentuale che sale al 99% per l’Algeria.
Le priorità algerine nella cooperazione bilaterale
La Conferenza Italia-Africa ha riunito 18 Capi di Stato e di Governo, cinque vicepresidenti e 14 ministri degli esteri in rappresentanza nazioni africane. Un successo che ha visto partecipare dal Marocco al Sudafrica, passando per Tanzania, Ciad e Tunisia. Per testimoniare il supporto algerino, è stato inviato il Ministro degli esteri Ahmed Attaf. Il Presidente Tebboune e l’egiziano Al-Sisi sono invece stati raggiunti telefonicamente, prima del Vertice.
Nelle stesse ore, infatti, il Presidente Tebboune riceveva in pompa magna il generale sudanese Abdel Fattah al-Burhan. Tema dell’incontro la “cospirazione ordita in collusione con i partiti regionali e internazionali” dietro la drammatica destabilizzazione del Sudan. Qui, una guerra civile ha causato sinora 8 (otto) milioni di rifugiati e almeno 12.000 morti in meno di un anno. Il governo algerino sostiene l’esercito regolare contro le forze paramilitari di RSF, supportate a propria volta da Emirati Arabi Uniti, le forze libiche del generale Haftar e gli Africa Corps, il rebrand del gruppo Wagner. Senza una soluzione, il conflitto civile nel Sudan rischia di far deflagrare la stabilità regionale. Agli occhi del regime algerino, risolvere la questione è prioritario rispetto a qualsiasi Piano Mattei.
Una realtà rivelatrice del complesso scenario in cui si inserisce l’iniziativa italiana. Mentre la conflittualità è in perenne espansione e attraversa l’intero continente, una visione europea di una benefica e pacificatrice forza attribuita agli investimenti in campo energetico rischia di risultare di per sé fatua.
Nel suo discorso al Vertice Italia-Africa, il Ministro Attaf ha descritto l’Algeria come un “partner affidabile per rafforzare la sicurezza energetica e la transizione in Africa.” Secondo il Ministro, tre sono gli assi portanti che porteranno l’Italia ad essere “polo energetico e piattaforma per promuovere la sicurezza energetica europea”:
- Sostenere la realizzazione del gasdotto Trans-Saharan pipeline. Un progetto dalla capacità di 25 miliardi di metri cubi di gas annuale (mmc/a) che intende connettere Nigeria e Niger con la rete gassifera algerina.
- Sviluppare la rete elettrica nazionale dell’Algeria e l’interconnessione con paesi limitrofi, inclusi quelli dell’Europa mediterranea, esportando la generazione in eccesso.
- Accompagnare il processo di transizione tramite investimenti nelle rinnovabili e nell’idrogeno verde, con l’Algeria a giocare un ruolo di “attore principale” per il progetto SouthH2Corridor.
Quello della Trans-Saharan pipeline rimane un progetto difficilmente realizzabile, sia per l’instabilità regionale che per i costi esorbitanti e i rischi finanziari che ne conseguono. Il secondo proponimento è già in discussione, con Sonelgaz e Terna seduti attorno ad un tavolo negoziale per la realizzazione di un cavo sottomarino tra l’Algeria e la Sardegna. Un progetto che, se messo in funzione oggi, potrebbe soltanto esportare la capacità di generazione algerina in eccesso garantita da centrali a gas. Infine, anche Berlino è rimasta affascinata dal progetto SouthH2Corridor e sostiene Roma nella sua realizzazione. Da definire rimane la ripartizione dei rischi economici, tutt’altro che irrisori. Vi è poi la difficile conciliabilità delle politiche di sicurezza e transizione di due governi che, in Europa, non potrebbero avere opinioni più discordanti in materia.
Dalla teoria alla pratica: l’interdipendenza italo-algerina a due anni dallo scoppio della guerra in Ucraina
Senza grosse sorprese, i proponimenti algerini avanzati durante il Vertice Italia-Africa vedono il gas naturale al centro della cooperazione energetica bilaterale. Per estensione, il gas diviene oggetto d’attenzione massima nella diplomazia energetica tra Africa ed Europa. Secondo Algeri, occorrerebbe che l’Italia acceleri la “consacrazione della sicurezza energetica” e porla al centro del Piano Mattei.
Dalla sua parte, Sonatrach ha imbastito un programma quinquennale da oltre 40 miliardi di dollari con l’obiettivo di aumentare le esportazioni fissate nel 2023 a 52,4 mmc. Queste sono risultate in crescita del 6% rispetto l’anno precedente. Per realizzare la strategia di Sonatrach, il Ministro dell’energia Arkab richiede che le compagnie europee intensifichino gli investimenti economici e tecnologici. La condivisione di rischi e costi è necessaria per questo sforzo.
Gli accordi siglati durante le visite di Meloni e Draghi e l’idea dell’Italia come hub del gas nel Mediterraneo vertono nella direzione auspicata dall’Algeria, prospettando l’incremento delle esportazioni nel breve periodo. Sullo sfondo permangono svariati progetti per la riduzione delle emissioni fuggitive di metano e lo sviluppo congiunto di rinnovabili e idrogeno verde.
Ma a fare la parte da leone sono ovviamente i 9 miliardi di metri cubi di gas annui accordati entro il 2023-2024, rispetto i volumi 2022. Un aumento davvero consistente del +40%, a conferma della sempre maggior rilevanza strategica dell’Algeria come primo fornitore di gas in sostituzione della Russia. Il Paese è infatti collegato all’Italia tramite il gasdotto Transmed (33 mmc di capacità annuale), l’infrastruttura gassifera internazionale più importante dell’intero Mediterraneo.
Eppure, nonostante gli accordi di lungo corso esistenti tra compagnie italiane e Sonatrach, nel 2023 i volumi transitanti per Transmed sono paradossalmente calati del 2,5% rispetto l’anno precedente. Al pari, i consumi italiani sono calati dell’8,4% su base annuale, portandosi a 63,1 mmc, i più bassi dal 2015. Complice un sostanziale riduzione nel termelettrico. Qui, alti prezzi, consumi minori e una diversificazione verso altre fonti hanno limitato i consumi. Anche la domanda afferente alle reti di distribuzione è diminuita, conseguente al caldo inverno del 2022/2023.
È soltanto infatti aggiungendo al totale le importazioni via GNL, +63% su base annuale, che le importazioni algerine divengono nel 2023 superiori a quelle dell’anno precedente. Su base annuale, le esportazioni di GNL algerino sono cresciute infatti di oltre il 30%, in particolare verso Turchia, Spagna e mercati asiatici. Grazie a questa espansione, nel 2023 l’Algeria è addirittura divenuta il primo esportatore di GNL africano. Ciò, nonostante i due gasdotti sottoutilizzati che la collegano a Italia e Spagna. A dimostrazione che Algeri vuole insistere su questa componente e a sua volta diversificare le esportazioni rispetto i mercati storici, Sonatrach si è appena assicurata circa 4 mmc nel maggiore terminal europeo di GNL, il britannico Grain LNG, estendendo il contratto attuale sino al 2039.
Ritornando invece al rapporto bilaterale Italia-Algeria, ad oggi l’aumento totale delle esportazioni algerine corrisponde quindi al solo 30% dei 9 mmc accordati nel 2022 con l’Italia. Un risultato che ha diverse implicazioni strategiche. La dipendenza del nostro paese nei confronti delle importazioni dall’Algeria è arrivata infatti a circa il 42% del totale. Una proporzione molto simile a quella dell’Italia nei confronti della Russia per buona parte del decennio scorso e sino al 2021. Paradossalmente, la stessa proporzione è aumentata nel 2023, nonostante una riduzione corposa dei consumi.
Un dato che sottolinea ulteriormente l’interdipendenza sempre più forte dei due sistemi energetici e che dovrebbero sollevare diversi quesiti riguardanti la sicurezza energetica nazionale, soprattutto nel momento in cui il GNL del Qatar fatica a raggiungere nei terminal del Mediterraneo per via degli attacchi Houthi nel Mar Rosso.
Entro la fine dell’anno si dovrebbero tenere elezioni in Algeria per la nomina del prossimo Presidente. Tebboune, 78 anni, ha tuttora il supporto del generale Said Chengriha, vero deus ex machina della politica algerina. Il suo predecessore, il generale Ahmed Gaid Salah, aveva contribuito a far cadere nel 2019 il Presidente Abdelaziz Bouteflika dopo 20 anni di governo e a fronte di proteste di piazza. Una difficile transizione di potere, con le opposizioni scese in campo dopo anni di silenzio, potrebbe inavvertitamente ricadere sulla stabilità economica e sociale del paese. In Algeria, il gas naturale rappresenta ancora oggi una fondamentale forma di sussidio pubblico e strumento politico per rafforzare il consenso sociale.
Francesco Sassi (PhD.) è research fellow in geopolitica e mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche
La rubrica Geopolitica dell’Energia è realizzata con il supporto di Assofond
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Foto: AU UN IST Photo / Tobin Jones
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