La competizione nel settore eolico tra Cina ed UE approfondisce le tensioni tra Pechino e Bruxelles. Se la sicurezza e transizione energetica passano da una maggiore produzione da eolico, il settore europeo rischia di trovarsi impreparato alla sfida lanciata dai competitor cinesi. Mentre le autorità UE e nazionali si affrettano ad introdurre misure protezionistiche, le prospettive di breve e lungo termine non danno tregua all’eolico europeo.
Il settore eolico europeo è in salute. Perlomeno questo è il messaggio dell’industria eolica. Lo scorso anno, il settore ha ripreso quota, installando 17 GW di nuova capacità nell’UE, un record di oltre il 40% superiore a quello del 2022. Eppure, il traguardo corrisponde soltanto a poco più della metà di ciò che WindEurope, la lobby di riferimento dell’industria dell’eolico europea, ritiene necessario in termini di nuova capacità che, ogni anno, dovrebbe essere messa a terra per raggiungere gli obiettivi di transizione al 2030.
Il messaggio di WindEurope contrasta con i toni pessimistici e a tratti disastrosi utilizzati da pressoché tutti i media per descrivere la situazione in Europa. Inflazione, crescenti costi lungo tutta la supply chain e ritardi nella concessione dei permessi per la costruzione di nuovi impianti hanno costituito la principale barriera che ha eroso la fiducia degli investitori.
Lo stato dell’arte dell’eolico in Europa
Nel 2022, i finanziamenti dedicati a nuovi progetti nell’eolico hanno raggiunto il proprio record negativo nel corso dell’ultimo decennio. A pagarne il prezzo più caro è stato l’eolico offshore. La stessa incertezza ha persino ridotto la grandezza media degli impianti, al minimo nelle decisioni finali d’investimento dal 2018 in poi.
Inoltre, insufficienti investimenti nelle reti, aste mal congeniate e interventi a gamba tesa dei governi hanno richiesto un’iniziativa istituzionale a favore del settore. Non per ultimo, problemi legati alle tecnologie sviluppate da alcuni produttori europei hanno avuto significativi impatti economici. La necessità di approntare velocemente nuovi modelli per metterli sul mercato ha determinato ingenti perdite finanziarie per la tedesca Siemens Gamesa. Una crisi che tuttora incide sulla operatività degli impianti, la credibilità dell’azienda e del settore.
Cosa è dunque successo in questo breve periodo per dare una nuova speranza all’eolico europeo e alla transizione nel nostro Continente?
Secondo il CEO di WindEurope, Giles Dickson, il vento è cambiato grazie all’intervento della politica. Nuove regole europee riguardanti i permessi per costruire nuovi parchi eolici hanno portato a maggiori investimenti e un record di aste nel 2023. Il supporto dei governi europei tramite il Wind Power Package (WEP) e Net Zero Industry Act (NZIA) è risultato essere l’ulteriore elemento di discontinuità, positiva, rispetto al recente passato.
Introdotto ad ottobre 2023, il cosiddetto EU Wind Power Action Plan mira al sostegno dell’eolico made in UE e al raggiungimento del traguardo di 500 GW di capacità installata al 2030 contro i 204 GW ad oggi disponibili grazie a:
– Uno sviluppo più veloce e permessi più snelli relativi ai progetti; la pubblicazione di un calendario delle aste e piani settoriali di lungo periodo.
– Il miglioramento dei meccanismi delle aste che assicurino la realizzazione dei progetti nelle tempistiche previste; identificazione dei rischi di cybersecurity e utilizzo dell’approvvigionamento strategico di materi prime critiche tramite il Global Gateway.
– Crescente accesso a strumenti finanziari come l’Innovation Fund; aiuti dalla Banca europei per gli investimenti e utilizzo delle deroghe sugli aiuti di stato.
– Un equo e competitivo scenario internazionale e un accesso ai mercati esteri alle industrie europee semplificato; un monitoraggio più stretto delle distorsioni e degli investimenti esteri diretti che minacciano sicurezza e ordine pubblico.
– Lo sviluppo della forza lavoro nel settore.
– Una stretta cooperazione tra industria e Stati membri e lo sviluppo di una EU Wind Charter (EWC) che garantisca ai produttori lo sviluppo di un mercato stabile e in cui gli standard qualitativi in materia di ambiente, lavoro, cybersecurity e innovazione.
I propositi di transizione e sicurezza energetica europea passano dalla designazione dell’eolico a fonte energetica prioritaria per l’UE. “Una storia di successo”, ha affermato la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, e il cui futuro industriale sul territorio deve essere protetto. Per questo è necessaria una confidenza ad investire, crescere e innovare, ha ribadito la Commissaria all’energia Kadri Simson. Approvvigionamento energetico, ovviamente, ma anche investimenti e occupazione sono le ragioni che hanno portato le autorità UE ad agire negli ultimi mesi.
Wind Power EU: una strategia UE per far fronte alla competizione cinese?
La lobby europea dell’eolico si aspetta che nel periodo 2024-2030 almeno 29 GW di nuova potenza verrà installata ogni anno. Sarebbero invece 33 i GW necessari al raggiungimento della capacità di 425 GW al 2030, pari al 35% della domanda di energia elettrica europea. Anche se inferiori ai ritmi per uno scenario Net-Zero al 2050, le prospettive delineate da WindEurope sono ottimistiche.
Nel 2023, l’eolico ha risposto al 18% della domanda elettrica europea, superando per la prima volta il gas naturale. Danimarca, Irlanda e Germania sono gli Stati membri in cui l’apporto dell’eolico è stato più rilevante. Germania, Paesi Bassi e Svezia quelli in cui si è concentrato il maggior numero di nuovi impianti installati.
Nel medio periodo, gli obiettivi dell’eolico UE rimangono un compromesso frutto della negoziazione dei nuovi target del 42,5% dei consumi finali ricoperto da fonti rinnovabili al 2030. Un accordo trovato sul finire del 2023. Gli Stati membri saranno costretti, entro 18 mesi, ad allineare le proprie legislazioni nazionali. Nel frattempo, il ridimensionamento degli obiettivi equivale a 15 GW in meno di capacità installata per l’eolico. Un quantitativo poco inferiore a ciò che l’intera Europa (Regno Unito compreso) ha messo a sistema nel 2023: a dimostrazione di quanto i numeri sulla carta incidano quantitativamente sull’intera supply chain.
Nel frattempo, Iea ha calcolato al ribasso le previsioni riguardanti l’installazione di eolico sia a terra che al largo delle coste in Europa. Oltre ai problemi sottolineati nel primo paragrafo si aggiungono la poca redditività di alcune aste, le insufficienti infrastrutture portuali, essenziali per l’industria offshore, e la scarsa incisività di misure governative.
In particolare, GWEC sottolinea come il combinato disposto delle ambiziose politiche di transizione e delle strategie di sicurezza energetica occidentali, accompagnate da un crescente protezionismo internazionale, rischia di aumentare la pressione sulle supply chain a livelli senza precedenti, frenando l’intero processo di transizione. Una volta che lo sguardo si sposta sulle dinamiche globali, lo stato dell’industria eolica europea assume altri toni rispetto quelli euforici descritti. Sia per quanto riguarda costruzione, installazione, ma anche le capacità manifatturiere, le supply chain sono infatti dominate dalla Repubblica Popolare Cinese. Il dominio di Pechino riguarda sia la capacità annuale installata che quella in termini assoluti.
La predominanza delle compagnie cinesi è ancor più lampante se, nel dettaglio, si mettono a fattore le capacità manifatturiere in termini di componentistica. Oltre alle capacità di costruzione di pale, generatori e alberi di trasmissione, la leadership si estende anche agli altri parti fondamentali della supply chain quali elementi fusi e forgiati, torri e flange per oltre il 70% del mercato globale. Una dipendenza che ha effetti concreti sull’economia e le supply chain europee. Ad esempio, fonti dell’industria europea indicano volumi crescenti nell’import di elementi di fusione pari a circa a metà del fabbisogno degli impianti nel nostro Continente. Le conseguenze sono una perdita di oltre 400 milioni di euro all’anno e circa 2.000 posti di lavoro.
Il modello eolico cinese minaccia la “storia di successo” UE?
Da almeno due decenni Pechino ha investito con continuità nel settore eolico, grazie a Piani Quinquennali sempre più ambiziosi e policy accentrate e meticolose. L’ultimo di essi (2021-25) ha posto come obiettivo un raddoppio della quantità di rinnovabili installata al 2020. Il 2024 sarà con ogni probabilità l’anno in cui Pechino supererà i 1.300 GW di capacità da rinnovabili installate. Un volume superiore allo stesso carbone, colonna portante del sistema energetico cinese. La Cina centrerà dunque il Contributo determinato a livello nazionale sottoscritto durante il processo di negoziato internazionale sulle politiche climatiche con cinque anni di anticipo.
In conseguenza delle politiche statali, i parchi eolici cinesi sono stati avvicinati ai centri di consumo, mentre i progetti hanno subito un profondo processo di razionalizzazione. Il risultato è stato eclatante. La capacità installata in Asia, guidata dalla Cina, è cresciuta di ben 17 volte dal 2006 al 2012. Nel 2021, l’eolico in Cina ha generato elettricità pari a cinque volte la quantità prodotta in Germania e il 70% in più rispetto gli Stati Uniti.
Attraverso un processo graduale di adattamento delle politiche industriali, un costante dialogo con i produttori e una limitata competizione interna, l’innovazione tecnologica e la situazione finanziaria degli operatori cinesi è migliorata esponenzialmente. Un nuovo processo di aste e di quote di consumo da rinnovabili ha sostituito con successo il modello precedente. Le province cinesi hanno accresciuto la competizione per assicurarsi i progetti più ambiziosi tramite gare che garantiscono tariffe inferiori a quelle vigenti. Ciò ha ridotto ulteriormente i costi per il consumatore, favorendo però una maggiore competizione tra le compagnie stesse. Ne risulta che nel 2023 solo tre società, Goldwind, Envision e Windey hanno occupato oltre il 50% del mercato interno cinese delle le turbine.
Oggi, sono 12 le compagnie in grado di competere nel mercato interno. La danese Vestas, una delle poche aziende europee in salute, è invece l’unica compagnia straniera ad aver installato turbine in Cina dal 2022 in poi. Se costi per i rivali europei sono schizzati in alto, per i colossi cinesi è successo l’opposto. Ampi sussidi, favorevoli finanziamenti e prezzi ridotti delle materie prime, incluse quelle critiche, hanno limitato o addirittura diminuito il CAPEX.
Durante la fase più acuta della crisi, le aziende cinesi hanno così sottratto imponenti fette di mercato nella produzione di turbine ai competitor occidentali nell’ordine del 20%, agguantando così i due terzi dell’intero mercato globale. Con gli ultimi annunci, i produttori di turbine cinesi offrono modelli dalla capacità nominale del 30% maggiore a quelli occidentali e ad un prezzo del 70% inferiore.
Con queste premesse, le compagnie cinesi puntano ad espandersi in India, Africa, Medio Oriente e Asia Centrale, sottraendo quote alle aziende europee. Anche nel nostro continente, l’import di turbine cinesi è in crescita. Secondo i dati forniti da Eurostat, il 60% degli 800 milion di euro in valore delle turbine importate nel 2022 proviene proprio dalla Cina.
Maelstrom Cina e i riflessi internazionali della crisi dell’eolico UE
Come il vortice marittimo scandinavo raccontato da Edgar Allan Poe e Jules Verne, l’eolico cinese attrae con forza i naviganti incauti del mercato globale e impone a chi vuole allontanarsi da esso di imprimere uno sforzo massimo alla propria azione, adottando stratagemmi talvolta assai pericolosi.
Tra i temerari naviganti certamente vanno annoverati paesi ai primi confini dell’UE come Turchia e Serbia, ma anche importanti partner come Arabia Saudita e Uzbekistan. Compagnie cinesi hanno recentissimamente siglato importanti accordi per progetti integrati di stoccaggio, idrogeno e, ovviamente, produzione elettrica da eolico. Questi investimenti rientrano perfettamente nelle strategie green dei singoli Stati, oltre ad abbattere le emissioni delle operazioni energetiche e minerarie di altre società cinesi attive negli stessi paesi.
Il volto rassicurante di Pechino pare abbia fatto colpo anche in Italia, dove il progetto Beleolico, nelle vicinanze del porto di Taranto, utilizza turbine MingYang. Inaugurato nel 2022, Beleolico ospita per la prima volta un produttore cinese nel settore eolico offshore dell’UE. Un progetto salutato dall’allora Ministro degli Esteri Luigi di Maio come inteso ad “accelerare l’installazione di energie rinnovabili” e “promuovere le catene di valore locali”.
Altri Stati membri hanno recepito con più distacco, e a volte diffidenza, le avances di Pechino. Sany sarebbe in fase di negoziazione per esportare le prime turbine in Germania e dal 2021-2022 si parla di possibili fabbriche di turbine e fondazioni made in China nel nostro Continente. Finora, alle voci non è stato dato seguito. È però chiaro che la necessità di ridurre i costi lungo tutta la supply chain continuerà ad aprire spazi in Europa per la controparte orientale.
La prima asta norvegese per un progetto offshore in scala commerciale, il Sørlige Nordsjø II ha visto la cinese MingYang sfilarsi all’ultimo. Mentre nessuna ragione è stata fornita, ma il Ministro dell’energia Terja Aasland ha assicurato che la sicurezza nazionale sarebbe stato uno dei fattori determinanti dell’intera asta.
Il porto baltico di Gdynia, scalo di riferimento per lo sviluppo del settore dell’eolico offshore polacco nel Mar Baltico, ha recentemente attratto l’interesse di ben 3 compagnie con legami diretti e indiretti al Regno di Mezzo. Le autorità di Varsavia starebbero vagliando le implicazioni sulla sicurezza nazionale di tale investimento. Mentre l’UE ha ventilato una velleitaria proposta di investigare gli aiuti di Stato e le pratiche di sussidi in supporto ai produttori di turbine cinesi, la questione si è arenata nei gangli di Bruxelles.
Se Pechino ha già risposto nervosamente all’acuirsi delle tensioni commerciali tra UE e Cina, i produttori cinesi hanno definito “risibili scuse” le nuove regolamentazioni che restringono l’accesso al settore sulla base di questioni di sicurezza nazionale. “Le persone cercano sempre di creare barriere quando si sentono deboli”, ha affermato Kane Xu, Vice-Presidente di Envision.
Francesco Sassi (PhD.) è research fellow in geopolitica e mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche
La rubrica Geopolitica dell’Energia è realizzata con il supporto di Assofond
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