19 Marzo 2024

I rischi dello strappo dei prezzi del petrolio

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I prezzi del petrolio hanno segnato dal 13 marzo uno strappo portandosi oltre gli 85 dollari al barile, quali i rischi? Il Fondo Monetario Internazionale stima la crescita dell’economia globale sull’assunzione che i prezzi delle commodity (energetiche e non) si riducano nel biennio. Quel che non sta avvenendo e non si prevede possa avvenire.

Dopo aver registrato minime oscillazioni dall’inizio di febbraio tra gli 81 e gli 83 dollari al barile, i prezzi del petrolio hanno segnato dal 13 marzo uno strappo portandosi oltre gli 85 doll/bbl (Brent Dated). Contemporaneamente sono usciti diversi commenti (si vedano quelli di Wood Mackenzie o della Iea) che evidenzia i rischi di uno strappo dei prezzi del petrolio.

rischi strappo prezzi petrolio

A motivarlo, sarebbe in primo luogo la decisione dei principali paesi Opec unitamente alla Russia di estendere al secondo trimestre dell’anno, a fronte di un prevedibile aumento della domanda, i tagli volontari alla produzione di greggio decisi nell’aprile dell’anno scorso.

In termini pratici, la produzione dovrebbe calare di

  • 550 mila bbl/g in Iraq
  • 250 mila negli Emirati Arabi
  • 380 mila nel Kuwait
  • 210 mila in Russia
  • e soprattutto 1,8 mil.bbl/g in Arabia Saudita
  • per un totale di 3,2 mil.bbl/g.

The decision to extend the voluntary production cuts should have a “dramatic” impact on the short-term oil market outlook – Ann-Louise Hittle, Wood Mackenzie

Il perdurare di questi tagli potrebbe causare, secondo Wood Mackenzie “a dramatic’ impact on the short-term oil market outlook”, dato il previsto aumento della domanda nella media del 2024 sul 2023 di oltre 2 mil.bbl/g, secondo l’Agenzia di Parigi e l’inizio da maggio del ciclico aumento dei consumi estivi, specie negli Stati Uniti (quando la domanda sale oltre i 9 mil.bbl/g).

Le scorte, specie negli Stati Uniti, sono diminuite a livelli inferiori di alcuni punti percentuali a quelle dell’ultimo quinquennio.

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Fonte: EIA

Il Fondo Monetario Internazionale nell’aggiornamento di gennaio del suo World Economic Outlook basa le previsioni di crescita del reddito mondiale nel 2024-2025 poco sopra il 3%, sull’assunzione, invero poco motivata, che i prezzi delle commodity (energetiche e non) si riducano nel biennio. Quel che non sta avvenendo e non si prevede possa avvenire.

Un rallentamento dell’economia mondiale rispetto alle previsioni è uno dei rischi dell’attuale strappo al rialzo dei prezzi del petrolio. Molto dipenderà quindi dalla crescita cinese proiettata nel 2024 al 4,6%, sotto il +5,2% conseguito nel 2023.

I tagli alla produzione consentono per altro di ampliare parallelamente la spare capacity (capacità di estrazione disponibile nel brevissimo tempo) ad oltre 6 mil. bbl/g. Un contesto favorevole a quei paesi consumatori che volessero creare o aggravare tensioni geopolitiche, come gli Stati Uniti in Libia negli anni ’80, in quanto queste non causerebbero scarsità di offerta che potrebbero ritorcerglisi contro.

Attenzione alla geopolitica dell’energia

L’industria del petrolio e del gas ha osservato uno sconvolgimento nelle sue supply chain tra il protrarsi della guerra russo-ucraina e le rinnovate tensioni medio-orientali. Eventi che nel loro sommarsi potrebbero impattare sull’offerta internazionale – quel che fortunatamente sinora non è avvenuto – con i temi della geopolitica che si impongono al centro della scena internazionale. Derivandone un’incertezza e un’insicurezza difficilmente risolvibili.

A sostenere i prezzi o a impedirne il calo concorre anche il war premium ovvero l’aumento (premio) delle quotazioni ascrivibile al sommarsi delle tensioni di matrice geopolitica. Un premio risultato relativamente contenuto rispetto al passato, anche se non può sottacersi lo straordinario aumento dei profitti di 281 miliardi di dollari conseguiti dalle cinque super majors dall’inizio della guerra ucraina nel 2022. Profitti che hanno gratificato gli azionisti, via dividendi e buyback; consentito di aumentare gli investimenti; avviato una fase di consolidamento nell’industria mondiale, con acquisizioni e fusioni ad iniziare da quella di Pioneer Natural Resource da parte di ExxonMobil per un valore prossimo ai 60 miliardi di dollari o di Hess da parte di Chevron per 54 miliardi di dollari.

Nel mondo del petrolio e del gas se non si è grandi si avrà un futuro molto problematico.

Determinante nell’equilibrio del mercato sarà l’andamento della produzione nei paesi non-Opec – che lo scorso anno ha superato la crescita della domanda – specie negli Stati Uniti, in Canada, Brasile. Guyana (con una capacità prossima a 1,2 mil.bbl/g). L’ansia relativa al possibile rischio di una scarsità di offerta è evaporata di fronte alla maggior produzione di questi paesi, come ha sostenuto Daniel Yergin sul WSJ lo scorso novembre.

La fine dell’Opec o l’inizio di una nuova fase?

Cionondimeno, l’Opec resta centrale, nonostante i ripetuti de profundis sulla sua fine, nel condizionare le dinamiche di mercato con un ruolo che in futuro potrebbe consolidarsi per due ordini di ragioni.

Primo: qualora la domanda di petrolio si manterrà su livelli elevati, come alcuni rapporti prendono a sostenere modificando i precedenti scenari. Secondo Ernst&Young essa potrebbe diminuire a metà secolo solo del 15% rispetto agli attuali livelli contro il 44% sostenuto dall’Agenzia di Parigi nello scenario “Announced Pledges”.

Mentre dal confronto tra scenari energetici proposto dall’International Energy Forum, l’intervallo tra lo scenario più climaticamente ambizioso e quello più conservativo è di addirittura 91 mil. beo/g, con alcuni scenari di riferimento che mostrano una crescita del 15% (si veda anche Iea, Opec e altri scenari energetici a confronto).

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Fonte: International Energy Forum

Secondo: se la produzione nei paesi non-Opec si ridurrà, come l’Agenzia prevede, con un dimezzamento entro metà secolo sempre nello scenario AP. In entrambi i casi si rafforzerà il ruolo dei paesi membri dell’Opec che, vale rammentare, detengono il 70% di tutte le riserve provate di petrolio nel mondo.

Non prenderne atto, ritenendo che del petrolio non sia più opportuno interessarsi, non potrà che peggiorare le cose tutto a vantaggio dei nostri attuali e futuri fornitori.


Alberto Clò è direttore di ENERGIA e RivistaEnergia.it


Foto: Unsplash


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