14 Marzo 2024

Il ritorno della sicurezza energetica e il mandato della Iea

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Il ritorno in grande stile della sicurezza energetica come priorità della politica mina l’ampiamento del mandato della International Energy Agency (IEA) che vorrebbe guidare i governi delle economie avanzate verso la transizione. Il cinquantesimo anniversario di IEA, diviene così un momento chiave per fare il punto sul ruolo dell’Agenzia.

La crisi energetica ha inciso profondamente sul legame esistente tra politica ed energia, infondendo nuova attenzione al binomio (in)sicurezza energetica e geopolitica. Una relazione di per sé complessa e stratificata. Sono vari i fattori, tra cui la disponibilità di risorse, le dinamiche politiche e lo sviluppo economico, che influenzandosi a vicenda generano imprevedibili effetti a caduta. Fenomeni largamente inesplorati e insufficientemente teorizzati. Con il risultato evidente di una confusa reazione dei governi occidentali alla crisi energetica. Ma anche per i danni inflitti alle economie e società dalla crescente povertà energetica che affligge il nostro continente.

La consapevolezza che la sicurezza energetica è tornata ovunque alla ribalta, viene sottolineata come una delle trasformazioni paradigmatiche di questa epoca. Tensioni geopolitiche, crisi sanitarie ed alimentari colpiscono un pianeta sul cui effetto del cambiamento climatico è evidente sotto diversi punti di vista. Ciò che oggi soltanto in pochi hanno il coraggio di ammettere è che senza sicurezza energetica non vi può essere una transizione che resiste alle pressioni politiche ed economico-sociali.

IEA e il suo mandato

In questo scenario globale, si staglia su tutti il ruolo di IEA come faro per la sicurezza e transizione energetica dell’Occidente. L’organismo è recentemente giunto al compimento del proprio cinquantesimo anniversario dalla fondazione. L’evento ha convogliato nella sede di Parigi ministri e delegazioni internazionali, ribadendo il proprio forte impegno “per la salvaguardia della sicurezza energetica e nel frattempo accelerare la transizione verso energie pulite così mantenendo l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale entro l’1,5°C a portata”.

Creata successivamente alla crisi del 1973 per difendere gli interessi delle economie avanzate, nell’ultimo decennio l’Agenzia ha dato prova di lungimiranza politica e grande persuasività. Essa si è ritagliata un ruolo primario nella guida degli esecutivi verso l’obiettivo di neutralità carbonica al 2050. Un traguardo presentato nell’ormai celeberrima “Net Zero by 2050 – A Roadmap for the Energy Sector”. Uno scenario, però, da non tutti accettato. Ai tempi della sua uscita, il Ministro dell’energia e Principe saudita Abdulaziz bin Salman, un soggetto direttamente interessato dalla transizione lontano dalle fonti fossili, bollò la Roadmap come “il seguito del film La La Land”.

Per decenni, il compito principale di IEA è stato quello di garantire sufficienti volumi di petrolio e gas per il Nord Globale. Ora, con alla guida l’infaticabile Fatih Birol, il mandato di IEA si è inevitabilmente espanso. Secondo il Segretario Generale dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico Mathias Corman, IEA deve assicurarsi il successo della trasformazione dei mercati e sistemi energetici verso la transizione, “in linea con le sfide energetiche che si evolvono nella nostra epoca”. Per l’inviata della Germania al Clima Jennifer Morgan, “questo è il nostro momento 1974”. Una giuntura critica che richiede di unire le forze “per rispondere alla crisi climatica e far transitare i nostri sistemi energetici” verso un nuovo modello.

Le polemiche sul ruolo di IEA

Il rinnovato mandato di IEA non è però generalmente condiviso e supportato. Oltre le parole di letizia da parte dei ministri e delegati presenti al cinquantesimo anniversario parigino, l’evento ha generato un prolifico dibattito.

Per Bob McNally, fondatore di Rapidan Energy e consigliere alla Casa Bianca nel 2001-2003, è fondamentale “ripristinare la reputazione dell’agenzia e rafforzare la sicurezza energetica.” In un suo articolo pubblicato dal Wall Street Journal e intitolato “Climate Politics Neuters an Energy Watchdog”, l’esperto afferma che l’Agenzia è venuta meno al proprio ruolo di osservatore neutrale dei mercati energetici, trasformandosi in una “climate-obsessed nongovernmental organization.” Per McNally, IEA ha ceduto alle “enormi pressioni degli attivisti per il clima”. Ciò ha comportato uno stop alla pubblicazione di analisi centrate sui rischi derivanti dalla domanda petrolifera e gassifera mondiale, in continua espansione. Di conseguenza, si è perpetuato il mito che gli investimenti nel settore degli idrocarburi fossero superflui. Una narrazione che ha influenzato profondamente il dibattito pubblico. I policymakers, non avvezzi a conoscere la materia, hanno dunque preso decisioni senza poter comprendere e valutare costi e benefici.

All’articolo pubblicato sul WSJ da McNally ha risposto Jason Bordoff, fondatore e direttore del Center on Global Energy Policy della Columbia University e assistente speciale all’ex Presidente Barack Obama. Sui propri profili social, Bordoff ha descritto il ruolo di IEA come in naturale evoluzione con le necessità del contesto attuale. Il nuovo mandato di IEA ci aiuta “nel comprendere dove il mondo è diretto”. Uno scenario in cui un semplice stop agli investimenti nell’Oil & Gas non ci permetterà di affrontare le sfide del cambiamento climatico. Ciò che invece servirebbe è un’azione corale di supporto alla Roadmap. Pivotale sarà evitare squilibri di mercato ed evidenziare quanta strada ancora manchi al raggiungimento della neutralità carbonica.

Cosa accade se supporto alla transizione si affievolisce?

In questo momento, una grande confusione regna nelle politiche e strategie energetiche delle economie avanzate. Gli Stati Uniti sono prossimi ad un’elezione Presidenziale che segnerà il futuro della transizione a stelle e strisce. A Washington si teme che neppure IRA, il colossale programma di supporto alle energie rinnovabili dell’Amministrazione Biden, possa far sopravvivere l’industria manifattura solare statunitense. Un settore divorato dalla competizione internazionale e minacciato dalla possibile vittoria di Donald Trump. Nel frattempo, dopo aver annunciato ambiziosissime strategie Net-Zero nel settore della generazione elettrica entro il prossimo decennio, Germania e Regno Unito hanno annunciato la costruzione di nuove centrali a gas che, esplicitamente, contraddicono questo obiettivo. A livello europeo, il supporto al Green Deal si sta affievolendo. Ne è testimone l’accesa discussione interna al PPE, la maggiore compagine politica europea, durante la recente nomina di Ursula von der Leyen a candidata alla guida della prossima Commissione.

Dall’altra parte, giunti a metà strada tra le ambizioni del Protocollo di Kyoto e il fatidico 2050, il percorso per il raggiungimento di una neutralità carbonica è tuttora largamente incompiuto. Manca soltanto una generazione per liberarci definitivamente delle emissioni generate dal consumo di fonti fossili. Eppure ad oggi non abbiamo ancora raggiunto il picco dei consumi e un loro declino improvviso ed immediato è improbabile. Mancano tuttora processi commerciali e industriali net-zero su larga scala per la produzione di materie prime essenziali. Infine, l’elettrificazione è insufficiente a prevedere un mondo in cui fonti rinnovabili e motori elettrici possano sostituire gli idrocarburi nei settori chiave della generazione elettrica e mobilità.

Non potrebbe esserci quindi momento più utile per un richiamo da parte della principale agenzia internazionale del settore ad una razionale comprensione dello stato ed evoluzione dei sistemi e mercati energetici. A IEA spetta di riportare i governi verso un ordinato bilanciamento tra sicurezza e transizione energetica. Per la nostra sorte, ci dovremmo tutti augurare che l’attuale assetto e mandato di IEA siano in grado di traghettarci in questo mare in tempesta.


Francesco Sassi (PhD.) è research fellow in geopolitica e mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche


Foto: Flickr

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