La Anglo American ha rifiutato la proposta di fusione da parte di BHP che avrebbe creato un colosso del rame. Ma l’interesse per le M&A nel settore minerario resta elevato, spinto dalla forte domanda proveniente dalla transizione energetica e digitale.
Qualche giorno fa il Consiglio di Amministrazione di Anglo American ha confermato di aver ricevuto una proposta di fusione all-stock da parte di BHP Group, il più grande gruppo minerario del mondo con una capitalizzazione di mercato di 149 miliardi di dollari. Evidente come BHP stia cercando di espandere il suo portafoglio di miniere di rame e che gli asset di Anglo in Perù e Cile: Quellaveco, Los Bronces, El Soldado, Collahuasi, le consentirebbero di realizzare un colosso nel settore da oltre due milioni di tonnellate all’anno.
Gli analisti sono divisi sullo sviluppo a breve della produzione di rame. Da un lato, il metallo rosso è vicino alla soglia dei 10.000 dollari per tonnellata. Per i rialzisti, è solo l’inizio di una scalata che porterà i prezzi a raggiungere il picco di 15.000 $/t. Dall’altro, vi è chi ritiene che non ci siano ancora i fondamentali, ovvero la domanda, per sostenere un prezzo tale. L’economia cinese è rimbalzata nei primi due mesi dell’anno, a marzo, ma la crescita delle vendite al dettaglio è crollata e la produzione industriale è stata inferiore alle previsioni suggerendo una doverosa cautela.
Sinergie geografiche e il ritorno delle fusioni
Tutti comunque convergono sul fatto che in questo momento ci sia una carenza di concentrato di minerale di rame sul mercato.
Ma BHP è convinta che il ruolo del rame nel futuro dell’economia globale sarà sostanziale e lo ha già dimostrato l’anno scorso con l’acquisizione dell’australiana OZ Minerals per 6,61 miliardi di dollari realizzando, con il “bacino di rame dell’Australia meridionale”, quella che le compagnie minerarie definiscono una sinergia geografica: miniere prossimali possedute e gestite dalla stessa società che possono migliorare l’efficienza della catena di approvvigionamento e ridurre i costi.
Questa è anche una delle ragioni che spiega l’interesse di BHP per le cinque miniere di carbone metallurgico nel Queensland in Australia e per le miniere di minerale di ferro in Brasile di Anglo American.
Una proposta inaccettabile per i sudafricani
Ma il CdA di Anglo ha esaminato la proposta con i suoi consulenti e ha concluso che questa sottovaluta significativamente la Compagnia e le sue prospettive future ed ha deciso di rifiutarla. La proposta economica di 25,08 sterline per azione (per circa 31 miliardi di sterline) viene ritenuta insoddisfacente. Molte analisi stimano che sarebbero necessarie almeno 28 sterline per azione per avviare delle trattative concrete.
Ma i maggiori problemi vengono dalla storia della compagnia e dalle sue origini in Sudafrica. Nata nel 1917 con le miniere d’oro di Johannesburg, Anglo è un pezzo di storia del Sudafrica. Alla metà degli anni ’90 controllava circa il 40% dell’industria privata del Paese, dai giornali ai vigneti. Oggi il gruppo è il più grande produttore mondiale di platino ed un’azienda globale, una vetrina del Sudafrica nel mondo, oltre ad essere uno dei maggiori datori di lavoro del Paese.
Aspetti che diventano fondamentali nell’anno delle elezioni che, a detta di molti analisti, faranno perdere il potere, dopo trent’anni, all’African National Congress (ANC) di Cyril Ramaphosa.
È comprensibile come il suo principale azionista, l’ente statale sudafricano Public Investment Corporation, non veda alcun affare nell’accordo proposto da BHP che, anzi, prevede l’obbligo per Anglo American di separare le sue partecipazioni in Anglo American Platinum e Kumba Iron Ore: inaccettabile per i sudafricani.
Secondo la proposta di BHP, Anglo verrebbe smembrata, scorporando le sue divisioni sudafricane di metalli di platino e minerale di ferro mentre le altre unità, come i diamanti De Beers, sarebbero sottoposte a una revisione strategica.
La debolezza di Anglo American
Pochi mesi fa Anglo American Platinum (Amplats) ha annunciato il taglio di 3.700 posti di lavoro in Sudafrica nel tentativo di ridurre i costi in una delle divisioni più in difficoltà del gruppo minerario. Controllata da Anglo, Amplats ha dichiarato che ridurrà il suo organico di quasi un quinto, dopo un crollo della redditività a seguito di un forte calo dei prezzi dei metalli del gruppo del platino, che sono utilizzati principalmente nei convertitori catalitici per i veicoli con motore a combustione.
La realtà, tuttavia, si presenta più complessa. Il complesso del Bushveld, una delle regioni più ricche di minerali del mondo che copre circa il 75% della produzione mondiale di platino ed il 40% di quella del palladio, è estremamente dipendente dall’inaffidabile fornitura di energia elettrica Eskom e ciò la costringe a limitare la produzione.
L’azienda pubblica del Sudafrica è infatti estremamente inefficiente a causa di anni di caos gestionale, una flotta di centrali per lo più obsolete, problemi di manutenzione e sabotaggi.
Concorrenza e concorrenti
Ma gli ostacoli alla fusione potrebbero arrivare anche da altri fronti come l’antitrust: il minerale di ferro e il carbone metallurgico potrebbero incontrare l’opposizione di giurisdizioni come l’Unione Europea e il Giappone, mentre un colosso che potrebbe presto produrre quasi il 15% dell’offerta globale di rame entrerebbe in collisione con la Cina.
Inoltre, l’esborso economico di BHP potrebbe dover salire fino a 30 sterline per azione se si manifestassero nuovi acquirenti decisi ad approfittare anch’essi della debolezza di Anglo American.
Oltre alle società mediorientali, come Manara Minerals Investment Co. (joint venture tra Saudi Arabian Mining Company e Public Investment Fund), ricche di liquidità e recentemente emerse come attori fondamentali nel settore dei metalli, anche i maggiori rivali di BHP, come Rio Tinto, Glencore e Vale vedono la crescita dei loro portafogli nel rame come una priorità strategica, esattamente come le compagnie minerarie cinesi.
Oggi tutti i maggiori produttori vogliono aumentare la loro produzione di rame per trarre vantaggio dalla crescente domanda legata alle tecnologie low carbon e digitali ma, l’elefante nella stanza, è la fondamentale disconnessione che si sta sviluppando nel cuore dell’industria mineraria: le fusioni e le acquisizioni che hanno toccato il loro picco decennale nel 2022 non costruiscono nuova offerta questo ruolo spetta, solo, alle nuove miniere.
Giovanni Brussato è ingegnere minerario
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