17 Aprile 2024

CBAM: gli impatti su Europa e Italia

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Il CBAM è uno strumento articolato e complesso, concepito per tutelare l’industria europea mentre l’Unione procede nei suoi sforzi verso la transizione energetica, ma quali sono gli impatti economici per l’Europa e l’Italia? Le risposte nell’articolo di Francesco Martoccia su ENERGIA 1.24.

La lotta ai cambiamenti climatici è per definizione globale e multidimensionale. La cooperazione necessaria per affrontare questa sfida, che trova massima espressione nelle Conferenze delle Parti (COP), si va infatti ad affiancare e non a sostituire alla tradizionale competizione tra i paesi, geopolitica, industriale e commerciale. Ognuna di queste dimensioni comporta degli ostacoli nel percorso di transizione energetica, azioni e reazioni, capaci di rallentarla se non farla deragliare.

Il quadro diplomatico globale è iniziato a deteriorarsi con il ritorno della guerra in Europa per volontà della Russia, sta peggiorando con quello in Palestina, mentre non pare più remota la possibilità di un intervento della Cina a Taiwan, che potrebbe segnare il definitivo crollo dell’ordine post-Guerra Fredda.

La dimensione industriale della transizione pare essere stata seriamente presa in considerazione fin dai primordi della transizione solo dalla Cina, mentre Stati Uniti ed Unione Europea hanno realizzato solo di recente la necessità di colmare questo gap, e tentano di farlo rispettivamente attraverso l’Inflation Reduction Act e il Green Deal Industrial Plan. Strumenti che inevitabilmente creano dei trade-off tra obiettivi climatici e industriali.  

La globalizzazione di fronte al protezionismo: blocchi, deglobalizzazione o glocalizzazione?

Un’ulteriore dimensione della transizione è quella commerciale. La globalizzazione che ha caratterizzato l’ordine economico post-Guerra Fredda ha iniziato a mostrare le sue crepe con l’avvento della pandemia, sebbene queste avessero iniziato ad aprirsi già prima, come abbiamo letto su ENERGIA 3.20 nella riflessione di Jeremy Adelman sulla necessità di ripensare l’interdipendenza economica.

Da quel momento il tema è diventato centrale nel dibattito internazionale, con diverse interpretazioni della fase in atto, tra chi parla di divisione in blocchi e chi di deglobalizzazione disordinata “in cui la dispersione tenderà a prevalere sulle logiche di blocco, con le conseguenti difficoltà che ciò potrà comportare in termini di governance globale”.

Francesco Martoccia, energy strategist di Citi, definisce “glocalizzazione” le dinamiche commerciali attuali, ovvero il “passaggio verso un modello più protezionista” caratterizzato “da una frammentazione globale in cui i paesi rafforzano i legami storici con alleati di fiducia e contemporaneamente cercano di limitare i rivali commerciali attraverso controlli sulle esportazioni e restrizioni agli investimenti internazionali, anche alla luce della crescente frattura tra l’Occidente e il resto del mondo”.

Europa: il CBAM pienamente attuato si concretizzerebbe come una tassa annua di circa 20 mld euro

“In questo scenario complesso”, spiega Martoccia nell’introduzione al suo articolo pubblicato sul nuovo numero di ENERGIA, “sembra volersi inserire il proposto meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Carbon Border Adjustment Mechanism, CBAM)”.

Uno strumento “concepito come un dazio doganale antidumping volto a creare condizioni paritarie tra i produttori europei e quelli di paesi terzi” che “assicura che merci importate, considerate particolarmente inquinanti poiché non conformi agli standard di sostenibilità ambientale dell’UE, ricevano un sovrapprezzo per le emissioni simile a quello imposto ai produttori nazionali”.

L’articolo propone un’analisi approfondita del CBAM, descrive il meccanismo ed evidenzia le importanti sfide che si prospettano per alcuni settori industriali e alcuni paesi, proponendo una stima degli impatti sull’Europa, i paesi membri e, in particolare, l’Italia che risulta tra i più colpiti.

In assenza di una programmazione strategica, avverte Martoccia, la spesa per emissioni aumenterà a livello europeo tendenzialmente fino al 2034. Un’efficace adozione del CBAM richiede quindi un costante monitoraggio e adattamento per mantenere un equilibrio tra la tutela dell’ambiente e la preservazione della competitività economica.

A differenza delle quote di emissione EUA, i certificati elettronici CBAM hanno una scadenza di 30 mesi e non sono soggetti a scambio

L’articolo muove dalla descrizione di come funziona il CBAM: metodologia, settori, fase transitoria (par.1). “Il meccanismo si traduce nell’applicazione di una tariffa doganale sulle emissioni di specifiche merci identificate dai codici del sistema di classificazione tariffaria utilizzato nell’UE. Queste merci appartengono principalmente ai settori del cemento, dei fertilizzanti, dei prodotti chimici (limitatamente all’idrogeno), dei metalli, fra cui ferro, acciaio e alluminio, e dell’elettricità.

Gli importatori nazionali da economie extra-SEE devono acquistare un certificato elettronico CBAM per ogni tonnellata di emissioni incorporata in tali merci. Il prezzo di tale certificato è determinato dalla media mobile settimanale del prezzo di collocamento sul mercato primario delle quote di emissione europee, le EUA (European Union Allowances)”.

Tra il 2026 e il 2030, siderurgia e metallurgia registreranno la più significativa diminuzione di allocazioni gratuite: circa 115 milioni di EUA

Esposto il quadro normativo di riferimento del CBAM, l’articolo analizza alcune ripercussioni, specie sull’EU ETS (par.2) e sugli scambi commerciali (par. 3). Un’analisi puntuale dei singoli settori industriali le cui produzioni ricadono nel perimetro del CBAM, corredata delle relative stime di Citi.

“Di fatto, i certificati elettronici CBAM costituiscono un sistema separato, essendo solo indicizzati al prezzo delle EUA, senza avere tecnicamente alcun impatto diretto su di esse. Tuttavia, le nostre analisi indicano la possibilità di un impatto indiretto sui fondamentali della domanda di bilancio dell’EU ETS derivante da potenziali operazioni di copertura finanziaria sulle quote di emissione EUA”.

“Utilizzando le intensità carboniche fornite dal Joint Research Centre (JRC) e in via preliminare dalla Commissione europea, le nostre stime indicano circa 200 milioni di tonnellate di emissioni importate, di cui circa 17 milioni di tonnellate per il cemento, 27 milioni di tonnellate per i prodotti chimici e i fertilizzanti, 139 milioni di tonnellate per il ferro e l’acciaio e 16 milioni di tonnellate per l’alluminio. È importante notare che nel caso in cui le analisi considerassero l’intero ciclo del carbonio, le emissioni importate salirebbero a circa 166 milioni per il ferro e l’acciaio e a 70 milioni per l’alluminio, che, come abbiamo detto in precedenza, sono produzioni altamente energivore”.

Italia, il CBAM interamente attuato si concretizzerebbe in una tassa annua di oltre 4 mld euro, quasi 6 miliardi nel caso in cui si considerasse l’intero ciclo del carbonio

Un apposito focus è dedicato all’Italia (par. 3.1). “Guardando all’Italia, le nostre analisi suggeriscono che sarebbe più vulnerabile all’introduzione del CBAM, data la sua ampia dipendenza dalle importazioni da paesi extra-SEE delle merci interessate dal meccanismo, pari al 60% sul totale rispetto a una media del 35% per gli altri paesi (Fig. 2, Tab. 1). Le aziende nazionali che utilizzano prodotti coperti dal CBAM come input probabilmente vedrebbero aumentare i loro costi di produzione, sia che continuino a importare dagli stessi paesi extra-SEE o che passino ad altri fornitori nazionali o comunitari”.

CBAM impatti Europa Italia

Nelle riflessioni conclusive (par. 4), Martoccia afferma che “sbaglia chi ritiene che il CBAM sia esclusivamente la risposta protezionista dell’UE alla concorrenza, spesso sleale, estera. Se da un lato il meccanismo scongiurerebbe la concorrenza delle più inquinanti produzioni estere all’interno dei confini del mercato unico, dall’altro la sua combinazione con l’eliminazione graduale delle allocazioni gratuite potrebbe anche comportare un aumento della pressione da parte di quelle produzioni estere caratterizzate da una minore impronta carbonica; pertanto, se non vengono implementate misure aggiuntive, le aziende dell’UE che non intraprendono percorsi di decarbonizzazione e affrontano costi per le emissioni più elevati potrebbero perdere quote di mercato, sia nazionale che internazionale.

Il CBAM si configura dunque come uno strumento più articolato e complesso di come alcuni lo descrivono. La sua applicazione graduale rivela una strategia ponderata per mitigare gli impatti sulle imprese e consentire una transizione graduale verso nuovi equilibri. Tuttavia, le analisi evidenziano sfide importanti per alcuni settori industriali e alcuni paesi. È evidente che il CBAM, pur rappresentando un importante strumento di adeguamento alle sfide ambientali e commerciali, richiede un costante monitoraggio e adattamento per mantenere un equilibrio tra la tutela dell’ambiente e la preservazione della competitività economica”.


Il post presenta l’articolo di Francesco Martoccia Gli impatti del CBAM su Europa e Italia pubblicato su ENERGIA 1.24 (pp. 30-36)

Francesco Martoccia è Energy Strategist presso Citi



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