22 Aprile 2024

Direttiva Case Green: i nodi da sciogliere

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Il testo approvato della Direttiva Case Green ne aumenta la flessibilità per gli Stati, ma non le difficoltà economiche delle famiglie; per questo il Governo sta lavorando sulla riorganizzazione del piano di incentivazione secondo priorità e premialità; restano tuttavia dei nodi da sciogliere, come quello relativo alle pompe di calore.

Il 12 aprile il Consiglio Ecofin (Consiglio Economia e Finanza) ha dato il via libera definitivo alla nuova Direttiva EPBD, acronimo di Energy Performance of Buildings Directive, in Italia nota come “Direttiva Case Green” che, approvata dal Parlamento europeo lo scorso 12 marzo è ora pronta ad essere pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea e ad essere recepita entro due anni dai Paesi membri.

Il testo finale, già approvato il 15 gennaio 2024 dalla Commissione Itre Industria prevede che tutti gli edifici non residenziali dovranno ridurre il consumo medio di energia primaria del 16% entro il 2030 e del 26% entro il 2033. Per gli edifici residenziali invece, i target prevedono la riduzione del consumo di energia primaria del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035.

Una nuova e più “rilassata” formulazione

Il testo approvato è il frutto di un’intensa negoziazione avviata dai vari Stati membri che ha, complessivamente, determinato un “rilassamento” dei più stringenti obiettivi previsti dalla precedente formulazione della Direttiva che prevedeva, per gli edifici non residenziali e quelli di proprietà pubblica il raggiungimento della classe energetica E dal 2027 (D al 2030), mentre per il residenziale la classe energetica E al 2030 e la D al 2033 (si veda l’analisi di Rse pubblicata su ENERGIA 2.23, ndr).

Ora che centralmente sono stati definiti i criteri – anche se rimangono ancora da chiarire alcuni aspetti tecnici – spetta agli Stati membri stabilire come procedere e come definire la traiettoria che, progressivamente dovrebbe portarli a realizzare e completare l’obiettivo al 2050 di un parco immobiliare a emissioni zero.

È un obiettivo molto sfidante che prevede, nelle more del testo, alcune misure di flessibilità, a discrezione dei singoli Stati, come ad esempio di non applicare le norme minime di prestazione energetica per alcune categorie edilizie (tra cui gli edifici vincolati, i luoghi di culto, i fabbricati temporanei o edifici residenziali utilizzati per un periodo limitato dell’anno, ecc) o laddove la ristrutturazione non sia tecnicamente o economicamente fattibile.

Occorre, inoltre, evidenziare che, per il settore terziario, gli obiettivi della Direttiva EPBD si aggiungono, o si potrebbe dire sono in competizione, con quelli a loro volta indicati dalla Direttiva EED III (EU) 2023/1791 in materia di riqualificazione degli edifici pubblici: ciascuno Stato membro, infatti, dovrà inoltre garantire che almeno il 3 % della superficie coperta utile totale degli edifici riscaldati e/o raffrescati di proprietà dei suoi enti pubblici debba essere ristrutturato ogni anno per trasformarli in edifici a emissioni zero.

Primo passo: calcolare il consumo medio di energia primaria dell’intero parco immobiliare residenziale

Torniamo, dunque al tema EPBD; quali sono i prossimi passi da fare e che vedono le istituzioni impegnate?

Occorre, in primis, definire l’asticella di partenza, ovvero calcolare l’attuale soglia di consumo medio di energia primaria dell’intero parco immobiliare residenziale, cui fare riferimento per calcolare i target da raggiungere, a breve nel 2030 e 2033 e, infine, per il 2050.

Formalmente in Italia tale dato è riconducibile ai valori definiti dall’attestato APE, acronimo di Attestato di Prestazione Energetica, ma che, come noto, è obbligatorio solo per determinati casi (compravendita, ristrutturazione…) e che ha “sfumature” diverse sul territorio; quindi ad aprile 2024 si contano poco più di 5,6 milioni di attestati che rappresentano solo il 6% del delle unità immobiliari, prevalentemente emessi in zona climatica E.

Una visione ad oggi non completa del parco immobiliare esistente che potrebbe portare presumibilmente ad una stima non rappresentativa della prestazione energetica complessiva del patrimonio italiano. A tal ragione si stanno mettendo in campo possibili soluzioni per integrare tali dati con altre banche dati pubbliche che potrebbero dare una visione più precisa del quadro.

Secondo passo: definire strategie, priorità e misure

Una volta definiti gli obiettivi occorre procedere alla definizione delle strategie e relative misure che devono privilegiare gli interventi di riqualificazione degli edifici residenziali con le prestazioni peggiori; la ristrutturazione del parco immobiliare residenziale dovrà partire infatti dall’efficientare il 43% degli edifici residenziali più energivori in modo da permettere la riduzione di almeno il 55% del consumo medio di energia primaria.

Operazione che risulta essere ancora più complessa a causa di una incertezza della normativa sulla modalità di calcolo del consumo medio di energia primaria, che, a seconda delle interpretazioni che verranno date, potrebbe “costringere” a scelte diverse, con differenti impatti e costi.

Vediamo dunque di che si tratta: il tema oggetto di discussione è come calcolare “l’energia primaria”, che la Direttiva Case Green definisce all’articolo 2 come l’energia da fonti rinnovabili e non rinnovabili che non ha subito alcun processo di conversione o trasformazione.

L’obiettivo delle Direttive europee per il contrasto dei cambiamenti climatici è la riduzione della CO2; tale obiettivo si ottiene prevalentemente attraverso la riduzione del consumo di energia primaria non rinnovabile (dovuta all’impiego dei combustibili fossili).

Come considerare le pompe di calore? Non un dettaglio o una questione da poco

A tale riguardo un notevole contributo potrà essere fornito da una maggiore diffusione dei sistemi a pompa di calore che, oltre ad essere efficienti, prelevano il calore dell’ambiente circostante per soddisfare il fabbisogno dell’abitazione, che, a sua volta, lo disperde nell’ambiente. Il punto è questo: non è chiaro, al momento se ai sensi delle prescrizioni della Direttiva tale valore di calore ambiente debba essere o meno contabilizzato nel computo dell’energia primaria.

Non un dettaglio o una questione da poco: vediamo l’impatto che ne potrebbe derivare, attraverso un semplice esempio.

Partiamo dall’ipotesi di considerare una generica abitazione con un fabbisogno di 100 kWh/m2. L’energia primaria totale è data dalla somma dell’energia primaria rinnovabile e quella non rinnovabile:

EP,tot = EP,ren + EP,nren [kWh]

Se l’abitazione fosse alimentata da una caldaia a gas non avremo energia primaria rinnovabile EP,ren =0ed il nostro consumo di energia primaria sarebbe pari a 105 kWh/m2.

Se invece, nella stessa abitazione si installasse un impianto solare fotovoltaico con pompa di calore, nell’ipotesi, estremamente ottimistica, di avere il 100% di autoconsumo, la quota di energia primaria non rinnovabile si azzererebbe, avendo solo EP,ren. L’ energia primaria complessiva ottenibile senza considerare il contributo del calore ambiente porterebbe a una riduzione del 68% rispetto all’ipotesi della caldaia. Considerando anche il calore ambiente il risparmio si ridurrebbe del 5% come mostrato in figura.

In quest’ultimo caso, pur azzerando le emissioni (energia primaria non rinnovabile=0), non si raggiungerebbero gli obiettivi EPBD al 2030 nemmeno applicando questa soluzione all’intero parco edilizio.

Poiché la strategia nazionale prevista anche dal PNIEC prevede un ruolo chiave delle pompe di calore per la decarbonizzazione dei consumi è evidente che la diversa interpretazione potrebbe compromettere significativamente l’impatto di tale misura richiedendo una completa rivisitazione della strategia adottata.

Direttiva Case Green Governo
Esempio del calcolo del fabbisogno di energia primaria per la riqualificazione di un’abitazione con un fabbisogno di 100 kWh/m2
Fonte: Rse

Fermo restando l’obiettivo di azzeramento delle emissioni di CO2, è importante che il calore ambiente così come l’energia rinnovabile in sito non siamo conteggiate all’interno dell’indicatore di energia primaria totale; sarebbe opportuno piuttosto riferirsi in modo esplicito alla quota di energia primaria non rinnovabile.

Sul tema però ciascuno Stato membro avrà la possibilità di individuare norme minime di prestazione energetica per gli edifici, definendo per il non residenziale un indicatore numerico del consumo di energia primaria o finale garantendo che tali edifici non superino le soglie massime di prestazione energetica stabilita rispetto alla base del parco immobiliare non residenziale al 1° gennaio 2020.

Aumenta la flessibilità della Direttiva, ma non le difficoltà economiche delle famiglie

La nuova EPBD non parla quindi di requisiti minimi stringenti ma di piani per la riduzione dei consumi del patrimonio edilizio; ne è riprova l’introduzione del concetto di “passaporto dell’edificio”, uno strumento in cui tener traccia del progressivo efficientamento dell’edificio. Si deve infatti pensare ad una tabella di marcia in cui indicare le graduali fasi di ristrutturazione degli edifici che ci porteranno dal 2020, considerato come l’anno di riferimento, al 2050, anno nel quale bisognerà avere un patrimonio edilizio a zero emissioni.

Questa “flessibilità”, tuttavia, non supera le difficoltà economiche delle famiglie di dover mettere mano al proprio portafoglio per adeguare le abitazioni.

L’idea del Governo, priorità e premialità

Consapevole di ciò, per implementare la Direttiva Case Green, il Governo sta infatti lavorando, compatibilmente con la limitata disponibilità di risorse pubbliche, alla definizione di una riorganizzazione del piano di incentivazione, in grado di semplificarne l’accesso e di dare la giusta spinta all’efficientamento del patrimonio immobiliare esistente pur conscio delle difficoltà date da un parco vetusto.

L’idea di base, in corso di finalizzazione, è quella di prevedere premialità per i casi e per gli interventi abilitanti al processo di transizione. Particolare attenzione verrà inoltre data alle famiglie vulnerabili e alle persone in condizioni di povertà energetica.

Il tempo a disposizione è breve ed occorre stimare il miglioramento progressivo del patrimonio edilizio italiano per step secondo chiare priorità di intervento e attente analisi costi-benefici, magari ragionando in modo differenziato con interventi mirati alle differenti zone climatiche presenti in Italia.


M. Borgarello,  L. Croci, M.F. Talamo, E. Brugnetti, F. D’Oria fanno parte del Gruppo Efficienza Energetica di Rse


Foto: Unsplash

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