21 Maggio 2024

Petrolio: “sell in May and go away”?

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Le dinamiche del petrolio di inizio maggio sono guidate da una concomitanza di fattori ribassisti: allentamento dei rischi geopolitici, offerta adeguata, tassi di interesse stabili negli Stati Uniti. È tuttavia prematuro ritenere questa tendenza duratura.

“Sell in May and go away”, “vendi in maggio e parti (in vacanza)”. Nelle sale di trading e nei front office, ad ogni primavera si ripete questo detto, nato per ricordare scherzosamente come nel corso dei mesi estivi una liquidità spesso inferiore alla media annua possa contribuire a ridurre l’appetito per il rischio e favorire una stagionalità negativa per i rendimenti dei mercati azionari.

Questo vecchio adagio è largamente ignorato nel mondo petrolifero, che al contrario attraversa una fase di intensa attività di raffinazione e di accumulo di scorte proprio in tarda primavera, in preparazione della “driving season”, ovvero della stagione di picco dei consumi di petrolio che tradizionalmente inizia a fine maggio, con il Memorial Day negli Stati Uniti.

Le medie mensili di lungo periodo suggeriscono che effettivamente i prezzi di greggio e derivati hanno spesso beneficiato di una stagionalità positiva da marzo a luglio, sebbene non sia stato così negli ultimi cinque anni, quando sconvolgimenti senza precedenti hanno impattato il mondo energy, né in queste prime settimane di maggio 2024, quando in soli 14 giorni il petrolio Brent ha bruciato oltre metà dei guadagni registrati da inizio anno. (Considerando come riferimento il contratto future ICE Brent crude sul primo mese, in dollari al barile, dal 1 al 15 maggio, il Brent ha perso circa il 7%, riducendo la performance da inizio anno ad appena il 6%.)

Russia, Medio Oriente, Opec+: vari fattori hanno contribuito a raffreddare le quotazioni

Vari fattori hanno contribuito a raffreddare le quotazioni. Il mercato percepisce innanzitutto un allentamento dei rischi geopolitici. Infatti, l’implementazione delle sanzioni occidentali contro il commercio russo di idrocarburi ha causato importanti distorsioni dei flussi commerciali, allontanando volumi dall’Europa a vantaggio di Cina e India, ma non ha sinora portato ad un drastico calo della produzione russa di greggio o derivati. A fine aprile, si era inoltre diffusa la notizia che gli Stati Uniti avrebbero esteso di altri sei mesi (sino al 1° novembre) l’autorizzazione ad effettuare transazioni legate al commercio di materie prime energetiche con una decina di banche ed intermediari finanziari russi, inclusa la Banca Centrale. Di conseguenza, gli operatori finanziari stanno prezzando una minore probabilità che, almeno per quest’anno, le sanzioni occidentali contro la Russia causino un significativo deficit sul mercato mondiale.

Al contrario, li preoccupa maggiormente la possibilità che un mancato accordo in seno all’Opec+ possa portare alla totale o parziale dismissione degli attuali tagli di produzione (obbligatori o volontari) e di conseguenza che l’offerta mondiale possa aumentare ben oltre le effettive capacità di assorbimento del mercato.

Guardando al Medio Oriente, secondo fronte critico nel panorama geopolitico mondiale, sembra che le tensioni si stiano allentando, dopo le gravi escalation registrate in aprile. Infatti, per la prima volta nella storia abbiamo assistito ad un attacco diretto dell’Iran a Israele e alla successiva ritorsione israeliana, che ha colpito una base militare nei pressi della centrale nucleare di Isfahan. Fortunatamente, nonostante questi gravi episodi, sembra che ulteriori escalation possano per il momento essere scongiurate poiché tutti gli attori coinvolti preferirebbero mantenere il conflitto su scala locale. Inoltre, sinora non si sono registrati impatti negativi nel settore upstream, poiché non sono state direttamente coinvolte né danneggiate le infrastrutture energetiche ed estrattive nell’area.

Al contrario, sembra si stiano intensificando gli sforzi internazionali volti a raggiungere una possibile tregua a Gaza. Un simile accordo contribuirebbe a ridurre ulteriormente il premio al rischio incorporato nei prezzi del petrolio poiché un (pur temporaneo) cessate il fuoco contribuirebbe sia a ridimensionare i rischi alle infrastrutture oil&gas nell’area mediorientale, sia a favorire una ripresa, almeno momentanea, dei flussi commerciali attraverso il Mar Rosso. Ciò migliorerebbe le forniture di petrolio e derivati verso l’Europa, poiché diminuirebbe i tempi di trasporto dei prodotti petroliferi, e ridurrebbe i consumi di carburanti marittimi, dato che non sarebbe più necessario compiere traversate più lunghe, a velocità più elevate.

Infatti, si stima che la crisi del Mar Rosso abbia allungato tempi di navigazione per i flussi fra Europa ed East of Suez (Medio Oriente e Asia) di circa 7/15 giorni a seconda delle tratte poiché le rotte alternative richiedono di itinerari più lunghi attraverso il Capo di Buona Speranza. Per citare qualche esempio, in termini di miglia nautiche, circumnavigare l’Africa significa allungare le rotte del +749% da Gedda al Pireo, e del +74% da Ras Tanura a Rotterdam.

Un’offerta mondiale più che adeguata a soddisfare la domanda

In secondo luogo, gli ultimi report mensili pubblicati a inizio maggio da International Energy Agency (IEA) e US Energy Information Administration (EIA) suggeriscono che probabilmente nei prossimi sei trimestri l’offerta mondiale di petrolio sarà più che adeguata a soddisfare la domanda. Infatti, nonostante tutti i previsori si attendano che i consumi mondiali possano crescere e registrare nuovi record, sia IEA che EIA hanno rivisto al ribasso le stime di domanda mondiale, sottolineando il rischio di consumi più deboli delle attese sia nei Paesi occidentali che in Cina, e ritengono probabile che il mercato mondiale possa tornare in surplus nel 2025, dopo un modesto deficit nel 2024.

Ad esempio, nell’ultimo Short-Term Energy Outlook (STEO) pubblicato il 7 maggio, l’EIA prevede che dopo un deficit di circa 0,1 milioni di barili al giorno (mb/g) nel 2023 (rivisto al ribasso da una precedente stima di un deficit di 0,2 mb/g pubblicata in aprile), il mercato mondiale del petrolio potrebbe registrare un deficit di 0,1 mb/g in 2024 (rivisto al ribasso da un deficit di 0,3 mb/g) e un surplus di 0,4 mb/g nel 2025 (rivisto al rialzo da un surplus di 0,3 mb/g). Guardando alle previsioni trimestrali, l’EIA si attende un deficit pari a 0,4 mb/g nel 2° trimestre 2024 (ben inferiore alla stima di aprile di un deficit di 0,9 mb/g) e successivamente surplus in espansione, sino ad oltre 0,5 mb/g negli ultimi trimestri del 2025.

“Sell in May and go away” anche sui mercati petroliferi?

Quindi, “sell in May and go away” anche sui mercati petroliferi? La correzione di inizio maggio è stata guidata da una concomitanza di fattori ribassisti, in primis un allentamento dei rischi geopolitici (e una conseguente riduzione del premio al rischio incorporato nelle quotazioni del petrolio) proprio quando i più seguiti report mensili descrivevano mercati ben forniti, e si allontanava la prospettiva di un imminente taglio dei tassi di interesse di riferimento negli Stati Uniti.

Tuttavia, a nostro avviso non ci sono ancora le basi per scommettere su un duraturo trend ribassista di Brent e WTI. Infatti, l’Opec+ non sembra interessata ad abbandonare il controllo della produzione (e dei prezzi) e, a nostro avviso, continuerà ad adottare politiche proattive volte a mantenere il mercato in equilibrio, contribuendo quindi a limitare il rischio di correzioni troppo ampie.

Ricordiamo sempre che la priorità strategica dei Paesi mediorientali, Arabia Saudita in primis, resta la diversificazione della propria economia, in anticipazione del futuro picco dei consumi mondiali di idrocarburi, che riteniamo possa avvenire verso la seconda metà del prossimo decennio. Per questo, è desiderabile che il prezzo del petrolio resti non solo elevato, su un livello che sia accettabile sia per i produttori che per i consumatori (per non accelerare la transizione energetica già in corso), ma soprattutto il più stabile possibile, per garantire rendite prevedibili e continuare ad attrarre gli investimenti internazionali, essenziali per diversificare le economie e renderle più resilienti ai cambiamenti epocali che le attendono. 

68-98 dollari, il range del Brent per i prossimi mesi secondo Intesa Sanpaolo, con rischi  sbilanciati al rialzo

Per questo motivo, nel nostro scenario di base, prevediamo che il petrolio Brent possa mantenersi nei prossimi mesi all’interno di un trading range relativamente ampio, con un supporto in area 68-72 dollari, e una resistenza in area 95-98 dollari. Al momento, stimiamo un prezzo medio di circa 82 dollari per il 2024 e di 78 dollari per il 2025, leggermente più elevato rispetto alle stime di consenso riportate da Bloomberg per il 2024 (pari a circa 80 dollari al momento in cui scriviamo) e il 2025 (circa 76,5 dollari).

Riteniamo che i rischi che gravano sulle nostre previsioni siano sbilanciati al rialzo e siano legati allo sviluppo dei conflitti in corso, all’evoluzione di politiche energetiche, commerciali e monetarie, nonché all’esito delle prossime elezioni in Europa e negli Stati Uniti.

In particolare, ci sono purtroppo ampi spazi di peggioramento negli equilibri geopolitici mondiali, e sia in Russia che in Medio Oriente resta il rischio di attacchi o sabotaggi alle infrastrutture, che potrebbero portare ad improvvise diminuzioni della produzione di greggio o prodotti derivati, e di nuovi problemi al transito attraverso choke point vitali per il commercio mondiale, non ultimo lo Stretto di Hormuz, il più importante al mondo per i flussi energetici poiché vi transitano circa il 30% del commercio mondiale di petrolio e il 20% di GNL (Dati aggiornati ai primi dieci mesi del 2023).

In termini di volumi, ciò corrisponde a circa 20,3 mb/g di petrolio, per il 70% diretto in Asia. Nell’ipotesi estrema di una chiusura di questo Stretto, solo 6,5 mb/g potrebbero essere spediti attraverso rotte alternative grazie ad oleodotti che arrivano al Mar Rosso e al Golfo di Oman. Secondo le nostre stime, questo ammanco di circa 14 mb/g rappresenterebbe a uno shock speculare rispetto a quanti vissuto nei primi mesi della crisi Covid e spingerebbe velocemente il Brent al di sopra dei 140 dollari al barile.

È evidente che lo scenario geopolitico resti costellato da molti elementi di incertezza. È ancora troppo presto per partire in vacanza.


Daniela Corsini è Senior Economist – Commodities, Direzione Studi e Ricerche, Intesa Sanpaolo


Foto: Unsplash

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