Anche se caratterizzate da una velocità ben superiore, Achille (le crescenti rinnovabili) non riesce a raggiungere la tartaruga (le fossili) neppure nel fronte elettricità nel quale sono più forti e presenti, così che le emissioni continuano a crescere. Finché anche solo un 1% della crescente domanda elettrica verrà soddisfatta dalle fossili, le emissioni del settore aumenteranno.
Piccolo problema mondiale: l’elettricità rappresenta la variabile chiave della transizione energetica, ma le sue emissioni crescono.
L’intero processo della transizione poggia, infatti, sull’idea che progressivamente l’elettricità venga decarbonizzata e contestualmente cresca la sua quota all’interno dei consumi energetici. Decarbonizzazione sul lato della dell’offerta e penetrazione sul lato della domanda rappresentano dunque i due pilastri fondamentali della transizione energetica.
Concentriamoci sul primo.
Lo scorso anno, il mondo si era trovato di fronte alla strana situazione di un minimo storico di intensità carbonica dell’energia elettrica e di un massimo storico delle emissioni assolute. Questo apparente paradosso si spiega con il fatto che, se anche la torta elettrica diventa meno carbonica, le emissioni possono risultare in crescita perché la dimensione della torta stessa aumenta (si rimanda a La fetta fossile della torta elettrica, 5 Maggio 2023).
Per ridurre le emissioni nell’elettrico, le low carbon devono coprire oltre il 100% della crescita della domanda elettrica
La decarbonizzazione sul lato della generazione non è pertanto in grado di compensare la crescita delle emissioni dovute all’incremento della domanda elettrica. Affinché ciò avvenga è necessario che la crescita della domanda elettrica annuale sia soddisfatta in misura superiore al 100% dalla crescita della generazione elettrica green.
Purtroppo, ciò non sta accadendo: la crescita di solare ed eolico ha coperto solo l’82% della crescita della domanda elettrica, lasciando lo spazio residuo ai fossili (vedi figura): di qui la crescita della CO2. L’82% del 2023 rappresenta un 5% in più rispetto al 2022, anno nel quale le rinnovabili si erano attestate sul 77% della crescita della domanda: l’incremento è certamente positivo ma non sufficiente.
Ci troviamo di fronte a una specie di paradosso di Zenone nel quale il piè veloce Achille, ovvero le crescenti rinnovabili, non riescono a raggiungere la tartaruga delle fossili, anche se caratterizzate da una velocità ben superiore (immagine peraltro già usata su questo blog da Alberto Clò) soprattutto nel fronte elettricità, così che le emissioni continuano a crescere. Finché anche solo un 1% della crescente domanda elettrica verrà soddisfatta dalle fossili, le emissioni aumenteranno: è aritmetica.
L’Achille (delle rinnovabili) e la tartaruga (delle fossili)
Il recente, preziosissimo, rapporto pubblicato da Ember (Global Electricity Review 2024) descrive in modo limpido la situazione in cui versa l’elettrico mondiale, ovvero una crescita straordinaria, ma insufficiente, delle rinnovabili.
In particolare, trainate da solare ed eolico, le rinnovabili hanno raggiunto un record di generazione elettrica pari al 30%, valore mai raggiunto in precedenza (+ 23% solare, + 10% eolico).
Tuttavia, contestualmente anche la generazione da fossili è cresciuta dello 0,8%: risultato finale, la torta è più grande e le emissioni crescono anche quest’anno. Achille non riesce a raggiungere la tartaruga.
Nel report dello scorso anno (Global Electricity Review 2023) Ember aveva stimato una riduzione delle emissioni di CO2 dell’elettrico nel 2023, purtroppo esse sono cresciute dell’1%, riproponendo la situazione paradossale del minimo storico di carbonio contenuto in un’unità di elettricità generata, associato al massimo storico di emissioni assolute (vedi figura).
Perché è così difficile ridurre le emissioni proprio sul terreno di solare ed eolico?
A questo punto occorre chiedersi perché è così difficile ridurre le emissioni, proprio nel settore caratterizzato dalla maggiore penetrazione delle fonti green. Non solo, una volta individuate le cause dell’attuale stato di cose è bene comprendere in che misura esse sono transitorie e dunque facilmente rimovibili oppure strutturali. Qui ne citeremo quattro che ci sembrano particolarmente rilevanti.
- Uno, le fonti fossili sono resilienti. È vero che il loro contributo alla crescita della domanda elettrica è passato dal 3,5% del periodo 2004-2013 all’1,3% del periodo 2014-2023. E tuttavia siamo ancora distanti dalla loro stabilizzazione e men che meno dal loro decremento, come si può vedere dalla figura seguente: la fetta green cresce, certo, ma non a sufficienza.
- Due, l’eolico non contribuisce all’espansione delle fonti green come dovrebbe. Per il secondo anno consecutivo, il suo contributo alla generazione elettrica è diminuito. In particolare, la produzione eolica è diminuita negli Stati Uniti, per la prima volta dal 2001 (-9,1 TWh, -2,1%). Le condizioni di vento debole hanno dato luogo a fattori di carico vicini ai livelli più bassi visti negli ultimi cinque anni.
- Tre, la produzione globale di energia idroelettrica è scesa al minimo quinquennale di 4.210 TWh. Sebbene l’idro sia ancora la fonte green più grande, la sua quota nel mix elettrico mondiale è scesa di 0,6 punti percentuali, al 14,3%, il livello più basso dal 2000. Ciò è accaduto nonostante la costruzione di nuove dighe (+7 GW nel 2023). La causa principale del calo dell’idro è stata la siccità che ha colpito diverse regioni (Asia, -5,9%; Nord America, -7,4%).
- Quattro, la crescita della capacità non equivale alla crescita della generazione, poiché la prima non si trasforma automaticamente nella seconda. In particolare, nel 2023, la capacità solare è cresciuta del 36% ma la generazione solo del 23%.
Un ottimismo difficile da condividere
Ora, di fronte a questo stato di cose, Ember conserva un certo grado di ottimismo adducendo la mancata riduzione delle emissioni alla crisi dell’idroelettrico dovuta alla siccità. Si può anche aderire alla tesi della natura transitoria dell’insufficiente espansione delle fonti green, segnatamente siccità e venti fiacchi. E si può anche escludere, per ipotesi, che questi fenomeni siano l’esito strutturale dei cambiamenti climatici. Tuttavia, anche in questo caso è difficile condividere l’ottimismo di Ember circa il processo di decarbonizzazione.
Seppure si raggiungesse il picco delle emissioni nell’anno corrente, la strada da percorrere verso net zero sarebbe ancora lunghissima. Il grafico seguente descrive meglio di mille parole il gap smisurato che ci divide da quel traguardo.
Certo, si può affermare – come fa sia Ember che la IEA – che se le rinnovabili non si fossero espanse, le emissioni sarebbero state ancora più ampie, oppure che la velocità di crescita delle rinnovabili è senza precedenti. Tuttavia, rimane il fatto che la struttura attuale della generazione elettrica poggia su uno zoccolo cospicuo di natura fossile: ridurlo progressivamente, ed eliminarlo, è oltremodo difficile.
Come ha più volte sottolineato Vaclav Smil, una delle barriere più ardue da superare nella transizione energetica è la scala dei cambiamenti necessari e lo scarso tempo a disposizione: “the combination of scale and speed is the greatest factor making the unfolding transition so taxing”. Non è possibile, purtroppo, rivoluzionare in tre decenni una struttura energetico-industriale sviluppatasi in quasi due secoli di storia. Pensarlo è molto ingenuo: ce lo insegnano i numeri, prima di tutto.
No mitigation without adaptation
E allora? Si chiederà il lettore. Cos’è che occorre fare?
Il pessimismo non è una risposta, siamo concordi con il lettore. La prima cosa, però, è riconoscere l’estrema difficoltà dell’operazione congetturata sui tavolini delle COP. Farlo eviterebbe voli pindarici, sogni green irrealizzabili.
In secondo luogo, ammettere che i tempi della transizione sono più lunghi di quanto previsto rappresenta un implicito riconoscimento di un’opzione di crescente importanza: l’adattamento.
Occorre organizzarsi per tempo per far fronte a fenomeni climatici di intensità crescente, e farlo sarà più semplice se si riconoscerà che i tempi di net zero non sono quelli che avevamo immaginato e che bisogna, quindi, prepararsi al peggio. (Il tema dell’adattamento è approfondito dall’Autore in un saggio in uscita sul numero 2.24 di ENERGIA, ndr)
Gli scenari normativi descrivono un possibile percorso green – virtuoso e auspicabile, certo – ma nello stesso tempo virtuale, potenziale, quasi astratto se decontestualizzato dalla variabile tempo, la più rilevante oggi.
Ecco, riconoscere che i tempi saranno più lunghi del previsto, e che una pluralità di opzioni è necessaria a fronteggiare il nemico, può indurci a una maggiore flessibilità di azione, all’apertura, a fuggire in ultimo dall’assoluto delle rinnovabili.
Per citare la celebre frase di Nietzsche, “tutto ciò che è assoluto appartiene alla patologia”.
Enzo Di Giulio è economista ambientale e membro del Comitato Scientifico di ENERGIA
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Foto: Pixabay
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