Nuovi target e politiche adottate negli ultimi anni hanno accelerato considerevolmente lo sviluppo delle rinnovabili in Italia. Sembra quasi paradossale, ma l’andamento mostra l’anticipo dell’Italia rispetto ad alcuni target rinnovabili molto ambiziosi.
Continua spedita la corsa delle rinnovabili nel mondo, quella del solare più che mai: lo stesso anche in Italia, seppur meno che altrove, con le fonti verdi che fanno ora fronte ad oltre il 40% dei consumi elettrici nazionali.
Quest’anno, l’ulteriore capacità installata potrebbe arrivare a 8 GW, poco meno del triplo di quella aggiunta solo due anni fa, a riprova del fatto che il tanto invocato “cambio di passo” non si è fatto attendere e con ogni probabilità è destinato a farsi ancora più deciso.
Già con questa andatura potremmo arrivare quasi a raddoppiare in sette anni la capacità rinnovabile esistente, realizzando poco meno di 60 nuovi GW, e quindi a centrare quello che non più tardi del 2022 è stato assunto a livello nazionale come scenario previsionale di riferimento, con oltre 120 GW di capacità rinnovabile attesa al 2030. Peraltro, decisamente di più dei 95 GW previsti dalla prima traiettoria che il nostro Paese aveva proposto in sede UE (PNIEC 2019).
Eco-ansia ed obiettivi ambiziosi
Tuttavia, gli appelli alla nostra eco-ansia continuano ad aumentare: “siamo sempre più indietro”, è il leit motiv di ogni giorno. Sempre più lo strascico di ogni nuovo evento climatico estremo viene rilanciato verso il nostro senso di colpa, perché in Italia “non facciamo abbastanza”: le recenti veementi reazioni all’ormai celebre Dl Agricoltura ne sono un esempio.
Così nei mesi scorsi quel target di capacità di generazione da fonti rinnovabili in Italia è stato rivisto più volte: prima accresciuto ad oltre 130 GW, con la nuova traiettoria proposta alla UE (PNIEC 2023), poi portato ad oltre 140 GW, secondo i successivi richiami ad un impegno meno “timido” in tema Green Deal (Piano ‘30, Elettricità Futura) e infine coraggiosamente da poco rialzato ad oltre 200 GW, sull’onda dell’ultimo G7 Ambiente a guida italiana.
In quest’ultimo caso, di certo arduo, significherebbe riuscire ad anticipare un obiettivo fissato per circa quindici anni dopo: cioè vorrebbe dire far accadere in soli sette anni ciò che il sistema elettrico si è invece predisposto ad affrontare in circa ventidue anni, già così al prezzo di investimenti senza precedenti. Per la rete di trasmissione, ad esempio, è in corso un imponente piano di interventi, che prevede 16,5 miliardi di euro solo da qui al 2028.
Eppure, quello scenario di riferimento doveva rappresentare la quadratura per consentirci di rispettare i dettami del pacchetto legislativo UE Fitfor55 ed ha poi costituito la base per la pianificazione dello sviluppo complessivo del nostro sistema elettrico (Piano Rete, Terna 2023).
Un paese in insospettabile anticipo
E rispetto a quella tabella di marcia potremmo addirittura ritenerci in anticipo, visto che le proiezioni dell’“intertempo” al 2028 (Rapporto Adeguatezza ‘23, Terna), ancora a dicembre, prospettavano una capacità attesa di eolico e solare inferiore a quella che stiamo traguardando.
In più, dovremmo aver acquisito un significativo vantaggio in termini di consumi zero carbon, alla luce del fatto che i fabbisogni elettrici nel frattempo sono scesi, anziché aumentare, e lo scorso anno sono tornati a livelli vicini a quelli dell’anno del Covid: quindi sotto del 20% rispetto alle nostre previsioni e ancora di più rispetto a quelle originarie dell’UE.
Intendiamoci: che lo sviluppo delle rinnovabili acceleri è decisamente una buona notizia. Il fatto è che il sistema elettrico andrebbe messo in grado di governare al meglio questo sviluppo e mantenersi in un equilibrio tecnico/economico il più possibile ottimale: per cui sarebbe bene pianificare tutto in maniera integrata e uniforme.
Prendiamo sempre le proiezioni Terna di dicembre: quasi 143 GW di rinnovabili a fine 2033. Nei fatti è possibile che ci si arrivi tre anni prima, a patto di realizzare circa 85 GW di nuove rinnovabili per fine decennio (inclusi 8 GW soggetti ad obsolescenza), ovvero di aumentare l’attuale andatura più del 50% e di guadagnare terreno di conseguenza a livello del “numeratore”.
Bisognerebbe però che in parallelo accelerasse il piano di interventi in corso per l’adeguamento della rete, quantomeno in modo da minimizzare le congestioni e abilitare il trasporto efficiente dell’energia addizionale in ingresso, tutta non programmabile: potrebbe significare dover condensare in sette anni un piano di opere già molto sfidante da completare in dieci anni e dispiegare entro il 2030 uno stock di investimenti che potrebbe sfiorare i 30 miliardi di euro.
Poi occorrerebbe che accelerasse anche lo sviluppo degli impianti di accumulo, essenziali per contenere l’overgeneration, oltre che per assicurare flessibilità al sistema a rimpiazzo della generazione convenzionale: vorrebbe dire dover aggiungere entro il 2030 nuovi accumuli di grande taglia per circa 12 GW, cioè un terzo in più di quanto prima previsto, partendo praticamente da zero. Per lo stesso motivo dovrebbe affrettarsi a decollare quanto prima anche l’idrogeno verde, che per ora ancora stenta.
I segni profondi della crisi energetica
Uno scenario possibile, dicevamo: però impegnativo e da predisporre per tempo, piuttosto che da rincorrere.
E poi ci sono i fabbisogni: come detto, non sono cresciuti, nonostante la fase di ripresa economica del Paese, e anche i primi quattro mesi di quest’anno mostrano un andamento praticamente piatto.
Questa è un’altra buona notizia, almeno in parte. Può infatti indicare che la recente crisi energetica ha lasciato il segno e che, anche per questo, i comportamenti di consumo stanno diventando più virtuosi; ma senz’altro rivela la lentezza con cui sta avanzando il processo di elettrificazione della domanda di energia: cosa che peraltro non migliora con il sovra-eccesso di rinnovabili, anzi. L’aumentata ricorrenza dei casi di curtailment e di prezzi negativi in altri paesi europei sta a dimostrarlo.
Del resto, lo stesso nuovo PNIEC stima un livello al ribasso per i fabbisogni elettrici al 2030 e, ad esempio, assume che i veicoli elettrici in Italia arrivino per allora a 6,6 e non a 10,5 milioni. Certo, in compenso ora c’è da considerare l’esplosione del nuovo fenomeno dell’IA, solo due anni fa ancora trascurato.
Ma pur assumendo che l’intero aumento della domanda inizialmente previsto (37 TWh a partire dal 2019) possa ancora avere luogo, sebbene in quattro anni di meno, neppure quel livello ribassato sarebbe alla nostra portata e ci si fermerebbe a quanto previsto invece per il 2028 (343 TWh complessivi).
Sarà facile che al 2030 si arrivi ancora più in basso di così, soprattutto se non giocheranno a favore altri macro-fattori esogeni, come il trend del PIL e quello della popolazione, ma in ogni caso potremmo già considerare nel nostro mirino un vantaggio di almeno due anni a livello di “denominatore”: la quota di rinnovabili sui fabbisogni elettrici dovrebbe perciò atterrare in un intorno compreso tra il 70% circa (capacità inerziale, scenario base) e poco meno dell’80% (capacità incrementata, scenario ex-2033).
Dunque ad oggi potremmo permetterci di pensare realisticamente che arriveremo a metà, cioè al 75%: ben di più di quanto proposto in sede UE (55% prima e 65% dopo).
Allora vorrebbe dire che non siamo messi poi così male sul percorso verso la decarbonizzazione dei consumi.
In fondo non è quello il fine?
Carmine Biello è Senior Advisor Apogee Global
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