Le scelte della mobilità elettrica determineranno quanto grave sarà la crisi del rame. Secondo uno studio dell’International Energy Forum, ridimensionando l’obiettivo di elettrificazione dei veicoli da totalmente elettrici a ibridi si potrebbe ridurre la pressione sull’offerta futura, al netto di alcune criticità ancora da affrontare.
Ogni progetto è normalmente preceduto da uno studio di fattibilità il cui obbiettivo primario è l’identificazione dei rischi, la probabilità di successo e la sostenibilità economica e finanziaria. Lo studio consente la valutazione di opzioni di sviluppo alternative, coerenti con gli obiettivi principali del progetto ma soprattutto dovrebbe consentire di prendere decisioni basate sui fatti e non fondate sulla speranza o sull’ideologia.
In questo senso il report Copper Mining and Vehicle Electrification dell’International Energy Forum (IEF) cerca di dare risposte a domande che la Commissione europea non si è posta quando ha introdotto il bando alla produzione di motori a combustione interna in Europa dal 2035.
In particolare, il report cerca di analizzare se la domanda di rame, necessaria alla produzione di batterie e allo sviluppo della rete elettrica per supportarne la ricarica, avrà concrete di possibilità di essere soddisfatta se allarghiamo l’orizzonte dell’analisi a livello globale.
La transizione metallica
Le politiche climatiche partono dal presupposto che le materie prime necessarie alla transizione verso un pianeta a basse emissioni di carbonio siano disponibili, evitando di affrontare il trilemma alla base di questa transizione metallica. Da un lato, vi è il quesito della effettiva disponibilità delle materie prime necessarie, mai compiutamente affrontato, dall’altro la capacità dell’industria mineraria, ad oggi sottocapitalizzata, di riuscire nell’intento di estrarle e raffinarle. Il terzo aspetto è costituito dai rischi posti dal livello di concentrazione di produzione e riserve della loro catena di approvvigionamento, di gran lunga superiori a quelli della materia prima più scambiata al mondo: il petrolio.
La stima della domanda di nuovi veicoli indicata nel report evidenzia che, sulla base dei tassi di crescita a partire dai dati storici, la conversione del parco veicoli già dal 2030 richiederebbe quasi 9 milioni di tonnellate di rame: poco meno della metà della produzione primaria globale. Cifra che, se rapportata all’attuale situazione dell’offerta del metallo rosso, ma soprattutto alla luce della sua proiezione futura, pare del tutto irrealizzabile.
Da qui, la proposta degli Autori del report, Lawrence Cathles della Cornell University e Adam Simon dell’Università del Michigan, di ridimensionare l’obiettivo di elettrificazione dei veicoli da totalmente elettrici a ibridi, considerando che le emissioni del ciclo di vita dei primi, rispetto a quelle dei secondi, sono comparabili tra loro e che i veicoli ibridi non richiedono una capacità di rete aggiuntiva. Questa seconda soluzione, con una domanda di 3,6 milioni di tonnellate di rame al 2030, può sembrare certamente più alla portata dell’industria mineraria globale ma presenta comunque criticità tali da pregiudicarne gravemente la riuscita: vediamone alcune.
Criticità #1: le nuove miniere
La prima è legata alle prospezioni greenfield necessarie per lo sviluppo delle nuove miniere: attualmente le prime 10 grandi miniere a livello globale producono ciascuna mediamente 500.000 tonnellate di rame all’anno. Sostenere anche solo l’aumento di produzione richiesto dall’adozione di veicoli ibridi significa l’apertura di almeno una di queste miniere all’anno. E questo obiettivo verrà certamente mancato, poiché la pipeline di nuove miniere non presenta progetti di questa dimensione in numero sufficiente, soprattutto in considerazione del fatto che i tempi medi di apertura di una nuova miniera di rame sono di circa 16 anni.
Una seconda importante considerazione riguarda il concetto, spesso abusato, di sviluppo sostenibile, cioè il tipo di sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri.
Nei prossimi 30 anni, il mondo dovrà estrarre il 115% di rame in più rispetto a quanto è stato estratto in tutta la storia dell’umanità. Gli Autori sottolineano come la produzione di rame primario passerà da 20 a 37 milioni di tonnellate all’anno, in gran parte per fornire sostegno alla crescita dei paesi in via di sviluppo.
Criticità #2: uno sviluppo davvero sostenibile?
Qualche numero può rendere più chiara la sfida che attende l’industria mineraria: attualmente lo stock pro-capite di rame nei paesi sviluppati come Stati Uniti, Canada e Giappone è di circa 300 chilogrammi. Il consumo di rame indiano è quasi raddoppiato negli ultimi due anni ma lo stock pro-capite è solo leggermente superiore ai 7 chilogrammi. Se la crescita economica indiana rimarrà intorno al 6%, nel prossimo futuro è presumibile che il suo consumo annuale di rame aumenterà, nel prossimo decennio, di oltre tre volte rispetto ai livelli attuali. Analoghe considerazioni possono essere fatte per il Continente africano.
Nel 2010-2011 è stato stimato che lo stock di rame nella società globale fosse pari a circa 46 kg pro-capite, la domanda di approvvigionamento dal mercato è stata di 2,4 kg di rame primario all’anno e, con 7,3 miliardi di persone nel mondo, per soddisfare questa domanda l’industria mineraria ha estratto circa 17,5 milioni di tonnellate.
Se la popolazione mondiale raggiungesse i 9,5 miliardi di individui nel 2050 e, allo stesso tempo, la domanda globale pro-capite arrivasse anche a solo 6 kg di rame all’anno, questo implicherebbe la fornitura di circa 57 milioni di tonnellate di rame all’anno al mercato, ovvero quasi tre volte la produzione attuale.
Queste considerazioni si traducono nel drammatico aumento dell’estrazione del rame previsto dalla curva di base di color azzurro in Figura 1. La curva verde ipotizza un tasso di riciclo pari a quello del 2018, mentre quella blu scuro ipotizza che il tasso di riciclo aumenti secondo le tendenze degli ultimi 20 anni fino al 2050 e poi rimanga costante.
Quello che va sottolineato con forza che è queste curve descrivono le tendenze business-as-usual e non includono la domanda di metallo rosso per la transizione energetica.
La Figura 2 illustra la fondatezza della proposta degli Autori circa la sostenibilità dell’adozione di veicoli ibridi (linea gialla) rispetto all’andamento BAU (linea blu): lo scostamento delle rette è effettivamente ridotto. Se invece lo rapportiamo alla domanda di rame per convertire il parco veicoli globale in veicoli elettrici a batteria (linea ottanio), e il conseguente potenziamento della rete elettrica (linea azzurra), le quantità necessarie appaiono superiori di un ordine di grandezza.
L’aspetto più significativo, paradossalmente collaterale dell’analisi, è il calcolo della domanda complessiva di rame per raggiungere la neutralità carbonica a livello globale rappresentata dalla linea verde il cui valore, al 2050, cade al di fuori del diagramma evidenziando, anche visivamente, come le politiche climatiche non possano superare le leggi della fisica.
Sviluppo tecnologico
La curva di Hubbert, utilizzata per prevedere il tasso di produzione di qualsiasi risorsa finita, comporta forti limitazioni in presenza di repentini cambiamenti nei metodi di estrazione e prospezione. Se l’introduzione del rilevamento Typhoon di Ivanhoe Electric confermerà la sua efficacia sarà possibile mappare depositi minerari a diverse migliaia di metri sotto la superficie: attualmente l’80% delle miniere di rame in esercizio proviene da giacimenti scoperti entro 200 metri dalla superficie. Recentemente KoBold Mining ha utilizzato l’intelligenza artificiale per identificare un importante giacimento minerario: il progetto Mingomba in Zambia.
Inoltre, potremmo essere alla soglia di una svolta tecnologica similare a quella del 1999 quando venne immesso nel mercato l’IsaMill, un mulino a macinazione fine in grado di ridurre in modo affidabile il minerale fino a 10 micrometri. È denominato “I-Rox” il sistema di Ivanhoe Electric, in fase di sviluppo, che frantuma la roccia utilizzando energia pulsata con un conseguente enorme risparmio energetico e di costi. Se le potenzialità venissero confermate dai dati reali, analogamente a quanto successo in passato, enormi quantità di solfuri con tenori molto bassi di rame diventerebbero economici ampliando in maniera significativa le riserve.
Disponibilità
D’altro canto, è opportuno introdurre alcune considerazioni qualitative sulla stima di riserve e risorse adottate dagli Autori. L’Assessment of Undiscovered Copper Resources of the World ha identificato 236 potenziali depositi non scoperti in 11 regioni del mondo. Le quantità stimate di risorse di rame non scoperte sono riportate a diversi livelli di probabilità: 3.500 milioni di tonnellate metriche (Mt) di rame sono definite non scoperte ossia inesplorate per cui il numero di giacimenti, il tonnellaggio e il grado sono descritti da distribuzioni di probabilità e modellati utilizzando una simulazione Monte Carlo.
Lo studio riporta ulteriori 2.100 Mt di risorse di rame identificate, i cui depositi non sono necessariamente economici, e di cui solo una parte è dimostrata, ovvero stimata, con sufficiente affidabilità in tenore e cubaggio, mentre ampie parti di queste risorse sono solo dedotte e questo significa che possono non essere convalidate da campioni e misure.
Pertanto, la quantità totale sottesa dalla curva di produzione, rappresentata in Figura 1, di circa 6.600 Mt, è data dalla somma delle riserve (1.000 Mt) e delle risorse identificate ed inesplorate. Per comprendere l’effettiva consistenza di queste risorse è opportuno esaminare una delle 236 tavole che costituiscono l’analisi dell’United States Geological Survey (USGS), da cui sono stati estrapolati questi valori (Figura 3).
Le stime delle risorse di rame non scoperte sono riportate sotto forma di barre a cinque percentili, il numero sopra ogni barra è la quantità di rame non scoperto in situ.
Nella scheda proposta, il 95° percentile, la stima più conservativa, indica che c’è una possibilità del 95% della presenza di un deposito di rame di 0,21 Mt o più. Il 50° percentile indica una probabilità 50% di aumentando il cubaggio a 20 Mt o più. Il 5° percentile, il valore meno conservativo, indica che c’è una piccola possibilità (5%) di una quantità relativamente grande (110 Mt) di rame non scoperto. In alcune tavole, non viene mostrata alcuna barra a 95, 90 o 50 perché la quantità stimata di rame non scoperto dalla simulazione è pari a zero.
Le previsioni significativamente differenti della IEA e il ruolo dell’offerta secondaria
La IEA, nel recente Global Critical Minerals Outlook 2024, si discosta significativamente dalle previsioni di Cathles e Simon, com’è possibile osservare nella Figura 4, dove la proiezione al 2040 dell’Agenzia prevede la domanda annua di rame BAU ferma ai valori attuali di circa 20 Mt.
Aspetto che contraddice quanto è accaduto storicamente, poiché il rame, noto anche come Dr. Copper, non è solo una commodity essenziale per molti settori industriali, ma anche un indicatore del benessere di un paese, in base a una ben definita correlazione tra lo sviluppo economico e la disponibilità di rame per abitante, esattamente come il PIL e la domanda di energia (Fig. 5).
L’Agenzia punta sul ruolo dell’offerta secondaria nell’ammortizzare potenziali crisi del mercato o di shock dei prezzi, oltre che per ridurre la pressione sull’offerta di rame primario: nei loro scenari climatici l’uso di rottami di rame aumenta in modo significativo. Nello scenario NZE, la quota dell’offerta secondaria sulla domanda totale sale al 20% entro il 2030 e al 30% nel 2040, a cui si aggiunge l’uso diretto di rottami che quasi raddoppia dal 2023 al 2040, mentre la produzione secondaria di rottami aumenta di 2,5 volte nello stesso periodo.
Il raggiungimento di questi obbiettivi è affidato, ancora una volta, ai giusti incentivi politici, a cui sarà demandato l’onere di sostenere alti tassi di utilizzo dei rottami anche in un contesto di prezzi bassi dell’offerta primaria. Viene evidenziato il ruolo della “miniera urbana” nel riciclo dello stock globale di rame, che si scontra però con l’attuale difficoltà di selezionarlo e separarlo economicamente e con la limitatezza delle infrastrutture di raccolta: problematica anch’essa demandata ad opportuni incentivi volti a sostenere un maggiore utilizzo dei rottami per quanto antieconomico.
Resta infine sullo sfondo la sostenibilità economica delle fonderie e delle raffinerie europee necessarie al riciclo dei rottami di rame, in particolare quelli di bassa qualità, alla luce degli attuali costi energetici europei e della progressiva dismissione di questi impianti.
Giovanni Brussato è ingegnere minerario
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