18 Giugno 2024

Vivo o morto? Il Green Deal come il gatto di Schrödinger     

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La polarizzazione post-elettorale in Europa descrive il Green Deal come morto e, allo stesso tempo, come estremamente vivo. Ciò non vieta di pensare che entrambe le affermazioni siano allo stesso tempo vere, come nel celebre paradosso. Per sopravvivere, il Green Deal è destinato a divenire compromesso storico di un’epoca in cui le politiche energetiche e climatiche mostrano tutte le loro crepe.

Era stato predetto in tempi non sospetti e, almeno in parte, si è avverato. Un’ondata nera ha travolto l’Europa nelle elezioni dello scorso 6-9 giugno. Vi è chi prova a negare questa evidenza. Ciò accade soprattutto tra coloro che lavorano giorno dopo giorno a stretto contatto con le istituzioni europee e nella bolla prospettica di Bruxelles. I numeri però sono chiari. In tutti i principali paesi europei, dalla Germania alla Polonia, dall’Italia alla Spagna, la destra vince e l’estrema destra si istituzionalizza o raddoppia i propri consensi dove si trova al di fuori degli esecutivi.

Distribuzione dei seggi al Parlamento Europeo
Fonte: Parlamento Europeo

La somma dei voti di ID ed ECR, i partiti non coalizzati della destra europea, da Rassemblement National di Marine le Pen a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, si equivalgono a quelli del gruppo dei Socialisti di S&D. Con l’aggiunta di Alternative für Deutschland (AfD), espulsa da ID per le affermazioni deliranti e in pieno furore neonazista dell’ex leader Maximillian Krah, l’estrema destra sarebbe la seconda famiglia politica più rappresentata nel Parlamento europeo.

Galvanizzata dal voto europeo, Rassemblement National si prepara a dar battaglia al Green Deal fuori e soprattutto da dentro le istituzioni europee. Nel mentre, RN spera in una vittoria alle prossime elezioni legislative francesi. Una tornata elettorale concessa a pochi minuti dalla chiusura dei seggi e, come in un gioco d’azzardo, dal Presidente della Repubblica Macron.

Di fronte alla crisi energetica e al tracollo nella fiducia degli strumenti di mercato, l’elettore si è così rivolto ad un bene rifugio. Da una parte, il consenso politico è cresciuto verso coloro che hanno dubbi sull’implementazione del Green Deal, pur avendone supportato la creazione. Dall’altra, ne hanno giovato coloro che lo rigettano completamente, rivestendolo di pura ideologia e soprassedendo sulle conseguenze del cambiamento climatico nel dibattito pubblico.

Le conseguenze della perdita di consenso dei partiti Verdi

La debacle elettorale del governo tedesco, con il quasi dimezzamento dei voti per i Grüne, determina a livello continentale un forte ridimensionamento dei Verdi. Imprescindibili alleati del Cancelliere Scholz, la sconfitta fa emergere crepe sempre più vistose nel governo proprio sui temi legati alla spesa pubblica veicolata verso la transizione. In Germania ecco dunque aprirsi nuovi scenari energetici.

I Verdi sono invece cresciuti in paesi come Danimarca, Svezia e Paesi Bassi. Anche in Italia questi ritrovano slancio. Essi si raccolgono spesso in coalizione con formazioni appartenenti alla famiglia della Sinistra europea. Segno che, nello scenario attuale di crisi, si richiede una forte connotazione politica e sociale della piattaforma che sorregge l’intera architettura del Green Deal.

Dove invece i Verdi hanno creato coalizioni poliformi, gli stessi si stanno trovando sempre più in difficoltà.

In Austria, terra in cui il Partito governa in coalizione con i cristiano-conservatori di ÖVP (famiglia Partito Popolare Europeo, PPE), la polarizzazione è venuta a galla durante l’ultimo Consiglio europeo in tema ambientale. La Ministra dell’energia e dell’ambiente, Leonore Gewessler, ha votato a favore del pacchetto Nature Restoration Law, in aperta opposizione al dettato del Cancelliere Karl Nehammer. Lo stesso ha sfiduciato la Ministra, aprendo a risvolti legali. Il governo di Vienna ha retto, ma la vicenda lancia la prossima campagna elettorale nazionale e il tema ambientale è così fulcro del dibattito.

Il mantra del mercato unico non basta più

Strumenti come Just Transition Fund e Social Climate Fund sono stati creati per rendere la transizione un atterraggio morbido per le fasce più deboli della popolazione. Al pari, mentre la continua tensione sugli indici energetici europei permane, la soluzione ai problemi del mercato comune viene cercata in approcci puramente tecnico-econometrici.

Anche questa strategia, però, sembra oggi perdente. La sconfitta del Presidente francese Macron porta con sé l’indebolimento dell’altra formazione che esce maggiormente sconfitta dal voto europeo, ovvero quella dei liberali.

Gli elettori che in massa hanno guardato per la prima volta alla destra lo hanno fatto su basi ideologiche (nazionalismo), paure recondite e manipolazioni propagandistiche (fenomeno dell’immigrazione). A queste va però aggiunto anche per il palese fallimento dei mercati e dei governi nel proteggere i cittadini dalla marea montante di inflazione, crisi economico-industriale e riduzione del welfare.

Il segno che in Europa l’integrazione dei mercati energetici non è una strada a senso unico arriva questa volta dalla Svezia. Il governo di Stoccolma, una coalizione di partiti appartenenti alla famiglia dei popolari (PPE) e dei liberali ha appena rifiutato la costruzione di un nuovo cavo sottomarino pensato per integrare il sistema energetico svedese a quello tedesco. Giustificando la decisione del Regeringen, Stoccolma punta il dito contro l’instabilità dei prezzi elettrici in Germania, lo sbilanciamento del sistema energetico tedesco e una mancanza di sufficienti volumi nel Sud della Svezia per giustificare qualsivoglia esportazione.

Dove il fallimento dei mercati energetici è stato palese, la politica giunge per porre rimedi, talvolta assai amari. In questa Europa frammentata, accade anche che i fautori del mercato unico ritornino sui loro passi. Quando questo accade, gli stessi ripongano ancora una volta la sicurezza energetica sopra ogni cosa.

Il gran ritorno della politica nel Green Deal

Dopo decenni, sicurezza e difesa sono tornati a dominare il dibattito per l’agenda strategica europea. Se la prossima Commissione mancherà l’appuntamento di inquadrare il Green Deal in una cornice di sicurezza e competizione industriale, ciò probabilmente ne determinerebbe una perdita definitiva di credibilità.

Il voto delle europee concretizza le palesi lacune esistenti in Europa nel mezzo della crisi ucraina e mediorientale, la competizione nelle tecnologie verdi tra Stati Uniti, Unione Europea e Cina, e la frammentazione delle supply chain globali. La percezione del Green Deal non sfonda nell’oggi, ma continua ad essere recepito come risposta in larga parte futuristica a problemi attuali e di estrema urgenza.

Le numerose crisi internazionali che affliggono l’intero vicinato europeo continueranno a martellare la stabilità dei mercati. Gli indici energetici si trasformeranno, sempre più facilmente, in strumenti di pressione politica interna ed esterna per le ambizioni di chi per la Democrazia e il Green Deal non ha alcun interesse.

In una notte estiva senza vento, da Bruxelles arriva il no ad un Secondo mandato per Ursula von der Leyen. Alcuni giorni potrebbero essere sufficienti per sedare i partiti restii, in particolare i Socialisti. Marginalizzati da un debordante PPE in estasi di vittoria, S&D cerca di deflettere il colpo e rifiuta qualsiasi appoggio di ECR alla prossima Commissione. Dall’altra, c’è chi dice di no ai Verdi nella futura coalizione.

Eppure, dati alla mano, è proprio il Green Deal a rappresentare oggi uno dei pochi terreni comuni che potrebbero fungere da collante nella rielezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione. Un coacervo di incoerenze che concorre ad una nuova iniezione di politica, pragmatismo e velature di estremismo nel dibattito riguardante la transizione energetica.

Riuscirà l’Europa a risolvere il paradosso del Green Deal?


Francesco Sassi (PhD.) è research fellow in geopolitica e mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche


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Foto: Unsplash

1 Commento
Ruberti 

A prescindere dal malvezzo di descrivere i partiti di destra come neri e andrebbe rispettata la volontà popolare, il punto cruciale è rappresentato dal fatto che la cosiddetta politica green si basa essenzialmente sull’utilizzo massivo di fonti energetiche come il fotovoltaico e l’eolico, caratterizzate da bassa densità energetica ed intermittenza della disponibilità. Infatti, senza lauti contributi pubblici, queste fonti non riescono a decollare. Germania ed Italia in primisi, ma anche gli altri Paesi dell’Unione, specialmente quelli occidentali, hanno hanno devoluto somme ingenti, che ovviamente pagano i cittadini sulle bollette energetiche, per produrre percentuali risibili di energia in modo non continuativo. Anche il volere ad ogni costo, spingere il mercato verso l’auto elettrica si sta rivelando un flop. Questo perché il punto cruciale è rappresentato da quale energia primaria utilizzo. L’oposizione al nucleare, anche se mitigato utlimamente, ha ottenuto risultati paradossali: l’Italia ha chiuso nel 1987, dopo un referendum truffaldino, le quattro centrali a fissione di cui disponeva, ma importa energia elettrica prodotta con il nucleare da Francia, Svolenia e Svizzera; la Germania ha chiuso recentemente le sue centrali a fissione ma, negli ultimi quindi anni ha costruito sette nuove centali a carbone. I Paesi che veramente beneficiano di una situazione energetica positiva sono quelli che hanno puntato sul nucleare, come Francia e Svezia, ma non solo. Va aggiunto che la criticità raggiunta dall’approvvigionamento energetico, sta mostrando la pericolosità di dipendere quasi totalmente da importazione extraeuropee, specialmente per l’Italia, che ha puntato decisamente sul gas naturale.


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