La Cattura, Utilizzo e Stoccaggio del Carbonio (CCUS) è un valido strumento nella lotta al cambiamento climatico o una tecnologia utile solo a prolungare la vita dei combustibili fossili? L’articolo propone una panoramica delle sfide tecnologiche e delle opportunità future passando per i principali progetti su suolo italiano, europeo e globale.
Come noto, l’aumento della concentrazione di gas serra in atmosfera rappresenta la principale causa del cambiamento climatico ed è in gran parte riconducibile alla combustione di fonti fossili. La via maestra per cambiare questo paradigma è individuata nella sostituzione delle fonti fossili con risorse rinnovabili. Tuttavia, la questione racchiude delle complessità.
Perché catturare la CO2?
Per quanto elevata, la crescita delle rinnovabili registrata negli ultimi decenni non è stata sufficiente a soddisfare l’incremento della domanda di energia, mentre per intaccare l’ancora solida quota delle fossili sarebbe necessario che crescesse a ritmi ampiamente superiori.
La domanda di energia cresce parallelamente, se non più rapidamente, del PIL mondiale. L’incremento della popolazione e l’imponente sviluppo tecnologico porteranno inevitabilmente ad un aumento dei consumi.
Considerando inoltre la tendenza alla digitalizzazione dell’economia e della società, la produzione di elettricità – ambito nel quale le rinnovabili sono più pervasive – è destinata a crescere. Per far fronte a questa incremento, si ipotizza che la quota di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili debba aumentare a un ritmo tre volte superiore rispetto a quello attuale (World Economic Forum).
Quel che tuttavia non le consentirebbe ancora, per l’appunto, di intaccare la quota fossile che si vorrebbe invece andasse a sostituire. Per questo motivo, in qualsiasi scenario energetico proposto per i prossimi anni, gas e petrolio continueranno ad avere un ruolo fondamentale nel mix energetico.
Vista l’inevitabile presenza di una quota fossile è importante avere a disposizione una tecnologia in grado di contenere i danni della combustione. Proprio in questo contesto entra in gioco la tecnologia di cattura e stoccaggio della CO2, in inglese Carbon Capture, Utilization and Storage (CCUS).
Catturare anidride carbonica con l’obiettivo di utilizzarla come materia prima o immagazzinarla nel sottosuolo? A prima vista potrebbe sembrare di aver finalmente trovato una soluzione complementare alle rinnovabili, soprattutto per decarbonizzare quei settori nei quali le emissioni sono difficili da abbattere (hard to abate).
20 e 100, la crescita stimata della capacità di cattura della CO2 entro 2030 e 2050 per limitare l’aumento delle temperature entro 1,5°C
La cattura e stoccaggio del carbonio è considerata la migliore soluzione in grado di ridurre drasticamente le emissioni di settori come la produzione di cemento, acciaio e sostanze chimice che sono responsabili di circa la metà delle emissioni industriali e rappresentano il 12% delle emissioni globali.
Nel 2019, un terzo delle emissioni globali di CO2 proveniva proprio da questi impianti. Si stima inoltre che il 60% di essi potrebbe essere ancora operativo nel 2050. Attualmente, la CCUS rappresenta l’unica soluzione in grado di mantenere in funzione questi impianti limitandone le conseguenze ambientali.
Senza dimenticare come il carbone rappresenti ancora una quota dominante delle emissioni del settore elettrico, difficile da azzerare in tempi utili.
Secondo gli scenari proposti dall’International Energy Agency per limitare l’aumento delle temperature a meno di 1.5°C, la capacità di cattura della CO2 dovrebbe aumentare di 20 volte rispetto a quello odierno entro il 2030 e fino a 100 volte maggiore entro il 2050. Tuttavia, questa tecnologia presenta non poche sfide. Per meglio comprendere i vantaggi e le criticità è necessario quindi analizzare in primis il funzionamento del processo.
Le 3 fasi e le 3 le tecnologie attuali per la cattura
La tecnologia CCUS si articola in tre fasi: la cattura, il trasporto (via mare o via tubo) e lo stoccaggio che può avvenire in riserve geologiche in mare o su terra. In alternativa al deposito la CO2 può essere utilizzata come materia prima per la produzione di combustibili o come reagente per ulteriori processi chimici sopra citati.
3 le tecnologie attuali per la cattura sono:
- Cattura Post-combustione: la CO2 viene separata dai gas di scarico dopo la combustione del carburante. Il metodo più comune per la cattura della CO2 in questo contesto è l’assorbimento del gas tramite un solvente liquido, come un’ammina. Altri metodi includono la distillazione, l’assorbimento fisico e l’utilizzo di membrane.
- Cattura Pre-combustione: prevede la conversione del combustibile in una miscela gassosa di idrogeno e CO2 prima della combustione. Dopo aver separato la CO2, la miscela restante, ricca di idrogeno, può essere utilizzata direttamente come reagente.
- Cattura Ossi-combustione: consiste nella combustione del carburante con ossigeno quasi puro, producendo principalmente CO2 e vapore acqueo, facilitando la successiva cattura della CO2.
Il principale vantaggio delle tecnologie post-combustione e ossi-combustione è la loro capacità di essere facilmente integrabili negli impianti esistenti: come centrali di produzione di elettricità alimentate a carbone o gas naturale ed industrie pesanti come quelle dell’acciaio e impianti di cementificazione. Al contrario, la tecnologia CCUS pre-combustione richiede modifiche sostanziali alla configurazione, risultando quindi più adatta a impianti in costruzione.
Attualmente, gli impianti con tecnologia CCUS sono in grado di catturare fino al 90% della CO2 presente nei gas di combustione. Nonostante ciò, il settore è in continuo miglioramento e si prevede un costante incremento dell’efficienza e della capacità di cattura.
Catturare la CO2 direttamente dall’atmosfera?
Nuovi impianti sono in grado di catturare l’anidride carbonica direttamente dall’atmosfera (Direct air capture, DAC). Grazie all’ausilio di grandi ventole, l’aria viene forzata all’interno di una torre di lavaggio, dove il contatto con un sorbente solido o un solvente liquido favorisce la separazione dell’anidride carbonica da azoto e ossigeno.
La bassissima concentrazione di CO2 in atmosfera (circa 0,04%) implica tuttavia una bassa efficienza di cattura e un costo al kg di CO2 catturato fino a 10 volte maggiore rispetto ai processi che operano su correnti ad alta concentrazione. La Iea stima un costo compreso tra i 125 e i 325 $/kg.
Leader nel settore è l’azienda Climeworks. Startup proveniente dal Politecnico di Zurigo (ETH), che ha recentemente inaugurato in Islanda Mammoth, il più grande impianto di cattura diretta della CO2 al mondo.
Una volta catturata, la CO2 viene disidrata e compressa prima di essere trasportata al sito di confinamento. La disidratazione rimuove l’acqua per evitare problemi di corrosione mentre la compressione trasforma l’anidride da fase gassosa a fase liquida per diminuirne il volume.
La CO2 viene infine stoccata in specifiche formazioni geologiche, come vecchi giacimenti di petrolio o gas, letti di carbone o acquiferi salini. Nel caso di siti di stoccaggio onshore, ovvero su terraferma, la CO2 viene trasportata attraverso una rete di condotte. Nel caso di stoccaggio offshore, vale a dire formazioni rocciose situate sul fondale marino, oltre a condotte sottomarine poste sul fondo del mare la CO2 può essere trasportata via nave cisterna.
Il trasporto via mare è più conveniente nel caso di distanze brevi e piccole quantità, la capacità media di una nave cisterna è intorno alle 200-250,000 tonnellate di CO2 allo stato liquido.
Nel caso delle condotte si garantisce un flusso continuo ed è preferibile per distanze superiori ai 1000 km e per grandi quantitativi da confinare.
Una buona riserva deve avere alta porosità e permeabilità (i.e. presenza di pori all’interno della formazione e la connessione tra questi pori). Inoltre, è necessaria la presenza di uno strato di roccia impermeabile sulla sommità per garantire la sicurezza del deposito.
La ricerca e la disponibilità di possibili siti di stoccaggio rappresenta proprio una delle principali sfide per la crescita della tecnologia CCUS. Tuttavia, per quanto riguarda la sicurezza e la possibilità di eventuali perdite, il processo è stato testato su scala industriale con ottimi risultati.
L’esperienza norvegese
La Norvegia è tra gli stati più all’avanguardia sulla cattura della CO2. Da quasi 30 anni il paese scandivano cattura e reinietta l’anidride carbonica proveniente da impianti a gas nei fondali marini della piattaforma continentale.
Gli impianti Sleipner e Snøhvit, operativi rispettivamente dal 1996 e dal 2008, hanno dimostrato la fattibilità della tecnologia CCUS. Il progetto più recente, Longship, con un investimento di 2,6 miliardi di euro, prevede una capacità iniziale di 1,5 milioni di tonnellate di CO2, con la possibilità di espansione a 5 milioni di tonnellate nella seconda fase.
Nonostante l’ambizioso obiettivo, sono state mosse diverse critiche al progetto. Prima fra tutte, si mette in dubbio la spesa necessaria alla costruzione e al mantenimento dell’impianto a fronte di una capacità complessiva che corrisponde a circa un decimo dell’1% di tutta la CO2 prodotta in Europa nel 2021.
Importante sottolineare come la Norvegia, paese che produce circa il 98% di elettricità da fonti rinnovabili, sia intenzionato a rimanere un forte produttore di gas e petrolio. Per questo motivo, l’applicazione di questa tecnologia sarà fondamentale per mitigare le conseguenze ambientali legate a tale industria e per raggiungere gli impegni di decarbonizzazione interna.
L’ambizione italiana
Anche in Italia si parla di cattura del carbonio. L’obiettivo è quello di sfruttare la capacità dei giacimenti di gas esauriti nel mare Adriatico per lo stoccaggio di CO2.
L’Hub di Ravenna, progettato da Eni in collaborazione con Snam, prevede una capacità di stoccaggio di 4 milioni di tonnellate entro il 2030. La prima fase del progetto è già in via di sviluppo e mira a catturare oltre 25 mila tonnellate di CO2 entro la fine del 2024.
La stazione di pompaggio di Casal Borsetti, precedentemente utilizzata per trasportare gas dalle piattaforme agli utenti finali, sarà riconvertita per invertire il flusso e trasportare la CO2 nel verso opposto, ovvero dalle industrie hard-to-abate della zona fino alle piattaforme offshore e infine nel giacimento esaurito di gas di Porto Corsini Mare Ovest.
Ulteriore vantaggio del progetto, secondo Snam, sarebbe quello di posizionare l’Italia come paese di riferimento per la CCS nel Sud Europa. Grazie alla disponibilità di giacimenti esauriti, l’Italia può assumere un ruolo centrale nella definizione di un quadro competitivo, capace di facilitare l’avvio di nuovi progetti e investimenti destinati a sviluppare questa tecnologia nell’Europa Meridionale. (Per approfondire si rimanda a CCS, quale potenziale economico (e strategico) per l’Italia? di Piero Ercoli).
I produttori di petrolio e l’Enhanced Oil Recovery
Guardando fuori dall’Europa è importante citare l’esperienza dei paesi del Golfo, tra i principali produttori di idrocarburi al mondo, da cui massimamente dipendono le loro economie.
Il gigante saudita Aramco da tempo utilizza la CO2 proveniente da impianti di produzione di energia elettrica per migliorare la produzione di petrolio dalle riserve locali. Questo processo è noto come Enhanced Oil Recovery. Con una capacità di 1 milione di metri cubi di CO2 provenienti dall’impianto di liquefazione del metano ad Hawiyah, l’anidride carbonica viene pompata per 85km e iniettata all’interno della riserva Uthmaniyah. In questo modo si mantiene la pressione all’interno della formazione geologica facilitando l’estrazione.
Altro progetto degno di nota è la costruzione di un vero e proprio hub nella zona industriale di Jubial, ad est della regione. L’idea è quella di creare un centro con infrastrutture di trasporto e stoccaggio condivise tra le industrie più inquinanti facendo leva sull’economia di scala. Il progetto prevede una capacità di 9 milioni di tonnellate all’anno a partire dal 2026.
Questa breve panoramica tenta di evidenziare l’importanza di questa tecnologia soprattutto in relazione a quei settori in cui al momento non è presente nessuna alternativa in grado di mitigarne le conseguenze sul clima. Tuttavia, per garantirne la continua espansione è necessario un adeguato supporto normativo. Un quadro legislativo solido è in grado di facilitare l’adozione su larga scala della tecnologia garantendo sicurezza ambientale e sviluppo tecnologico. Aspetti che affronteremo in un prossimo articolo partendo dalle linee guide per la costruzione di un quadro regolamentativo e una panoramica della situazione a livello globale.
Andrea Carena è Field Engineer SLB
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Foto: Northern Lights
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