Il sistema commerciale internazionale deve evolvere per supportare il raggiungimento degli obiettivi sul clima dell’Accordo di Parigi. Deve riflettere le nuove priorità politiche e geopolitiche e rompere alcuni tabù, a partire dal riconoscimento del legittimo ruolo della politica industriale e di politiche di tutela come i sussidi. Le riflessioni dei ricercatori RFF su ENERGIA 2.24.
La lotta ai cambiamenti climatici è per definizione globale e multidimensionale, cooperativa e competitiva al contempo. La cooperazione necessaria per affrontare questa sfida, che trova massima espressione nelle COP, affianca ma non sostituisce infatti la tradizionale competizione tra i paesi: economica, geopolitica, industriale e commerciale.
Ognuna di queste dimensioni comporta ostacoli nel percorso di transizione energetica, azioni e reazioni, capaci di rallentarla se non farla deragliare. Se le implicazioni geopolitiche sono state, almeno in parte, tenute in considerazione, quelle commerciali e industriali sono state quasi totalmente, colpevolmente, trascurate.
Decisioni epocali, come l’Accordo di Parigi, paiono essere state prese «al buio», ignorando elementi cardine del rapporto tra gli Stati. Il percorso verso il raggiungimento degli obiettivi climatici deve ora essere ripensato alla luce del riaffiorare di priorità nazionali, come la sicurezza energetica e la tutela industriale.
Geopolitica, commercio, industria: 3 dimensioni della transizione energetica
La dimensione geopolitica dell’energia non è mai uscita dalle lenti di ENERGIA. Nel 2019 si metteva in guardia circa una geopolitica più complessa a causa delle innumerevoli implicazioni della transizione. Negli anni successivi abbiamo delineato i tratti e le caratteristiche del Nuovo Ordine Energetico e dell’era dell’insicurezza energetica. Di recente gli abbiamo dedicato alla Geopolitica dell’Energia un’apposita Rubrica su RivistaEnergia.it.
La dimensione industriale pare essere stata seriamente presa in considerazione fin dai primordi della transizione solo dalla Cina. Stati Uniti ed Unione Europea hanno realizzato solo di recente la necessità di colmare questo gap e tentano di farlo rispettivamente attraverso l’Inflation Reduction Act e il Green Deal Industrial Plan. Strumenti che inevitabilmente creano dei trade-off tra obiettivi climatici e industriali.
La dimensione commerciale è stata ed è ancora stravolta dalle scosse che sta vivendo la globalizzazione e l’ordine economico post-Guerra Fredda. Già prima della pandemia si avvertiva la necessità di ripensare l’interdipendenza economica. In seguito, il tema è diventato centrale nel dibattito internazionale, con diverse interpretazioni della fase in atto, tra chi parla di divisione in blocchi, chi di deglobalizzazione disordinata, chi di “glocalizzazione”, come Francesco Martoccia che nello scorso numero di ENERGIA (1.24)esplorava le implicazioni del Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM). Di fatto, un esempio lampante di implicazioni commerciali della transizione energetica.
Nell’ultimo numero (2.24) torniamo su queste due dimensioni con un contributo dei ricercatori di Resources for the Future Milan Elkerbout, Katarina Nehrkorn e William Pizer sulla necessità di una revisione istituzionale del sistema del commercio globale.
Il sistema commerciale internazionale e le istituzioni come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale devono evolvere se si vuole che supportino il raggiungimento degli obiettivi di Parigi sul clima. Ma la loro evoluzione deve riflettere e non trascurare le nuove priorità politiche e geopolitiche degli Stati, ad iniziare dal riconoscimento del legittimo ruolo della politica industriale che, a lungo denigrata, è tornata alla ribalta nelle nazioni occidentali.
Sussidi, crediti di imposta o i meccanismi di aggiustamento alle frontiere: più politiche per più priorità politiche
“La sperimentazione di varie politiche nel mondo reale è fondamentale affinché i paesi scoprano quali sono quelle più efficaci, efficienti ed eque”, scrivono gli autori nel primo paragrafo (Clima e commercio: più politiche per più priorità politiche?).
Questo può richiedere anche un cambio di paradigma rispetto alle tendenze degli ultimi decenni. Come il “ripensamento dei sussidi, che la tradizione recente tenderebbe a limitare e che invece possono incoraggiare progetti con ricadute positive, come l’innovazione o lo sviluppo regionale”.
Oppure crediti di imposta o i meccanismi di aggiustamento alle frontiere, a seconda delle specificità dei singoli paesi. “Anche gli approcci politici inevitabilmente differiranno tra le regioni, dati i vincoli legati alle economie, alla politica e alle culture locali, insieme alle differenze nei sistemi giuridici”.
“Un’economia a basse emissioni di carbonio sarà probabilmente costruita su nuove forme di produzione energetica e industriale che potrebbero essere più adatte in regioni che differiscono da quelle in cui attualmente sono raggruppate alcune industrie”.
L’interoperabilità e il ruolo delle istituzioni multilaterali
Le istituzioni multilaterali e il sistema commerciale internazionale devono quindi favorire la ricerca dei paesi delle politiche per il clima per loro più opportune e contribuire a risolvere le sfide relative all’interoperabilità (par. 2. Quale ruolo per le istituzioni multilaterali?). “«Interoperabilità» è diventata una parola chiave spesso utilizzata per indicare la capacità delle nazioni di progettare politiche climatiche e commerciali che influiscono sul commercio senza porvi barriere in termini di costi amministrativi”.
“Le aziende e gli importatori devono destreggiarsi tra una miriade di meccanismi di aggiustamento alle frontiere; regole per i sussidi; requisiti relativi alla quantità di beni che deve essere prodotta a livello nazionale; standard di prodotto basati sull’intensità delle emissioni; e regolamenti nel campo della governance ambientale, sociale e aziendale. Tutti questi fattori contribuiscono a costi di transazione che le aziende e gli importatori devono affrontare. Mentre le aziende multinazionali sono esperte nel destreggiarsi tra molteplici e complessi regimi normativi, le aziende più piccole potrebbero vedere i costi di transazione aumentare in misura tale da estrometterle dal commercio internazionale”.
Indubbiamente, esiste tra le nazioni il desiderio di uno o più forum per discutere l’interoperabilità e, idealmente ed eventualmente, di una qualche forma di allineamento sulle numerose politiche climatiche che influiscono sul commercio internazionale. (…) Le istituzioni del commercio internazionale, inclusa l’Organizzazione mondiale del commercio, potrebbero contribuire a risolvere le sfide relative all’interoperabilità”.
Il ruolo delle istituzioni multilaterali per favorire la transizione energetica lo ritroviamo in altri due articoli proposti nello stesso numero di ENERGIA con riferimento all’economie vulnerabili: Il conto climatico dell’Africa di Michael Olabisi e Opportunità e rischi delle Just Energy Transition Partnership di Minh Ha-Duong.
Il post presenta l’articolo di Elkerbout, Nehrkorn e Pizer Clima, commercio e rinascita della politica industriale pubblicato su ENERGIA 2.24 (pp. 28-31)
Milan Elkerbout, Katarina Nehrkorn e William Pizer sono ricercatori di Resources for the Future
Foto: Unsplash
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