Il von der Leyen bis assicura lunga vita al Green Deal, ma con quali effetti di breve e di lungo periodo per l’economia dell’Unione? Su ENERGIA 2.24 Claudio Baccianti di Agora Energiewende riepiloga le conseguenze macroeconomiche della politica climatica di stampo normativo adottata dall’Ue.
Le politiche per il clima avranno importanti effetti economici e sociali nei paesi avanzati come in quelli in via di sviluppo, per cui è fondamentale che siano progettate secondo i principi della cosiddetta ‘transizione giusta’.
L’ultimo numero di ENERGIA (2.24) fornisce una panoramica sulla decarbonizzazione delle economie vulnerabili, con un articolo sull’Africa e la finanza climatica, uno sulle Just energy transition partnership e uno sull’adattamento climatico, con un’analisi del relativo piano italiano. Sullo stesso numero, Claudio Baccianti analizza gli impatti macroeconomici di medio e lungo periodo delle politiche climatiche adottate a livello europeo.
In primo luogo, progettare politiche pubbliche mette davanti ai classici dilemmi causati dall’incertezza sul futuro, che bisogna cercare di contenere. Nel caso delle politiche di transizione energetica, scrive Baccianti, “un quadro politico prevedibile e credibile crea un ambiente fertile per l’innovazione nella R&S sulle energie pulite e favorisce l’adozione rapida delle tecnologie verdi. (…) Gli investitori hanno bisogno di certezza e visibilità a lungo termine non solo per quanto riguarda gli obiettivi, ma anche per quanto riguarda le normative e i finanziamenti”.
Stabilire la neutralità climatica come principio vincolante per legge è utile ma non sufficiente
In secondo luogo, è importante comprendere le specificità di questa transizione. “Tradizionalmente, le transizioni energetiche in passato sono durate un secolo o più (Yergin 2023), essendo guidate principalmente dalle forze di mercato e dall’innovazione. La transizione verso un’economia a zero emissioni entro il 2050 richiederà invece un intervento politico ampio e restrittivo, perché affronta le esternalità ambientali legate al cambiamento climatico”.
In terzo luogo, gli impatti economici dipendono dal mix di politiche adottato, come approfondito nel paragrafo di apertura dell’articolo (par. 1). Come affermano i ricercatori di Resources for the Future sempre su ENERGIA 2.24, ci vogliono infatti “più politiche per più priorità politiche”. Nella ricostruzione di Baccianti, gli strumenti a disposizione del decisore politico sono tre:
- Regolamentazione, tutte le misure che limitano l’uso di combustibili fossili o stabiliscono limiti alle emissioni di carbonio
- Carbon pricing, tassazione o sistemi di scambio di emissioni
- Sovvenzioni, qualsiasi misura che trasferisce i costi dal settore privato a quello pubblico.
La prima fase della transizione: necessità, implicazioni e rischi
Guardando al breve periodo, nella prima fase della transizione (par. 2. Il breve e medio termine), “l’aumento degli investimenti per il clima stimolerà la domanda aggregata, fornendo una spinta economica temporanea”.
L’impatto sulla produttività delle aziende varia ovviamente di settore in settore, ma in generale “gli investimenti per il risparmio energetico tendono ad aumentare la profittabilità delle imprese (Rexhäuser e Rammer 2014). In altri casi però gli investimenti verdi possono ridurre la redditività delle aziende, ad esempio quando i tempi di ritorno dell’adozione della tecnologia verde sono troppo lunghi”.
Tra gli altri rischi che si verificano quando la domanda di tecnologie verdi aumenta, l’autore segnala quello connesso alla carenza di materiali specifici e di manodopera qualificata; l’aumento del prezzo dell’energia e dei beni prodotti, almeno “fino a quando l’approvvigionamento energetico sarà dominato dai combustibili fossili, una condizione che dovrebbe valere per alcuni anni”; l’aumento dei tassi di interesse.
Sebbene sia molto complesso valutare l’impatto economico delle politiche climatiche in Europa, alcuni studi “tendono a sostenere la conclusione che l’impatto sul Pil sarà negativo nel medio-lungo termine, anche se di entità modesta (ad esempio Varga et al. 2022, NGFS 2023)”.
Tuttavia, “Anche la tempistica dell’azione politica è fondamentale per determinare gli impatti economici. Quanto prima viene implementata la politica climatica, tanto più agevole e meno costoso sarà l’adeguamento”.
39 miliardi di euro le entrate generate dall’EU ETS nel 2022 e utilizzate per sostenere gli investimenti verdi
La competitività delle imprese europee sarà intaccata dalla tassazione delle emissioni di carbonio, poiché rende più alti i loro costi di produzione. Per far fronte a questo problema è stato recentemente introdotto il CBAM (i cui funzionamento e implicazioni sono state analizzate nello scorso numero). “La misura è però al momento imperfetta”, scrive Baccianti, “perché si applicherà solo su una selezione limitata di prodotti a monte, per cui non eviterà un eventuale carbon leakage nei settori a valle (ad esempio, auto ed elettrodomestici). Inoltre, non prevede una compensazione per gli esportatori europei, i quali continueranno ad avere uno svantaggio di costo nei mercati esteri”.
“L’impatto sull’occupazione in ogni paese europeo sarà diverso a causa della diversa composizione settoriale dell’economia. Le regioni specializzate nell’estrazione del carbone, nella produzione di componenti per veicoli a combustione interna o nella produzione di altre tecnologie ad alta intensità di carbonio”. Verso questi settori e paesi, l’Ue prevede un particolare supporto finanziario con i meccanismi di Just Transition.
“L’impatto sulle finanze pubbliche è chiaramente significativo a causa delle grandi esigenze di investimento e della dipendenza che la maggior parte degli Stati membri dell’Ue, in particolare l’Italia, ha dalle entrate derivanti dalla tassazione e dalla produzione di combustibili fossili”. Per avere una quantificazione, sebbene la letteratura in questo campo sia ancora limitata, l’autore stima “il fabbisogno medio di spesa pubblica aggiuntiva per il clima prima del 2030 a circa l’1% del Pil nella Ue. Ciò equivale allo stanziamento aggiuntivo di circa 175 miliardi di euro di fondi pubblici all’anno per ridurre le emissioni di gas serra legate all’energia”.
L’ultima fase della transizione è caratterizzata da grande incertezza
“Nel lungo periodo (par. 3), la forza dei diversi effetti cambierà e sorgeranno nuovi fattori. (…) Se il resto del mondo si allineerà gradualmente alla politica climatica europea, lo svantaggio iniziale in termini di competitività dei costi si ridurrà e alcuni effetti che le politiche hanno avuto sull’industria saranno invertiti”.
Per quanto prevedibile ad oggi, “il basso costo marginale dell’energia rinnovabile ha il potenziale di ridurre, nel lungo periodo, i prezzi dell’elettricità per le famiglie e le imprese. (…) Secondo l’International energy agency, le tecnologie attualmente mature contribuiranno solo per un quarto alle riduzioni di emissioni necessarie entro il 2070(7). Ciò significa che nel lungo periodo dovrebbe emergere un’ampia gamma di innovazioni che saranno essenziali per raggiungere gli obiettivi climatici”.
“Con la progressiva riduzione dei combustibili fossili, i governi perderanno le entrate derivanti dalla tassazione dei combustibili fossili, in particolare dei carburanti. (…) In combinazione con le elevate esigenze di spesa per investimenti e sussidi, questo effetto sulle entrate può aggiungere rischi per la sostenibilità del debito di paesi ad alto indebitamento come l’Italia”.
Le casse pubbliche perderanno le accise sui carburanti, pari all’1,4% del Pil dell’Ue e all’1,7% in Italia
In conclusione (par. 4), “gli effetti complessivi in Europa si differenzieranno da paese a paese, ma in generale è possibile concludere che (…), dato il ruolo fondamentale che le politiche europee per il clima giocano nell’incentivare altri paesi a seguire la strada della transizione verde, i potenziali benefici in termini di danni evitati con la mitigazione globale dei cambiamenti climatici supereranno gli eventuali costi netti sostenuti per la mitigazione (NGFS 2023)”.
Un percorso che tuttavia si profila sempre più difficoltoso e incerto dato che, per lo meno per l’Italia, come emerge dall’articolo dei ricercatori Enea Gracceva e Baldissara sempre su ENERGIA 2.24, le due eccezionali crisi economiche degli ultimi quattro anni e gli interventi politici che ne sono conseguiti, hanno deviato la traiettoria del sistema energetico, che “oggi risulta più lontano dagli obiettivi 2030 di quanto fosse prima delle crisi”.
Il post presenta l’articolo di Claudio Baccianti Effetti macroeconomici delle politiche climatiche europee pubblicato su ENERGIA 2.24 (pp. 32-38)
Claudio Baccianti, Agora Energiewende
Foto: nostre elaborazioni su Mediamodifier (Pixabay) e David Levêque (Unsplash)
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