Mentre Italia ed Europa cercano sponde diplomatiche tra Tripoli e Tobruk, il clan Haftar ribadisce il suo controllo sulle riserve strategiche di petrolio della Libia. Una minaccia profonda e diretta agli interessi di Roma e del famigerato Piano Mattei.
Nel puzzle libico, dove energia, politica internazionale, violenza settaria e cambiamento climatico sono tutte facce dello stesso caos, non vi è apparente fine ai disordini. Ormai tratto nel 2011, con la caduta di Gaddafi, il dado libico determina uno stato di continua lotta al suo interno. I riflessi esterni di questa baraonda si scagliano contro gli interessi di Italia ed Europa, oggi largamente incapaci di incidere sulle dinamiche locali.
Perché ci interessa lo stop di Sharara
La produzione del giacimento di Sharara, il maggiore campo attivo di tutta la Libia, sarebbe stata completamente interrotta per decisione del clan Haftar. Da anni esso ha il controllo della regione di Fezzan, nel Sud libico.
Secondo quanto documentato da S&P e Bloomberg, degli 250,000 – 270,000 di capacità produttiva sostenuta negli ultimi mesi a Sharara sarebbero tuttora attivi soltanto circa 10,000 barili al giorno. Questi sono destinati all’impianto di generazione elettrica di Awbari. Un segno che coloro i quali hanno imposto un arresto alla produzione hanno a cuore che le popolazioni locali continuano ad essere rifornite di sufficiente generazione elettrica nel pieno del rovente clima estivo.
Sharara rappresenta, nel contesto di crisi estrema del settore energetico, circa il 25% della capacità produttiva della Libia. Un asset dunque strategico per la stabilizzazione della produzione petrolifera.
La stessa ha subito le conseguenze devastanti del conflitto civile che per anni ha martoriato le infrastrutture libiche. Con molta fatica, soltanto negli ultimi mesi la produzione di greggio è arrivata a circa 1,1 milioni di barili al giorno. Nel primo trimestre del 2024, la Libia è tornata ad essere il nostro principale fornitore petrolifero dopo 10 anni, coprendo circa il 21% del totale delle importazioni italiane.
L’alt imposto a Sharara getta nuove ombre sulla capacità del paese di assicurare un flusso continuo di petrolio verso i mercati esteri. Una fonte vitale, vale la pena sottolinearlo, per le finanze statali. L’influenza di Haftar in Libia rappresenta un problema per la sicurezza energetica dell’Italia, anche perché dall’Africa proviene poco meno del 40% del totale delle nostre importazioni di petrolio. Centro nevralgico del Piano Mattei, la nazione rimane il fulcro di uno scontro tra potenze che, a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste, tentano di imporre la propria agenda.
I perché dello stop di Sharara
La notizia della chiusura di Sharara è di 48 ore fa, ma ancora una volta il dibattito italiano si dimostra insensibile alla comprensione di come la geopolitica dell’energia influisca direttamente sui nostri interessi. Lo stop si è perso nei mille rivoli della vicenda collegata all’arresto, o forse no, di Saddam Haftar. Ciò sarebbe avvenuto su mandato delle autorità spagnole, dopo il fermo avvenuto a Napoli venerdì scorso.
Le stesse avrebbero imposto un mandato europeo in conseguenza a vicende legate al commercio di armamenti. Un carico navale, dirottato da un porto emiratino dopo l’intervento di Saddam Haftar in Spagna, sarebbe finito dunque sul territorio libico. Qui vige un embargo delle Nazioni Unite al commercio di armamenti che anche il nostro paese si impegna a far rispettare. Dalla vicenda nasce quindi la richiesta spagnola di controlli severi su ogni spostamento di Haftar che l’Italia, parrebbe da resoconti di Repubblica e Il Messaggero, non avrebbe eseguito.
A maggio, durante una visita di stato in Libia, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha incontrato anche Khalifa Belqasim Haftar, Comandante dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) con base a Tobruk e factotum degli equilibri nell’Est del Paese. Secondo i report ufficiali, migrazione, sanità, agricoltura e il destino politico della Libia sono stati gli argomenti affrontati. Appare però difficile da credere che il tema energetico non sia emerso per vie laterali.
La diplomazia energetica del Clan Haftar
Secondo il leader del cosiddetto Fezzan Movement, Bashir al-Sheikh, coinvolto in precedenti chiusure dello stesso giacimento, come accaduto ad esempio lo scorso gennaio, sarebbe proprio Saddam Haftar il responsabile dello stop di Sharara. Il secondogenito del Generale, vale la pena ricordare, è anche consigliere speciale del padre.
La proprietà di Sharara, definito come un’importante “arteria economica” dallo stesso Governo di Unità Nazionale (GNU) è dell’88% dello Stato libico, qui rappresentato dalla National Oil Corp (NOC). Il rimanente 12% è invece ripartito tra i partner internazionali, tra cui la francese TotalEnergies, l’austriaca OMV, la norvegese Equinor e la spagnola Repsol. Le compagnie cooperano sotto l’ombrello di una Joint Venture dal nome Akakus.
Per la stampa, il messaggio che passa attraverso la chiusura di Sharara è chiaramente indirizzato verso le autorità spagnole. Infastidito dal mandato europeo, Saddam Haftar ha voluto causare perdite di bilancio per Repsol, compagnia spagnola che, come partner di Akakus, gestisce il giacimento. Pressioni sarebbero già in corso per ritirare il mandato e chiudere la vicenda. La situazione però appare più complessa.
GNU, che ha l’appoggio delle autorità occidentali e sede a Tripoli, ha denunciato lo stop come l’ennesimo episodio di “ricatto politico”. Un’azione intenzionata a colpire le finanze già martoriate del paese. Il governo degli asset petroliferi e gassiferi, ma anche l’indirizzo della strategia energetica del paese, sono da tempo al centro di una lotta intestina fra Tripoli e Tobruk.
La guida del Ministero del petrolio e quella di NOC sono ampiamente contestate e politicizzate a tal punto da paralizzare il vertice del Ministero. Al momento infatti coesistono un Ministro, Mohamed Aoun, e un anti-Ministro, Khalifa Rajab Abdulsadek. Quest’ultimo è sostenuto a sua volta dal Primo Ministro Dbeiba e con importanti relazioni con Fathi Bengdara, a capo di NOC. Aoun si è espresso contro i progetti che vedrebbero NOC collaborare con le compagnie energetiche internazionali, incluse Eni, TotalEnergies e l’emiratina ADNOC nei progetti Oil & Gas di NC-7 e Waha.
Imponendo una chiusura al principale asset petrolifero libico, il Clan Haftar non solo mette pressione alla Spagna e i partner di Akakus, e in via indiretta all’Europa e all’Italia, ma segnala anche agli investitori esteri che senza un riconoscimento ufficiale o ufficioso del ruolo di Tobruk nelle negoziazioni non vi potranno essere nuovi investimenti in petrolio e gas naturale sicuri in Libia.
La strada per la realizzazione del Piano Mattei si fa sempre più impervia.
Francesco Sassi (PhD.) è research fellow in geopolitica e mercati energetici presso Rie-Ricerche Industriali ed Energetiche
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