20 Settembre 2024

Energia e inflazione: l’importanza di non trascurare petrolio e gas

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Il calo del complessivo tasso di inflazione atteso dalla Bce per il prossimo biennio sconta un’ulteriore riduzione dei prezzi dell’energia, in particolare petrolio e gas. Per questo bisognerebbe prestargli maggiore attenzione, diversamente da quel che fa Bruxelles e da quanto confermato dal recente Rapporto Draghi.

La Banca centrale europa (Bce) nei giorni scorsi ha ridotto i tassi di interesse di 0,25 punti relativamente all’interesse che le banche ricevono per depositare denaro presso la banca centrale portandolo al 3,65%. La decisione della Bce si è basata sull’andamento declinante dell’inflazione, sia attuale che prospettico. Secondo le ultime proiezioni di Francoforte, l’inflazione complessiva dovrebbe infatti collocarsi nella media del 2024 al 2,5% dal 6,3% del 2023, scendere nel 2025 al 2,2% e nel 2026 all’1,9%.

Un calo dovuto in larga parte a fattori esterni (quelli interni, come il costo del lavoro, hanno avuto un effetto opposto) a partire dai prezzi dell’energia, al cui aumento si deve la precedente impennata inflazionistica: quelli del petrolio hanno registrato un graduale declino, mentre quelli del gas hanno segnato un leggero incremento per tensioni geopolitiche.

L’importante conclusione da trarre è che l’energia assume un enorme rilievo sull’andamento del sistema economico europeo e nazionale. In particolare, bisognerebbe prestare una maggiore attenzione ai mercati del petrolio e del gas.

I prezzi energetici al centro delle valutazioni della Bce sull’inflazione

Il calo del complessivo tasso di inflazione atteso dalla Bce per il prossimo biennio sconta logicamente un’ulteriore riduzione dei prezzi dell’energia, a partire da quelli di petrolio e gas e, tramite quest’ultimo, dei prezzi all’ingrosso dell’elettricità per il meccanismo in vigore del marginal price.

Il calo dei prezzi del petrolio – che, vale rammentare, continua a rappresentare la prima fonte energetica impiegata nel mondo e in Europa – osservato negli ultimi tempi ha una duplice motivazione.

Energia inflazione petrolio gas

Da un lato, di tipo congiunturale: l’andamento anemico dell’economia cinese con effetti depressivi sulla domanda mondiale (in passato ne rappresentò oltre la metà della crescita), che ne riduce le aspettative di crescita nell’anno in corso. Aspettative comunque positive nell’ordine di 1 milione di barili al giorno, a un livello nell’anno oltre i 104 milioni di barili al giorno (contro livelli pre-Covid inferiori a 100). Va da sé che una più robusta crescita economica della Cina riprodurrebbe l’effetto leva sulla domanda mondiale osservata in passato e quindi una pressione al rialzo dei prezzi.

Dall’altro lato, una motivazione strutturale: la sempre più condivisa previsione (formulata dalla ExxonMobil all’Agenzia di Parigi), scontata dai mercati, che la domanda di petrolio possa conoscere in questo decennio il suo picco e prendere a declinare in quello prossimo.  Di parere opposto sono invece, ça va sans dire, l’Opec e l’Energy Information Administration americana, che ritiene che l’aumento della popolazione e del reddito medio pro-capite controbilancino la riduzione dell’intensità energetica e carbonica.

Generale è comunque il consenso negli scenari formulati da diversi organismi che le fonti fossili continueranno a giocare un ruolo fondamentale nei futuri sistemi energetici mondiali, soddisfacendo oltre la metà della domanda, pur se in forte calo rispetto all’attuale 82%.

Rallentamento dell’economia cinese e possibile picco della domanda alla base del calo del Brent

I sistemi energetici non sono un gioco a somma zero – considerando anche che le nuovi fonti sono additive e non sostitutive di quelle attuali – così che sia le rinnovabili sia le fossili dovranno soddisfare la prevista domanda. Va da sé però che aspettative di minor crescita se non calo della domanda di petrolio rimbalzano negativamente sulle decisioni di investimento delle imprese e quindi sulla sua futura offerta: un dollaro in meno investito oggi comporta un barile in meno prodotto domani.

L’offerta è destinata a ridursi per il declino ‘naturale’ dei giacimenti nella misura stimata recentemente dalla ExxonMobil del 15% annuo, circa due volte la precedente stima dell’Agenzia di Parigi. Significa che ogni anno gli investimenti dovrebbero accrescere l’offerta di almeno 15 milioni di barili al giorno per rimpiazzare il declino naturale e di altri barili per soddisfare un’eventuale domanda incrementale.

Energia inflazione petrolio gas
Fonte: ExxonMobil

Il quadro che emerge dalle contrastanti analisi e previsioni è di una rilevante incertezza sulla futura dinamica dei mercati dell’energia, a cominciare da quello del petrolio (e del gas), sui suoi prezzi e quindi sul loro impatto sull’inflazione. Il suo attuale soddisfacente andamento (per noi consumatori) nulla ci rassicura sul futuro.

L’offerta di domani dipende dalle aspettative sulla domanda e sulle decisioni di investimento di oggi

La transizione energetica consoliderà l’aumento delle rinnovabili esercitando però una pressione al ribasso dei prezzi dell’elettricità: per l’eccesso di produzione che sta generando sempre più spesso in Europa ‘prezzi negativi’ (per un totale di circa 8.000 ore nei primi otto mesi del 2024) disincentivando così gli investimenti (Financial Times, 14 settembre 2024). Le rinnovabili rimarranno comunque ancora per non breve tempo residuali nella contabilità energetica mondiale, mentre petrolio e gas naturale manterranno la loro leadership.

È davvero poco comprensibile che il Rapporto Draghi, come evidenzia l’analisi di Samuel Furfari, abbia dedicato pochissima attenzione al petrolio, alla sua futura domanda, prezzi, approvvigionamenti (nell’intero rapporto è citato appena una volta). Perché la competitività dell’economia europea anche in futuro dipenderà dal petrolio in ampia misura.


Alberto Clô è direttore della rivista Energia e del blog RivistaEnergia.it



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