Dopo aver inaugurato nel 1882 la prima centrale elettrica a carbone al mondo, a Londra, il Regno Unito si appresta a diventare il primo paese del G7 a dire addio alla produzione di energia da carbone entro la fine di settembre 2024. Un anno in anticipo rispetto all’impegno dichiarato dal Governo.
In un periodo in cui le buone notizie sono rare, ciò che sta accadendo in Inghilterra merita di essere raccontato e, perché no, celebrato. Dopo aver inaugurato nel 1882 la prima centrale elettrica a carbone al mondo, a Londra, il Regno Unito si appresta a diventare il primo paese del G7 a dire addio alla produzione di energia da carbone entro settembre 2024, con un anno di anticipo rispetto all’impegno preso dal Governo. Si chiude così, dopo 140 anni, l’era del carbone inglese.
La disponibilità di carbone sul territorio nazionale fu senza dubbio un fattore determinante che rese l’Inghilterra il fulcro della Rivoluzione Industriale. I dati mostrano come la produzione di carbone sia rimasta relativamente bassa durante il 1700, per poi aumentare in modo significativo a partire dal 1850 (non a caso, per gli esperti di clima, questo è l’anno di chiusura della cosiddetta era pre-industriale).
La produzione nazionale raggiunse il picco nel 1913 con 292 milioni di tonnellate: in quegli anni il settore impiegava circa 1,2 milioni di persone, 1 su 20 della forza lavoro del Regno Unito. Nel 1960 iniziano i segnali di declino: nel 2019 la produzione annuale era di soli due milioni di tonnellate (150 volte più bassa rispetto al picco del 1913), a cui si aggiungevano 6 tonnellate di importazioni.
Questa fonte di energia, che negli anni ha contribuito allo sviluppo del tessuto industriale e sociale del paese, ha però contemporaneamente minato la salute di ambiente e persone attraverso l’inquinamento atmosferico e del suolo, attraverso le emissioni di gas serra in atmosfera e a causa degli incidenti legati sia alla fase di estrazione che alla fase di utilizzo della risorsa. Tra le fonti fossili, il carbone rimane infatti la più pericolosa, sotto tutti i punti di vista, come emerge dal confronto con le altre fonti di energia (persino il temutissimo nucleare).
Crescita delle rinnovabili + calo della domanda elettrica= crollo delle emissioni
Fino al 1970 circa, il carbone era la fonte di energia prediletta per molti usi finali: industria, ferrovie, produzione di gas e riscaldamento delle case. Tuttavia, questi settori sono passati progressivamente al consumo elettrico, relegando l’impiego del carbone alla generazione di elettricità.
Questo punto non è privo di interesse, dal momento che una dinamica simile sta emergendo anche in Cina: la rapida urbanizzazione, l’innovazione tecnologica e la terziarizzazione dell’economia stanno facendo registrare un tasso di penetrazione elettrica molto più alto del resto del mondo, contribuendo a ridurre gli impieghi del carbone al di fuori della generazione.
Infine, l’ultimo passaggio verso l’abbandono del carbone inglese è stata la sua sostituzione anche nel mix elettrico. Nel 2010, esso era fortemente dominato dai combustibili fossili, e il carbone generava quasi un terzo dell’elettricità del Regno Unito (dati Ember).
In poco più di un decennio, il gas naturale è sceso dal 46% nel 2010 al 39% nel 2022, l’energia nucleare è rimasta pressoché invariata, mentre la generazione eolica ha registrato una crescita vertiginosa (dal 3 al 25%); contenuto invece è il ruolo del solare (dallo 0 al 4%). Nello stesso periodo, la domanda di elettricità è diminuita per effetto della maggiore efficienza dei consumi (-16%). L’impatto registrato sulle emissioni di CO2 del settore è stato enorme: si sono ridotte a un terzo, 160 mil. ton. CO2 nel 2010 a 58 mil. ton. CO2 nel 2022, mentre l’intensità carbonica è scesa del 61%.
Ambiziosi target di breve termine e la decrescente profittabilità del carbone
Il declino del carbone in Inghilterra non può essere attribuito a una singola causa, ma è il risultato di diversi fattori, a partire dalla fissazione di obiettivi politici chiari ed ambiziosi. Nel 2008, viene approvato il Climate Change Act, che impone una riduzione legalmente vincolante delle emissioni dell’80% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050. Da subito è stato evidente che l’uso del carbone fosse incompatibile con questo target.
Di conseguenza, alla fine del 2015, il Regno Unito è stato il primo paese al mondo a dichiarare l’intenzione di dire addio completamente al carbone entro il 2025.
Qui entra in gioco un secondo fattore, ovvero la decrescente profittabilità del carbone. Sebbene questa fonte giocasse ancora un ruolo importante nel mix energetico, la sua redditività era già stata compromessa dal nuovo contesto politico ed economico. In altre parole, alla fissazione degli obiettivi politici hanno fatto seguito provvedimenti concreti, volti principalmente a internalizzare i costi ambientali del carbone.
Una misura chiave ha riguardato il mercato del carbonio. Lo schema di scambio europeo delle quote di emissione (ETS), introdotto nel 2005, non aveva inizialmente registrato un impatto significativo sul mix energetico, a causa del prezzo troppo basso dei permessi. Per questo motivo, nel 2013, l’Inghilterra ha introdotto il meccanismo del carbon price floor (CPF), una soglia minima di prezzo per le emissioni di CO2. Questo strumento si è rivelato molto efficace, rendendo più costoso produrre elettricità con il carbone rispetto al gas naturale.
Un secondo strumento che ha affossato la competitività delle centrali a carbone è stato l’introduzione di standard sulle emissioni. Per adeguarsi a questi, molti degli impianti più obsoleti avrebbero dovuto affrontare ingenti investimenti. Di conseguenza, hanno preferito chiudere i battenti anticipatamente.
L’eolico e la parte del leone
Come accennato, inizialmente il gas sembrava il candidato ideale per sostituire il carbone: tuttavia è stato in realtà l’eolico a fare la parte del leone. Ciò è stato possibile sia per motivi geografici (la posizione, le correnti, gli spazi e la configurazione delle coste), sia grazie alla struttura dei sussidi pubblici, che hanno mandato segnali importanti al mercato rispetto a dove fosse opportuno investire.
L’aumento di scala dell’energia eolica ha innescato un loop positivo: il costo dell’energia eolica è crollato grazie a misure di supporto politico coerenti (come i contratti per differenza), costi della catena di fornitura in calo a livello globale e miglioramenti tecnologici. La combinazione di costi inferiori, scala crescente e maggiore competenza interna ha contribuito a ridurre i rischi, attirando sempre più investimenti e abbassando ulteriormente i prezzi.
La penetrazione delle rinnovabili è stata tale che nemmeno la crisi del gas ucraino ha scalfito il mix elettrico (si temeva un ritorno massivo al carbone, che non si è verificato).
Gli investimenti nella rete e il calo della domanda di elettricità
Infine, non ci stanchiamo mai di ripeterlo, gli investimenti nell’espansione e nella modernizzazione della rete di trasmissione hanno un ruolo chiave per agevolare la decarbonizzazione. A causa della crescente quota di energia rinnovabile nel mix e della natura intermittente di queste fonti, ci sono situazioni in cui l’infrastruttura della rete tradizionale non è in grado di assorbire tutta l’energia prodotta.
Per ovviare, il Regno Unito ha inizialmente adottato i curtailment payments: compensazioni economiche corrisposte ai produttori di energia rinnovabile qualora costretti a ridurre o interrompere temporaneamente la loro produzione a causa di limiti alla capacità della rete. Questa via è meno costosa rispetto all’upgrade della rete finché le rinnovabili rimangono marginali. Ma l’attuale evoluzione del parco elettrico britannico ha spinto il gestore della rete a predisporre un piano di investimento da 10 miliardi di sterline per aggiornare l’infrastruttura e aumentare le interconnessioni.
Infine, la domanda elettrica in calo nell’ultimo decennio ha sicuramente facilitato l’abbandono del carbone: vedremo come il nuovo mix supporterà la crescita attesa nei prossimi anni, legata alla diffusione dei veicoli elettrici e all’elettrificazione del residenziale.
Per ora, il traguardo che sembrava impossibile è stato raggiunto e i Regno Unito ha detto addio al carbone con addirittura un anno di anticipo. Sebbene costituisca solo un pezzetto del puzzle verso emissioni nette zero, vale la pena festeggiare.
Stefania Migliavacca è docente di Economia dell’energia e dell’ambiente – Dinamica dei Sistemi presso la Scuola Enrico Mattei. Le opinioni espresse nell’articolo sono personali dell’autore e non possono essere riferite all’azienda in cui lavora.
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